SENTENZA N. 122
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Alfio FINOCCHIARO “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, 3, 4, comma 1, 5, comma 1, 6, commi 1 e 2, della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 9 (Norme in materia di pluralismo informatico, sull’adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 28 maggio 2009, depositato in cancelleria l’8 giugno 2009 ed iscritto al n. 36 del registro ricorsi 2009.
Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi l’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giovanna Scollo ed Eleuterio Zuena per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto
1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso promosso l’8 giugno 2009 ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 9 (Norme in materia di pluralismo informatico, sull’adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione), in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione.
Il ricorrente premette che la suddetta legge, composta da 13 articoli, nelle intenzioni del legislatore regionale è diretta ad ampliare il pluralismo informatico, a garantire l’accesso e la libertà di scelta nella realizzazione di piattaforme informatiche ed a favorire l’eliminazione di ogni barriera dovuta all’uso di standard non aperti, incentivando la diffusione e lo sviluppo del software libero, avuto riguardo alle sue positive ricadute sullo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica e, nel contempo, persegue l’obiettivo della massima divulgazione dei propri programmi informatici sviluppati come software libero.
Tuttavia, ad avviso della difesa erariale, la normativa de qua presenta profili di illegittimità costituzionale, perché talune disposizioni violano la competenza statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), nonché in ordine alla disciplina del diritto d’autore, incidendo sulla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e penale (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
In particolare, risultano censurabili, in riferimento ai parametri costituzionali ora indicati, l’art. 1, comma 3; l’art. 3; l’art. 4, comma 1; l’art. 5, comma 1; l’art. 6, commi 1 e 2, della legge regionale n. 9 del 2009.
Dopo avere illustrato gli argomenti a sostegno delle singole censure, il ricorrente chiede che, ai sensi dell’art. 127 Cost., sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della citata legge regionale, con i provvedimenti consequenziali in ordine all’intera normativa.
2. — La Regione Piemonte, in persona del Presidente della Giunta regionale, si è costituita con atto depositato il 2 luglio 2009, concludendo per la declaratoria d’inammissibilità o d’infondatezza del ricorso.
La resistente, dopo aver precisato il concetto di software libero e open source, nonché i caratteri di tale forma di programmazione, e dopo avere richiamato gli interventi in materia sia dello Stato sia dell’Unione europea, procede all’esame delle censure sollevate dalla difesa erariale, contestandone il fondamento.
Considerato in diritto
1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con il ricorso indicato in epigrafe ha promosso questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 9 (Norme in materia di pluralismo informatico, sull’adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione), in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione.
Il ricorrente individua la ratio della normativa censurata, composta da 13 articoli, nel fine di favorire il pluralismo informatico, garantire l’accesso e la libertà di scelta nella realizzazione di piattaforme informatiche e consentire l’eliminazione di ogni barriera dovuta all’uso di standard non aperti, promuovendo la diffusione e lo sviluppo del software libero, per le sue positive ricadute sul progresso della ricerca scientifica e tecnologica, e perseguendo l’obiettivo della massima divulgazione dei propri programmi informatici realizzati mediante il detto software.
Tuttavia, ad avviso della difesa erariale, la legge regionale de qua presenta profili d’illegittimità costituzionale, perché talune disposizioni violano la competenza statale, sia in materia di tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., sia in ordine alla disciplina del diritto d’autore, con conseguente lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e penale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
2. — Prima di procedere all’esame delle singole censure, è opportuno premettere alcune nozioni di carattere generale.
Nel linguaggio informatico il concetto di open source e software libero individua un modello volontario di licenza e sub-licenza per lo sfruttamento del diritto d’autore su un programma per elaboratore, che si fonda sulla diretta accessibilità al sottostante codice sorgente e sulla libera modificabilità del software concesso in uso secondo tale modello.
La licenza di tipo open source, quindi, esprime la rinunzia volontaria del titolare del copyright ad utilizzare le facoltà escludenti tipiche di esso, così favorendo l’interesse degli altri operatori/utenti, sia a fruire della conoscenza del codice sorgente, sia ad utilizzare i prodotti sviluppati sulla base del primo.
