ORDINANZA N. 195
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 6-ter, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 15 novembre 2011, depositato in cancelleria il 23 novembre 2011 ed iscritto al n. 140 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi l’avvocato Paolo Chiapparrone per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con atto notificato il 15 novembre 2011 (reg. ric. n. 140 del 2011), la Regione siciliana ha proposto ricorso in via principale per la dichiarazione di illegittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 e, tra queste, dell’articolo 6, comma 6-ter, per violazione degli artt. 32 e 33 dello statuto della Regione siciliana, approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nonché delle relative norme di attuazione in materia di demanio e patrimonio, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1961, n. 1825 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di demanio e patrimonio);
che, nella prospettazione della ricorrente, la previsione di cui al predetto art. 6, comma 6-ter – secondo il quale possono costituire oggetto di «permuta demaniale» da parte dello Stato anche quei beni che, ubicati in Sicilia, perdano, con ciò, la loro destinazione a servizi di carattere nazionale – si porrebbe in contrasto, in particolare, con l’art. 32 dello statuto, il quale esclude dal trasferimento al demanio regionale soltanto i beni che «interessano la difesa o servizi di carattere nazionale»;
che, venendo meno tale destinazione, insita nella permuta, la relativa titolarità dovrebbe essere trasferita alla Regione, dal momento che la ragione del trasferimento si fonderebbe non su un criterio contabile-patrimoniale, ma su un criterio esclusivamente funzionale, come già osservato nel giudizio per conflitto di attribuzione relativo alla dismissione di beni del demanio militare, pendente all’atto del ricorso;
che si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga rigettato «in quanto inammissibile e/o infondato»;
che, a proposito della impugnativa specificamente relativa all’art. 6, comma 6-ter, del decreto-legge censurato, la misura sarebbe legittima, dal momento che l’espressa «esclusione di tutti i beni comunque trasferibili agli enti pubblici territoriali ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85» eliminerebbe in radice qualsiasi possibile violazione delle prerogative regionali stabilite dagli artt. 32 e 33 dello statuto e dalle relative norme di attuazione;
che, in particolare, la prospettata lesione dei parametri evocati (nella parte in diritto del ricorso si richiama, però, solo l’art. 32) non sussisterebbe in quanto la norma impugnata, nel prevedere le operazioni di permuta di beni statali con immobili adeguati all’uso governativo, farebbe riferimento allo scambio di beni «appartenenti al demanio ed al patrimonio dello Stato ritenuti inadeguati», rendendo dunque incongruo il parametro statutario richiamato, considerato che «il venir meno dell’utilizzo istituzionale è condizione di per sé sufficiente a far rientrare i beni immobili nella categoria del patrimonio dello Stato, disciplinato dall’art. 33 dello Statuto»;
che, infatti, lo Stato potrebbe liberamente valutare, in ordine ai beni immobili presenti nel territorio regionale e ritenuti inadeguati all’uso governativo, se operare per essi la permuta a norma della disposizione impugnata o provvedere al relativo trasferimento alla Regione (l’Avvocatura richiama, in proposito, il parere del Consiglio di Stato n. 1199 del 2005);
che la norma impugnata avrebbe solo «l’obiettivo di razionalizzare la spesa delle amministrazioni pubbliche consentendo, attraverso le operazioni di permuta ivi richiamate, riguardanti beni non più utilizzabili e disponibili, di rilasciare immobili di terzi condotti in locazione passiva dalle pubbliche amministrazioni ovvero appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato ritenuti inadeguati»;
che, infine, le doglianze sarebbero infondate anche alla luce dell’art. 19-bis del decreto-legge impugnato, secondo cui l’attuazione delle relative disposizioni deve avvenire, per le autonomie speciali, nel rispetto degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione e, dunque, anche di quanto previsto dall’art. 32 dello statuto della Regione siciliana.
