ORDINANZA N. 237
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), promosso dalla Corte d’appello di Bari nel procedimento penale a carico di G.V.F. con ordinanza del 20 novembre 2009, iscritta al n. 20 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 maggio 2010 il giudice relatore Giuseppe Tesauro.
Ritenuto che la Corte d’appello di Bari, con ordinanza del 20 novembre 2009, iscritta al r.o. n. 20 del 2010, ha sollevato, in riferimento all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, approvata a Nizza il 7 dicembre 2000 (infra: Carta di Nizza) ed all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non attribuisce la facoltà di chiedere l’espiazione della pena in Italia allo straniero cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, che ivi sia residente, nel caso in cui il mandato d’arresto europeo abbia ad oggetto l’esecuzione di una pena;
che il giudice a quo espone che G.V.F., cittadino romeno, è stato attinto da un mandato di arresto emesso dalla Pretura di Pitesti (Romania), in esecuzione della sentenza di condanna alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, per il reato di furto commesso in concorso con altri in danno di B.I.L. pronunciata in data 27 aprile 2005, confermata in appello dal Tribunale di Arges con sentenza del 13 ottobre 2005;
che, a suo avviso, la consegna di G.V.F. «è consentita sul piano formale, essendo stata allegata copia della sentenza di condanna a pena detentiva, che ha dato luogo alla richiesta stessa (art. 6, comma 3, legge n. 50 del 2005 – recte: n. 69 del 2005–)», rientrando il reato per il quale è stata pronunciata la condanna tra quelli «per i quali è prevista […] la consegna obbligatoria, ai sensi della lettera t) dell’art. 8, legge n. 69 del 2005».
che G.V.F. si è, però, opposto alla consegna e, con dichiarazione resa in data 30 ottobre 2009 in sede di identificazione, ha chiesto, in quanto residente da tempo in Italia unitamente alla famiglia ed ai figli che qui studiano, di espiare la pena nel nostro Paese, reiterando tale istanza nelle successive memorie difensive, invocando a conforto la tutela del lavoro, della famiglia e della salute, in considerazione delle patologie dalle quali è affetto;
che, a giudizio del rimettente, l’art. 19, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005, prevedrebbe per il cittadino non italiano, ma ivi residente, la possibilità di espiare la pena nel nostro Paese, «nel solo caso di condanna non ancora pronunciata» e di mandato d’arresto europeo cosiddetto «processuale», quindi non nel caso in cui detto mandato concerna una sentenza di condanna definitiva già intervenuta, con la conseguenza che la domanda di G.V.F. non può essere accolta;
che siffatta disciplina sarebbe ingiustificata, alla luce della decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI, «Decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri» (in seguito denominata decisione quadro) e dei principi generali dell’ordinamento italiano e comunitario di eguaglianza, di libertà di circolazione e di stabilimento dei cittadini comunitari, nonché di quelli che tutelano l’unità della famiglia ed i diritti del bambino a mantenere rapporti stabili con entrambi i genitori;
che, infatti, prosegue la Corte d’appello, l’art. 4, punto 6, della citata Decisione quadro stabilisce che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato di arresto europeo, se esso «è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno».
che, nondimeno, secondo il rimettente, qualora uno Stato «decida di recepire il principio di rifiuto della consegna per esecuzione della pena o misura di sicurezza nel proprio territorio ed alla stregua del proprio ordinamento, deve attuare tale recepimento con riferimento ad ogni caso previsto dalla stessa decisione-quadro, e senza disparità di trattamento, ingiustificato, alla luce del principio di eguaglianza» e «senza ledere gli altri diritti fondamentali» della persona, quali tutelati dalle norme dell’Unione europea e dell’ordinamento interno;
che, ad avviso del rimettente, la norma impugnata avrebbe dato attuazione solo in parte all’art. 4 della Decisione quadro, limitando la possibilità di rifiutare la consegna dello straniero residente nello Stato nel solo caso di mandato d’arresto processuale, realizzando in tal modo una ingiustificata disparità di trattamento;
che, tra i diritti fondamentali recepiti e tutelati nel Trattato europeo e, per il richiamo da esso effettuato nell’art. 6, «appaiono significativi e vincolanti ai fini del riconoscimento indifferenziato del diritto di espiare la pena nello Stato di dimora, come indicato dalla decisione-quadro», in primo luogo, il diritto di libertà di stabilimento (artt. 49 e seguenti del Trattato UE), in virtù del quale ogni cittadino comunitario può stabilire il proprio centro di interessi lavorativi (per attività industriali, commerciali, artigianali o professionali, art. 57 del Trattato) in qualunque Stato dell’Unione, essendo vietato agli Stati membri di frapporre ostacoli o restrizioni al suo esercizio (salvo per ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica o sanità pubblica, non pertinenti nel caso in esame).
che, tale diritto sarebbe, peraltro, sancito anche dall’art. 15, comma 2, della Carta di Nizza e tutelato dall’art. 16 Cost.;
che, a giudizio della Corte di appello, nel caso di specie vengono in rilievo anche: il diritto di costituirsi una famiglia e di stabilirsi con questa in qualunque Stato dell’Unione europea, risultando la famiglia tutelata dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali, e successive modificazioni, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), dagli artt. 7 e 9 della Carta di Nizza e dagli artt. da 29 a 31 Cost., nonchè il diritto del bambino a mantenere rapporti affettivi con entrambi i genitori, previsto e tutelato dall’art. 24 della Carta di Nizza;
che l’impugnato art. 19, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005, nella parte in cui, non attribuendo la facoltà di chiedere l’espiazione della pena in Italia allo straniero cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, che ivi sia residente, nel caso in cui il mandato d’arresto europeo abbia ad oggetto l’esecuzione di una pena, violerebbe l’art. 20 della Carta di Nizza e l’art. 3 Cost.;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile ed infondata, rammentando che nella specie la norma applicabile sarebbe l’art. 18, comma 1, lettera r), della legge n. 69 del 2005, e che sarebbe quindi irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera c), della stessa legge.
Considerato che la questione di legittimità costituzionale ha ad oggetto l’art. 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui non attribuisce la facoltà di chiedere l’espiazione della pena in Italia allo straniero cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, che ivi sia residente, nel caso in cui il mandato d’arresto europeo abbia ad oggetto l’esecuzione di una pena;
che il giudizio principale ha ad oggetto un mandato di arresto europeo cosiddetto in executivis, che, secondo il diritto vivente, è disciplinato esclusivamente dall’art. 18 della legge n. 69 del 2005;
che la norma applicabile al caso di specie è quindi l’art. 18, comma 1, lettera r), la quale prevede che, se il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può disporre che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al diritto interno, «qualora la persona ricercata sia cittadino italiano»;
che la Corte d’appello di Bari ha, invece, censurato l’art. 19 di detta legge, che, come risulta dalla lettera della norma, concerne soltanto la persona giudicanda (cittadino o residente dello Stato), e per la quale è appunto in corso l’azione penale;
che la questione è dunque manifestamente inammissibile in quanto ha ad oggetto una norma che non deve essere applicata nel giudizio principale (ex multis ordinanze n. 256 del 2009 e n. 265 del 2008).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, ed all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza), dalla Corte d’appello di Bari con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.