Attraverso la conoscenza del codice sorgente si può apprendere la struttura del programma, la logica posta alla base della sua realizzazione, ed è possibile effettuare qualsiasi intervento modificativo, anche al fine di conseguire una interoperabilità o integrazione con altri programmi. Per tali ragioni, nei tradizionali modelli contrattuali di concessione in uso del software, non è consentito all’utente di ottenere la disponibilità del codice sorgente.
Di recente, però, accanto al modello di licenza tradizionale, che prevede il pagamento di un corrispettivo a fronte della concessione del diritto d’uso, si sono imposti, nel mondo dell’informatica, schemi negoziali alternativi, i quali consentono all’utilizzatore del programma di avere una disponibilità completa sul codice sorgente e d’impiegare il software anche senza corrispettivo. Si tratta di formule contrattuali che concedono il diritto di utilizzare il programma in ogni settore di attività. In sostanza, quindi, come nota la Regione Piemonte (il punto non è controverso), un programma open source è un software che il creatore ha deciso di mettere a disposizione degli altri utenti, autorizzandoli a studiare il codice sorgente, a modificarlo e a ridistribuirlo liberamente, sia pure con le limitazioni che le parti possono pattuire nell’ambito dell’autonomia negoziale.
3. — Tanto premesso, si deve ora procedere all’esame delle singole censure.
Il ricorrente impugna, in primo luogo, l’art. 1, comma 3, della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009, il quale stabilisce che «Alla cessione di software libero non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 171-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), come sostituito dall’articolo 13 della legge 18 agosto 2000, n. 248 (Nuove norme di tutela del diritto d’autore)».
La norma s’inserisce in un articolo che, sotto la rubrica «Finalità della legge», esprime la volontà della Regione di favorire, nel rispetto della normativa statale in materia d’informatizzazione della pubblica amministrazione, il pluralismo informatico, di garantire l’accesso e la libertà di scelta nella realizzazione di piattaforme informatiche e di promuovere l’eliminazione di ogni barriera dovuta all’uso di standard non aperti, incentivando la diffusione e lo sviluppo del software libero in considerazione delle sue positive ricadute sullo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica.
La difesa erariale osserva che anche il software cosiddetto “libero” costituisce un’opera dell’ingegno e, pertanto, è oggetto di diritto d’autore come ogni altro programma per elaboratore. La previsione di deroga alle ipotesi di reato contemplate dall’art. 171-bis della legge n. 633 del 1941, come sostituito dall’art. 13 della legge n. 248 del 2000, travalica la potestà legislativa regionale, invadendo la sfera di competenza del legislatore nazionale.
La Regione Piemonte replica sostenendo che la norma censurata va intesa nel senso che la cessione di software libero, così come regolata dalla legge, non viola le norme a tutela del diritto d’autore. Ad avviso della Regione, l’art. 171-bis, primo comma, della legge menzionata fa riferimento alla distribuzione “abusiva” di programmi per elaboratore, cioè ad una fattispecie avente come presupposto la volontà contraria (o, per lo meno, assente) dell’autore. Invece, il software libero presuppone l’autorizzazione dell’autore alla ridistribuzione.
La questione è fondata.
Il citato art. 171-bis punisce «Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE)», estendendo la punibilità al fatto concernente qualsiasi mezzo inteso unicamente a consentire o facilitare la rimozione arbitraria o l’elusione funzionale di dispositivi applicati a protezione di un programma per elaboratori.
La norma censurata, che sarebbe superflua secondo l’interpretazione propugnata dalla resistente, sottrae al precetto penale la cessione, in qualsiasi forma, di software libero, ancorché essa possa rivelarsi abusiva sia per invalidità della licenza, sia per contrasto con eventuali limiti o prescrizioni dalla medesima licenza previsti. La stessa resistente, del resto, chiarisce che le licenze open, proprio per garantire le libertà riconosciute all’utente, «impongono precisi limiti alla possibilità di modificare (o negare) i diritti di quest’ultimo» e «queste garanzie, naturalmente, si riflettono anche in vincoli e responsabilità per coloro che utilizzano, studiano, sviluppano tali software».
L’ampia formula adottata dal legislatore regionale, dunque, esclude dall’ambito applicativo del precetto penale anche condotte suscettibili di essere qualificate come abusive, superando il limite inderogabile dell’ordinamento penale e perciò ledendo la competenza esclusiva dello Stato in tale materia, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (ex plurimis: sentenze nn. 295 e 168 del 2009 e n. 183 del 2006).