Considerato che la Regione siciliana ha promosso in via principale questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 e, tra queste, dell’articolo 6, comma 6-ter, per violazione degli artt. 32 e 33 dello statuto della Regione siciliana, approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nonché delle relative norme di attuazione in materia di demanio e patrimonio, adottate con decreto del Presidente della repubblica 1° dicembre 1961, n. 1825 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di demanio e patrimonio);
che va riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale relative ad altre disposizioni del predetto decreto-legge n. 138 del 2011, impugnate con il medesimo ricorso di cui al presente giudizio;
che il ricorrente deduce che il predetto art. 6, comma 6-ter, del d.l. n. 138 del 2011 – nel prevedere che possano costituire oggetto di «permuta demaniale» da parte dello Stato anche quei beni che, ubicati in Sicilia, perdono la loro destinazione a servizi di carattere nazionale – verrebbe a porsi in contrasto, in particolare, con l’art. 32 dello statuto, il quale esclude dal trasferimento al demanio regionale i beni che «interessano la difesa o servizi di carattere nazionale»; sicché, venendo meno tale destinazione, insita nella permuta, la relativa titolarità dovrebbe essere trasferita alla Regione, dal momento che il trasferimento dovrebbe fondarsi non su un criterio contabile-patrimoniale, ma su un criterio esclusivamente funzionale;
che, quanto alle censure riferite all’art. 32 del medesimo statuto, va rilevato come lo stesso preveda, in via generale, l’assegnazione alla Regione siciliana dei beni del demanio dello Stato, comprese le acque pubbliche, «esistenti nella Regione», fatta eccezione per quelli che interessino «la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale»;
che, a sua volta, il successivo art. 33 stabilisce, invece, che «sono altresì assegnati alla Regione e costituiscono il suo patrimonio i beni dello Stato oggi esistenti nel territorio della Regione e non appartenenti alla categoria dei beni demaniali»;
che, al riguardo, deve sùbito rilevarsi come la questione si presenti manifestamente inammissibile in riferimento all’art. 33 dello statuto regionale, evocato come parametro esclusivamente nel dispositivo del ricorso, senza alcuno specifico sviluppo argomentativo nel corpo motivazionale del ricorso medesimo;
che dal coordinato raffronto tra i due indicati parametri statutari e dalla espressa enunciazione del termine di riferimento (“oggi”) circa la data di “esistenza” dei beni nel territorio della Regione, ancorché riferita in modo espresso soltanto ai beni del patrimonio, questa Corte ha tratto spunto per affermare la necessità di procedere ad una lettura unitaria del momento in cui deve ritenersi avvenuto il trasferimento dei beni dallo Stato alla Regione, indicandolo in quello della entrata in vigore dello statuto regionale (sentenze n. 31 del 1959 e n. 383 del 1991), secondo una linea, d’altra parte, recepita anche dalle disposizioni di attuazione dello statuto, dettate, in parte qua, dal già richiamato d.P.R. n. 1825 del 1961;
che, di conseguenza, la disciplina statutaria evocata dalla Regione ricorrente finisce per risultare non pertinente, proprio perché non suscettibile di produrre effetto rispetto alle situazioni sopravvenute alla data di entrata in vigore delle disposizioni medesime;
che, per altro verso, non può non sottolinearsi come la disposizione oggetto di impugnativa si limiti a disciplinare l’ipotesi della permuta di beni appartenenti allo Stato con immobili ritenuti «adeguati all’uso governativo», al dichiarato scopo di consentire il rilascio di immobili di terzi attualmente condotti in locazione passiva dalla pubblica amministrazione ovvero appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato e reputati «inadeguati»;
che, pertanto, la normativa in questione, lungi dall’esprimere una scelta genericamente “dismissiva” di beni statali, o lato sensu abdicativa, con correlativa e automatica perdita della qualità e della destinazione pubblica, implica semmai, con la permuta, una mera traslazione dei connotati pubblicistici – persistenti quanto meno su di un piano funzionale – da un immobile ad un altro, al fine di consentirne una gestione economicamente più vantaggiosa, secondo una linea di scelte legislative venutasi ormai a sedimentare nel corso degli ultimi anni;
che, alla stregua di tali rilievi, e di riflesso, la censura mossa dalla Regione ricorrente finisce per investire, piuttosto che – come previsto per il rimedio di cui all’art. 127 Cost. – una pretesa menomazione nella sfera delle proprie attribuzioni legislative costituzionalmente garantite, un profilo esclusivamente dominicale, in riferimento al potere di disposizione degli specifici beni che potranno formare oggetto dei provvedimenti di permuta, configurando, così, una tipica vindicatio rei, suscettibile di eventuale tutela nelle competenti sedi giurisdizionali comuni (in particolare, la sentenza n. 319 del 2011, che ha definito il giudizio per conflitto di attribuzione menzionato nell’atto di ricorso);
che, infine, la Regione ricorrente ha del tutto omesso di considerare – quanto meno per negarne il rilievo agli effetti del prospettato dubbio di costituzionalità – sia, da un lato, che la stessa disposizione impugnata espressamente esclude dalle operazioni di permuta «tutti i beni comunque trasferibili agli enti pubblici territoriali ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, fermo restando quanto previsto dall’articolo 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191»; sia, dall’altro lato, che l’art. 19-bis dello stesso d.l. n. 138 del 2011, altrettanto espressamente, prevede che l’attuazione delle relative disposizioni debba avvenire, nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e Bolzano, «nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42»;
che la questione proposta deve, pertanto, essere dichiarata manifestamente inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 6-ter, del suddetto decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, promossa, in riferimento agli articoli 32 e 33 dello statuto della Regione siciliana, approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nonché alle relative norme di attuazione in materia di demanio e patrimonio, adottate con decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1961, n. 1825 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di demanio e patrimonio), dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2012.