ORDINANZA N. 138
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, sesto comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato dall’art. 1-bis del decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, promosso dal Consiglio nazionale forense con ordinanza del 26 aprile 2010, iscritta al n. 319 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti l’atto di costituzione di C. T., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, e preso atto del deposito fuori termine dell’atto di A. G.;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Alessandro Pace per C. T. e l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che con ordinanza del 26 aprile 2010, il Consiglio nazionale forense, in sede giurisdizionale, ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3 e 51, primo e terzo comma, della Costituzione, nonché in riferimento all’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, «valorizzabile ex art. 117 Cost.», ed all’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, sesto comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato dall’art. 1-bis del decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, nella parte in cui rimuove l’impedimento alla elezione passiva ai Consigli degli ordini forensi ed agli organi della Cassa di previdenza e di assistenza forense per gli avvocati che abbiano fatto parte delle commissioni di esame di abilitazione forense «solo dopo che siano state espletate le elezioni immediatamente successive all’incarico ricoperto per entrambe le elezioni»;
che il Consiglio rimettente premette di essere stato investito a seguito del ricorso proposto dall’avvocato C. T. avverso la candidatura dell’avvocato A. G. alle elezioni per il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma per il biennio 2010-2011, nonché avverso la proclamazione di detto candidato risultato eletto, il quale, avendo svolto l’incarico di componente supplente di una sottocommissione di esame per l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso il distretto della Corte di appello di Roma fino al 3 luglio 2008, avrebbe illegittimamente presentato la propria candidatura ed illegittimamente sarebbe stato proclamato eletto, avuto riguardo alla previsione ostativa di cui alla norma denunciata;
che, dato atto dei rilievi difensivi svolti dal controinteressato, il Consiglio rimettente sottolinea che, ove fosse ritenuta impraticabile l’interpretazione del quadro normativo suggerita nell’atto defensionale, si profilerebbe un dubbio di legittimità costituzionale del denunciato art. 22, sesto comma, dal momento che la sua formulazione risulterebbe «talmente opinabile da delegare all’interprete, anziché alla legge, la determinazione delle condizioni di incandidabilità o ineleggibilità», in contrasto con il principio di stretta legalità di cui all’art. 51 Cost.;
che, d’altra parte, la previsione dei casi di ineleggibilità, incidendo su un diritto fondamentale, potrebbe ritenersi ragionevole solo in funzione della salvaguardia di interessi anch’essi di rango costituzionale;
che, richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di ineleggibilità, per sottolineare come la norma in questione debba essere interpretata in senso restrittivo, il rimettente ha considerato evidente che la norma si fondi sulla esigenza di evitare che chi si trovi a comporre la commissione per l’esame di abilitazione all’esercizio della professione possa acquisire il favor degli elettori ed essere eletto alle elezioni indette nel periodo dell’espletamento delle prove e in un periodo che la legge indica in riferimento alle elezioni “immediatamente” successive all’incarico;
che, se è chiaro il senso della espressione “immediatamente”, il problema si porrebbe relativamente ai rapporti tra le due ipotesi di elezione (per la carica di consigliere dell’ordine forense e di rappresentante della Cassa nazionale di assistenza e di previdenza forense), legate fra loro, nel testo della norma, dalla congiunzione “e” invece che dal «disgiuntivo “o”», che il legislatore avrebbe utilizzato ove avesse inteso renderle alternative;
che, escludendo la possibilità di una interpretazione adeguatrice, il rimettente osserva che «il testo legislativo conduce quindi ad una situazione di irrazionalità manifesta», dal momento che le elezioni di ogni Consiglio dell’ordine si svolgono ogni biennio e quelle della Cassa ogni quadriennio, «sicché si potrebbe addirittura verificare il caso di ineleggibilità per un sessennio addizionandosi i due periodi di durata delle cariche elettive»;
che, dunque, si tratterebbe di una «misura evidentemente sproporzionata», la quale, in contrasto con i parametri evocati, risulterebbe «volta peraltro a colpire quanti si sobbarcano il gravoso compito di componente delle commissioni di esame»;
che, d’altra parte, se lo scopo della norma è quello di impedire la captatio benevolentiae, questa dovrebbe indurre ad una preclusione senza limiti temporali, posto che «la benevolenza o la gratitudine dovrebbero essere “eterne”»;
che sussisterebbe, perciò, violazione dell’art. 3 Cost., per la discriminazione di chi sia stato componente delle commissioni di esame rispetto a chi non abbia svolto tale compito, risultando vulnerato anche l’art. 51 Cost., dal momento che un vincolo di ineleggibilità così «incerto nel tempo e di durata potenzialmente così lunga» sarebbe tale da non giustificare una simile compressione di un diritto fondamentale, rispetto alla tutela del valore contrapposto che la norma mira a presidiare;
che, inoltre, considerato che il diritto di elettorato passivo consente «la libera espressione della propria personalità», la norma censurata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 2 Cost., nonché con l’art. 11 della C.E.D.U., «interpretato nel senso che il diritto di far parte degli organismi rappresentativi delle professioni intellettuali vulnera la libertà di riunione e associazione in modo eccedente quanto necessario al raggiungimento della finalità perseguita»;