Ne deriva che deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009.
4. — È altresì impugnato l’art. 3 della legge regionale ora citata, il quale, sotto la rubrica «Diritto allo sviluppo portabile», stabilisce che «Chiunque ha il diritto di sviluppare, pubblicare e utilizzare un software originale compatibile con gli standard di comunicazione e formati di salvataggio di un altro software, anche proprietario».
Ad avviso della difesa dello Stato, la disposizione interviene sulla materia del diritto d’autore, derogando alla disciplina dettata per tutti i programmi per elaboratori dagli artt. 64-bis e seguenti della legge n. 633 del 1941, e successive modifiche e integrazioni, peraltro in attuazione della normativa europea in materia (direttiva CE n. 91/250).
La resistente replica sostenendo che chiunque ha il diritto di sviluppare un software originale, se ne è capace, compatibile con altri standard o formati. Da ciò si dovrebbe dedurre che la contestazione del ricorrente riguardi l’ultima parte dell’articolo, nella quale si riconosce tale diritto anche nei confronti degli standard e dei formati del software proprietario. In sostanza l’illegittimità costituzionale sarebbe ravvisabile nell’implicito obbligo (imposto agli autori di software, anche proprietari) di mettere a disposizione di tutti le conoscenze tecniche relative ai propri standard e formati, in modo da rendere effettivo lo sviluppo di programmi compatibili.
Tuttavia, tale interpretazione sarebbe «asistematica e per ciò solo discutibile».
Infatti, la disposizione andrebbe coordinata con il resto dell’impianto normativo generale e, quindi, interpretata nel senso che essa riconosce un diritto di sviluppo esercitabile sempre e soltanto nei limiti di quanto permesso dall’esercizio dei diritti altrui (in questo caso, dell’autore del software già esistente).
Inoltre, proprio la normativa statale, e per la precisione l’art. 64-quater della legge sul diritto d’autore, riconoscerebbe una deroga all’esclusività dei diritti spettanti al creatore di un programma, al fine di conseguire l’interoperabilità con il programma medesimo.
Anche tale questione è fondata.
Il citato art. 64-quater, comma 1, della legge sul diritto d’autore stabilisce che l’autorizzazione del titolare dei diritti non è richiesta, qualora la riproduzione del codice del programma di elaboratore e la traduzione della sua forma, ai sensi dell’art. 64-bis, lettere a) e b), della medesima legge, compiute al fine di modificare la forma del codice, siano indispensabili allo scopo di ottenere le informazioni necessarie per conseguire l’interoperabilità con altri programmi, di un programma per elaboratore creato autonomamente, purché siano soddisfatte le condizioni nella norma medesima previste. La norma statale, dunque, permette le attività necessarie per sviluppare nuovi programmi, interoperabili con quelli esistenti, ma stabilisce un requisito generale, cioè il carattere indispensabile della riproduzione del codice del programma di elaboratore e la traduzione della sua forma, ai sensi dell’art. 64-bis, lettere a) e b), della legge n. 633 del 1941, e poi impone la sussistenza delle tre condizioni individuate nell’art. 64-quater, comma 1, di detta legge.
La disposizione censurata, invece, senza formulare alcun richiamo alla normativa dello Stato in tema di diritto d’autore, con la concisa formula adottata non soltanto non prevede alcun requisito o condizione per il diritto affermato, ma lo estende anche al software proprietario, cioè al programma per elaboratore, rilasciato con licenza d’uso che non soddisfi i requisiti di cui all’art. 2, lettera a), della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009. Così statuendo, essa realizza una palese deroga alla norma statale, introducendo un autonomo contenuto precettivo che si rivela non suscettibile di essere coordinato con la detta norma statale.
Pertanto, l’art. 3 della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009, viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, dettata dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sicché deve esserne dichiarata l’illegittimità costituzionale.
