ORDINANZA N. 221
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, nel procedimento vertente tra D.G.V. e il Procuratore regionale presso la sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, con ordinanza del 19 aprile 2010, iscritta al n. 403 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che con ordinanza del 19 aprile 2010, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, per asserita violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione;
che il giudice a quo premette che la Procura contabile ha contestato ad un dirigente della Polizia di Stato di avere cagionato un danno all’immagine dell’amministrazione di appartenenza in conseguenza di ingiustificate violenze commesse nel corso di una operazione di ordine pubblico;
che il procedimento penale è stato archiviato dal Giudice per le indagini preliminari per essere rimasti ignoti gli autori dei fatti e, con riferimento ad uno specifico episodio di lesioni, per mancanza di prove;
che, nondimeno, la Procura contabile ha esposto nell’atto introduttivo del giudizio che gli episodi di violenza potrebbero essere ugualmente addebitati al dirigente sul piano della responsabilità amministrativa;
che, nella specie, l’azione di responsabilità sarebbe preclusa dalla previsione contenuta nel citato art. 17, comma 30-ter, il quale circoscrive la risarcibilità del danno all’immagine alle sole fattispecie nelle quali sussiste una condanna penale irrevocabile per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione;
che tale norma, secondo la Corte remittente, sarebbe illegittima per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto escluderebbe dal suo ambito applicativo «fattispecie delittuose ben più gravi (anche a livello di allarme sociale o comunque di incidenza lesiva sul prestigio della pubblica amministrazione)» ovvero «fattispecie anche prive di rilievo penale che siano gravemente pregiudizievoli per l’immagine della p.a.»;
che, a tale proposito, vengono citate nell’ordinanza una serie di fattispecie concrete idonee a dimostrare la irragionevolezza della previsione legislativa;
che l’illegittimità costituzionale sarebbe confermata anche alla luce dei principi affermati dalla Corte di cassazione, Sezioni unite, con la sentenza 11 novembre 2008, n. 26972;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate vengano dichiarate manifestamente inammissibili e infondate;
che, in primo luogo, si osserva come la limitazione di responsabilità in esame non sarebbe viziata da manifesta illogicità;
che, a dimostrazione di come il legislatore possa introdurre limiti alla responsabilità contabile, si richiama l’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) il quale, al comma 1, prevede che tale responsabilità è configurabile in presenza, tra l’altro, di fatti ed omissioni posti in essere «con dolo e colpa grave»; norma, che si sottolinea, è stata ritenuta non in contrasto con la Costituzione dalla sentenza n. 371 del 1998 di questa Corte;
che l’Avvocatura dello Stato sostiene che i principi enunciati dalla citata pronuncia varrebbero anche nel caso in esame, in quanto verrebbe pur sempre in rilievo una norma che pone limiti alla responsabilità contabile;
che la difesa dello Stato rileva, poi, che la norma censurata non esclude in assoluto la risarcibilità del danno all’immagine «ma la limita a quelle fattispecie ritenute di maggiore gravità alle quali si ricollega – con l’esercizio dell’azione penale – anche l’evidente pregiudizio collegato allo strepitus fori»;
che, del resto, si rimarca, anche le sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 26972 del 2008, hanno posto limiti alla risarcibilità del danno non patrimoniale, richiedendo che la legge debba riguardare un interesse avente rilevanza costituzionale e che la lesione debba essere grave e il danno non futile;
che, alla luce di quanto esposto, si assume che non sussisterebbe la lamentata violazione dell’art. 2 Cost., in quanto «il legislatore non nega l’esistenza del diritto né la sua risarcibilità in assoluto, e così operando, lungi dal non riconoscerlo e garantirlo, ne riafferma piuttosto anche nella materia de qua l’esistenza e tutelabilità in astratto»;
che non sarebbe, inoltre, fondata la censura con cui si deduce la violazione del principio di uguaglianza, in quanto la diversità di trattamento giuridico sarebbe giustificata dalla diversità delle posizioni dei soggetti coinvolti dall’azione di responsabilità.
Considerato che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, con ordinanza del 19 aprile 2010, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, per asserita violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione;
che la questione è manifestamente infondata;
che la norma censurata prevede che le Procure regionali della Corte dei conti esercitino l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche);
che il richiamato art. 7, a sua volta, ai fini della delimitazione dell’ambito applicativo dell’azione risarcitoria, fa riferimento alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate, nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale;
che, con una prima censura, il giudice a quo ritiene che tale disciplina sia in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto esclude dal suo ambito applicativo «fattispecie delittuose ben più gravi (anche a livello di allarme sociale o comunque di incidenza lesiva sul prestigio della pubblica amministrazione)» ovvero «fattispecie anche prive di rilievo penale che siano gravemente pregiudizievoli per l’immagine della p.a.»;
che questa Corte, con la sentenza n. 355 del 2010, ha affermato, in relazione all’asserita irragionevolezza della disposizione censurata, che la scelta di non estendere l’azione risarcitoria anche in presenza di condotte non costituenti reato, ovvero costituenti un reato diverso da quelli espressamente previsti, può essere considerata non manifestamente irragionevole;
che il legislatore ha ritenuto, infatti, nell’esercizio della propria discrezionalità, «che soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione, possa essere proposta l’azione di risarcimento del danno per lesione dell’immagine dell’ente pubblico»;
che «la circostanza che il legislatore abbia inteso individuare esclusivamente quei reati che contemplano la pubblica amministrazione quale soggetto passivo concorre a rendere non manifestamente irragionevole la scelta legislativa in esame»;
che con una seconda censura il rimettente assume la violazione dell’art. 2 Cost., in quanto tale norma, come stabilito anche dalla Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 11 novembre 2008, n. 26972, imporrebbe una tutela piena dei diritti della personalità;
che anche in relazione a tale censura questa Corte con la citata sentenza n. 355 del 2010, al fine di giustificare la previsione in esame, ha messo in rilievo alcuni profili di peculiarità della disciplina censurata rispetto a quella generale prevista per la tutela del diritto all’immagine delle persone fisiche;
che, in particolare, la Corte ha affermato che la responsabilità amministrativa presenta una peculiare connotazione, in relazione alle altre forme di responsabilità previste dall’ordinamento, derivante dall’accentuazione dei profili sanzionatori;
che, in questa prospettiva, «il legislatore ha, tra l’altro, il potere di delimitare l’ambito di rilevanza delle condotte perseguibili, stabilendo, “nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza”, quanto “del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo”» (si cita anche sentenza n. 371 del 1998);
che, sempre con la sentenza in esame, si è messo in rilievo come la presenza di un ente collettivo, quale è, nella specie, la pubblica amministrazione, impedisce di ritenere che la tutela costituzionale dei diritti delle persone giuridiche o più ampiamente dei soggetti collettivi debba essere necessariamente la medesima di quella assicurata alle persone fisiche;
che, in definitiva, la valutazione contestuale della peculiarità della responsabilità amministrativa e della natura del soggetto tutelato non comporta alcun vulnus al principio posto dall’art. 2 Cost.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata, in riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente e Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2011.