che si è costituito in giudizio il ricorrente nel giudizio principale, avvocato C. T., «rapp.to e difeso da sé stesso ex art. 86 c.p.c.», per chiedere che la questione venga dichiarata inammissibile e, nel merito, manifestamente infondata;
che l’ordinanza di rimessione risulterebbe illogicamente motivata dal momento che si baserebbe sull’inesistente presupposto di fatto di una possibile ineleggibilità per sei anni, omettendo di considerare che gli eventi elettorali delle due istituzioni prese a riferimento dalla norma denunciata «si “intersecano”, mai si “sommano”; così come i periodi di ineleggibilità»;
che, d’altra parte, affermando che la gratitudine e la benevolenza dei candidati all’esame «dovrebbero essere eterne», sarebbe lo stesso rimettente ad auspicare una soluzione irrazionale e sproporzionata, e non il legislatore, che ha invece razionalmente contemperato i contrapposti interessi in gioco;
che, censurando non il principio che sta a base della norma, ma la disciplina temporale, il rimettente solleciterebbe la Corte ad una pronuncia non “a rime obbligate”, senza tuttavia additare alcuna soluzione tra le molte discrezionalmente possibili;
che sarebbe, poi, del tutto criptica ed illogica la motivazione della ordinanza che riferisce il dubbio di costituzionalità all’art. 2 Cost. ed all’art. 11 della C.E.D.U.;
che risulterebbero, del resto, evidenziati profili di incostituzionalità estranei al giudizio a quo, dal momento che, sulla base delle effettive circostanze di fatto, ogni limitazione di elettorato passivo a carico del resistente nel giudizio principale sarebbe venuta a cadere nell’arco di circa un anno e sei mesi a decorrere dalla cessazione dell’incarico di commissario d’esame;
che, nel merito, la questione dovrebbe considerarsi infondata, posto che il legislatore – recependo, peraltro, le istanze delle istituzioni rappresentative del ceto forense – si sarebbe attenuto a quanto previsto dall’art. 51 Cost., per come interpretato dalla consolidata giurisprudenza costituzionale, limitando la ineleggibilità «al minimo possibile», e cioè alle «elezioni immediatamente successive»;
che il principio di uguaglianza risulterebbe anch’esso rispettato, in quanto la disciplina censurata, investendo «una particolare situazione nella quale il soggetto non eleggibile può influenzare a suo favore il corpo elettorale» e prendendo in considerazione «“intere categorie e non singoli cittadini”», perseguirebbe l’obiettivo, con la previsione di «una ineleggibilità limitata», di «consentire al ceto forense di autogovernarsi nella delicata funzione di selezionare l’accesso alla professione di nuovi colleghi e, nel contempo, evitare il formarsi e il radicarsi di forme di clientelismo elettorale dannose per la dignità della professione forense»;
che con successiva memoria, l’avvocato T. ha in particolare sottolineato, a proposito della interpretazione della disposizione oggetto di censura, come «la grammatica, la semantica e la logica – prima ancora del diritto – impongono di valutare la locuzione “e” [che compare nel testo della norma] come congiuntiva e non come disgiuntiva, ché – altrimenti – il legislatore avrebbe usato la locuzione “o”» e che, pertanto, la ineleggibilità non sarebbe altro che la protrazione della “doppia” incompatibilità per il consigliere dell’ordine e per il rappresentante della Cassa, non potendo essere intesa come una «ineleggibilità alle elezioni immediatamente successive, alternativa o casuale o, peggio, arbitraria a seconda che subito dopo la cessazione dell’incarico di commissario si tengano le elezioni o della Cassa o del Consiglio»;
che il 22 febbraio 2011, ampiamente oltre il previsto termine, l’avvocato A.G., resistente nel giudizio a quo, ha depositato una “comparsa di costituzione”;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per una declaratoria di inammissibilità o di manifesta infondatezza della questione proposta;
che, secondo la difesa erariale, la questione sarebbe da dichiarare inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, non avendo il rimettente dato conto delle ragioni per le quali l’eccezione proposta dal resistente nel giudizio principale – secondo cui l’annullamento dell’elezione avrebbe dovuto determinare l’indizione di un’elezione suppletiva e non, come richiesto dal ricorrente, la proclamazione del primo dei non eletti – sia stata considerata infondata, quando, invece, il suo accoglimento avrebbe dovuto comportare il rigetto del ricorso e, di conseguenza, l’irrilevanza della questione proposta;
che, d’altra parte, la questione risulterebbe infondata, sulla base della «regola generale» – riconducibile oltre che, come «nella contigua materia dei concorsi pubblici», all’art. 97 Cost., anche agli artt. 24 e 4 Cost. – secondo cui «gli organi preposti alla disciplina e all’amministrazione di una determinata attività (come sono i consigli forensi rispetto alla professione legale) non possono contestualmente provvedere anche al reclutamento o alla selezione dei soggetti chiamati a svolgere l’attività (funzione pubblica o professione tutelata) alla cui organizzazione e al cui controllo quegli organi sono preposti»;
che, dunque, ispirandosi al principio della «separatezza tra organizzazione/controllo da un lato e selezione tecnica dei professionisti dall’altro» e perciò prevedendo sia l’ineleggibilità negli organismi professionali rappresentativi di chi sia stato commissario d’esame sia, reciprocamente, la nomina a commissario dei componenti dei consigli forensi, la disposizione censurata si sottrarrebbe «alle censure di irragionevolezza e di arbitraria limitazione di diritti fondamentali di partecipazione democratica sotto specie di elettorato passivo».