5. — La difesa dello Stato, inoltre, censura l’art. 6, comma 1, della legge ora richiamata, ritenendo viziato, sotto il profilo della legittimità costituzionale, il disposto secondo cui «La Regione utilizza, nella propria attività, programmi per elaboratore elettronico dei quali detiene il codice sorgente», con la possibilità «di modificare i programmi per elaboratore in modo da poterli adattare alle proprie esigenze». La norma andrebbe oltre la potestà legislativa regionale nei confronti della disciplina nazionale sul diritto d’autore, «in quanto consente ad una Amministrazione che ha la materiale detenzione del codice sorgente di intervenire sul codice sorgente medesimo, modificandolo secondo le proprie esigenze».
La Regione respinge la critica dell’Avvocatura generale, sostenendo che essa «è evidentemente forzata e completamente scoordinata dalla lettura degli altri commi dello stesso articolo, in quanto tale inadatta a sostenere l’accusa di incostituzionalità relativa».
Non sarebbe esatto che la disposizione attribuisca, in modo aprioristico, un diritto di modifica su un’opera dell’ingegno ad un soggetto diverso dal suo autore. In primo luogo, nel ricorso si farebbe arbitrariamente coincidere la nozione di “detenzione” con quella di “materiale detenzione”, equivalenza non affermata dalla legge regionale né argomentata dal ricorrente, ma – anzi – in contrasto con l’intero impianto della legge medesima. L’art. 6, comma 1, si limiterebbe ad indicare come elemento positivo per l’amministrazione regionale l’uso di un software il cui codice non solo sia ispezionabile, ma anche liberamente modificabile. Pertanto, la norma de qua non riconoscerebbe affatto un nuovo diritto, né sarebbe in contrasto con quelli tutelati dalla legge sul diritto d’autore.
La questione non è fondata.
L’art. 6 della citata legge regionale è composto da sei commi. In particolare, il comma 3 dispone che «La Regione, in sede di acquisizione di programmi informatici, effettua, in relazione alle proprie esigenze, una valutazione comparativa di tipo tecnico-economico tra le diverse soluzioni disponibili sul mercato», tenendo in considerazione, oltre al costo totale di possesso di ciascuna soluzione e al costo di uscita, anche il potenziale interesse di altre amministrazioni al riuso dei programmi informatici e la più agevole interoperatività.
Orbene, premesso che la norma si colloca nell’ambito dell’organizzazione dei servizi tecnici ed amministrativi regionali, che è materia di competenza residuale della Regione, il richiamo all’acquisizione dei programmi informatici ed alle diverse soluzioni disponibili sul mercato rende palese che la disposizione medesima, riferendosi nel comma 1 all’utilizzazione di programmi per elaboratore elettronico dei quali la Regione detiene il codice sorgente, intende considerare una detenzione legittima perché sorretta da titolo idoneo. L’accenno ad una detenzione meramente “materiale” non è in alcun modo argomentato e si risolve in un errato presupposto interpretativo, che rende privo di fondamento l’assunto della difesa erariale, perché, per quanto esposto nel precedente paragrafo 2, la legittima disponibilità del codice sorgente ne consente anche la modifica, onde resta esclusa l’asserita violazione della normativa nazionale sul diritto d’autore.
6. — Infine, il ricorrente censura ancora l’art. 6, comma 1, della legge de qua, estendendo la doglianza al comma 2, nonché l’art. 4, comma 1, nella parte in cui si prevede l’utilizzo, ad opera della Regione, «di programmi per elaboratore a sorgente aperto alla diffusione di documenti soggetti all’obbligo di pubblicità». È censurato, altresì, l’art. 5, comma 1, «che prevede l’utilizzo di programmi per elaboratore a sorgente aperto per il trattamento dei dati personali o di quei dati la cui diffusione a terzi non autorizzati può comportare pregiudizio per la pubblica sicurezza». Al riguardo, la difesa dello Stato osserva che le dette norme sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto invasive del principio di concorrenza, «come elaborato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia della Comunità europea e recepito nel nostro ordinamento nella materia dei contratti pubblici con il codice dei contratti». Sarebbe escluso, infatti, che possa ricondursi nell’ambito delle materie afferenti alla potestà esclusiva o concorrente delle Regioni il potere di normare in modo autonomo, «imponendo alle amministrazioni locali l’acquisto di software esclusivamente a codice sorgente aperto, considerando che siffatte disposizioni verrebbero a collidere con quanto disposto dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, ai sensi del quale la materia della “tutela della concorrenza” rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato».