Considerato che il Consiglio nazionale forense, in sede giurisdizionale, dubita – in riferimento agli artt. 2, 3, 51, primo e terzo comma, della Costituzione, nonché in riferimento anche all’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, «valorizzabile ex art. 117 Cost.», ed all’art. 11 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali – della legittimità costituzionale dell’art. 22, sesto comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato dall’art. 1-bis del decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, nella parte in cui rimuove l’impedimento alla elezione passiva ai Consigli degli ordini forensi ed agli organismi della Cassa di previdenza e di assistenza forense per gli avvocati che abbiano fatto parte delle commissioni di esame di abilitazione forense «solo dopo che siano state espletate le elezioni immediatamente successive all’incarico ricoperto per entrambe le elezioni»;
che, a parere del Collegio rimettente, risulterebbero violati i parametri indicati in quanto la norma censurata, oltre a creare un irragionevole vulnus nei confronti di coloro che si siano assunti il «gravoso compito» di componenti delle commissione di esame per l’esercizio della professione forense, determinerebbe un ostacolo anche per la libera competizione elettorale, introducendo un vincolo di ineleggibilità incerto nel tempo e potenzialmente di durata tale da incidere su un diritto fondamentale, senza che ciò risponda ad un effettivo soddisfacimento dei contrapposti interessi che la norma in questione intenderebbe tutelare; il tutto, anche, con riverberi sul piano della stessa libertà di riunione e di associazione che gli organismi professionali rappresentativi sono chiamati a presidiare;
che occorre preliminarmente disattendere la eccezione di inammissibilità per omessa adeguata motivazione sulla rilevanza, prospettata dalla difesa dello Stato;
che, infatti, a prescindere dallo specifico petitum sollecitato in sede impugnatoria dal ricorrente, è comunque incontroverso che il reclamo proposto ha inteso coinvolgere la validità del procedimento di nomina del “controinteressato” e, quindi, la concreta applicabilità, ai fini della relativa decisione, del quadro normativo coinvolto nella questione di legittimità costituzionale, con evidente rilevanza della tematica inerente alla “preclusione” che scaturisce dalla regola della «incandidabilità» oggetto di censura, ai fini della decisione che il collegio rimettente è chiamato ad adottare nel caso di specie;
che, del resto, il Collegio rimettente pone a fulcro delle proprie censure non tanto la preclusione in sé che scaturisce dalla norma impugnata – del cui fondamento e della cui ratio essendi, dunque, non pare dubitare – quanto la relativa durata, stimata eccessiva, ma omette di formulare, coerentemente con tale premessa, un petitum volto a ricondurre la disposizione medesima entro i confini reputati congrui, richiedendo, invece, in apparente contraddizione, una ablazione totale della norma, la cui introduzione, per di più, venne sollecitata – come emerge dai relativi lavori preparatori – dagli stessi organismi professionali;
che, nel merito, le censure proposte sono palesemente prive di fondatezza in rapporto a tutti i parametri dedotti, tra i quali risulta incongruamente ricompreso, anche alla luce della sentenza n. 80 del 2011, quello di cui all’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
che, contrariamente, infatti, all’assunto del Consiglio rimettente, la preclusione alla “candidatura” per le distinte tornate elettorali previste per i Consigli dell’ordine forense, da un lato, e per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, dall’altro, non riguardano un periodo né temporalmente indeterminato né, in sé, eccessivo o irragionevole, posto che il previsto divieto si riferisce soltanto alle elezioni «immediatamente successive» allo svolgimento dell’incarico di componenti delle commissioni e sottocommissioni per gli esami di avvocato;
che, d’altra parte, l’avere il legislatore coerentemente stabilito un divieto “reciproco” per gli avvocati, tra l’espletamento dell’ufficio di componente le commissioni d’esame per l’esercizio della professione forense e la partecipazione agli organismi rappresentativi locali nonché a quelli della Cassa di previdenza e assistenza forense, chiaramente denota una scelta – discrezionale, ma non certo priva di una intrinseca ragionevolezza – di separazione “funzionale” intesa ad impedire possibili commistioni di attribuzioni reputate non opportune, secondo una prospettiva di trasparenza amministrativa e di efficienza gestionale perfettamente in linea con i valori espressi al riguardo dalla Carta fondamentale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, sesto comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato dall’art. 1-bis del decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, – sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 51, primo e terzo comma, della Costituzione, nonché in riferimento all’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, «valorizzabile ex art. 117 Cost.», ed all’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – dal Consiglio nazionale forense, in sede giurisdizionale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2011.