Ciò nell’esigenza di evitare «che la differenziazione territoriale della disciplina dei vari mercati e settori economici determini una regolamentazione anticoncorrenziale, con conseguenze negative per l’economia nazionale».
La Regione, in primo luogo, sostiene che, nella normativa censurata, la nozione di codice a sorgente aperto costituirebbe, in realtà, una sottocategoria del software proprietario, in quanto si limiterebbe a prevedere la disponibilità del codice sorgente, senza gli altri diritti e libertà che caratterizzano il software libero. In ogni caso la suddetta normativa non imporrebbe alle amministrazioni locali l’acquisto di software esclusivamente a codice sorgente aperto, limitandosi soltanto ad indicarlo come da privilegiare per i propri servizi. Comunque, non sarebbe dato comprendere come la scelta di un ente rispetto ad una caratteristica, e non ad un prodotto, effettuata in base ad una valutazione tecnico-economica di convenienza ed opportunità, possa essere considerata invasiva della norma sulla tutela della concorrenza.
Richiamato il contenuto delle disposizioni censurate, la Regione pone l’accento sulle formule adottate, che non recano precetti impositivi, ma si limitano ad esprimere una preferenza verso le caratteristiche funzionali di un prodotto.
Le questioni non sono fondate.
L’art. 4, comma 1, della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009 dispone che «La Regione utilizza programmi per elaboratore a sorgente aperto e a formati aperti per la diffusione in formato elettronico di documenti soggetti all’obbligo di pubblicità nonché per garantire il diritto di accesso di cui alla legge regionale 4 luglio 2005, n. 7 (Nuove disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) mediante scambio di dati in forma elettronica».
L’art. 5, comma 1, stabilisce che «La Regione, nel trattamento di dati personali mediante l’ausilio di mezzi elettronici secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), o di dati la cui diffusione o comunicazione a terzi non autorizzati può comportare pregiudizio per la pubblica sicurezza, utilizza programmi per elaboratore a sorgente aperto».
Il dettato dell’art. 6, comma 1, è stato riportato nel paragrafo 5.
Da ultimo, l’art. 6, comma 2, della citata legge regionale prevede che «Fatte salve le soluzioni in uso alla data di entrata in vigore della presente legge ed entro i limiti di cui all’art. 11, la Regione, nella scelta dei programmi per elaboratore elettronico, privilegia i programmi appartenenti alla categoria del software libero e i programmi il cui codice è ispezionabile dal titolare della licenza».
Come emerge con chiarezza dal tenore delle disposizioni censurate, in esse non vi è alcun cenno ad “imposizioni” rivolte alle amministrazioni locali per vincolarle all’acquisto di software esclusivamente a codice sorgente aperto. Soltanto l’art. 11, comma 2 (non censurato), dispone che «entro dodici mesi dall’approvazione della presente legge gli enti dipendenti dalla Regione adeguano le proprie strutture secondo quanto previsto all’art. 4». La norma, quindi, ha come destinatari gli enti dipendenti dalla Regione, e non gli enti locali, e la previsione è limitata al disposto dell’art. 4.
In effetti, si tratta di norme con le quali la resistente disciplina l’organizzazione dei propri servizi informatici (come si è già notato, questa è materia di competenza residuale), esprimendo un orientamento favorevole all’impiego di programmi appartenenti alla categoria del software libero e di programmi il cui codice è ispezionabile dal titolare della licenza.
Tale scelta è conforme alla disciplina statale introdotta dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), il cui art. 68, comma 1, dopo aver stabilito il principio che le pubbliche amministrazioni acquisiscono, secondo le procedure previste dall’ordinamento, programmi informatici a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le soluzioni disponibili sul mercato, individua tra dette soluzioni anche l’acquisizione di programmi informatici a codice sorgente aperto. E proprio in questo quadro l’art. 6, comma 3, della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009 dispone che «La Regione, in sede di acquisizione dei programmi informatici, effettua, in relazione alle proprie esigenze, una valutazione comparativa di tipo tecnico economico tra le diverse soluzioni disponibili sul mercato».
La scelta indicata, dunque, non è di tipo esclusivo, ma tendenziale e postula la suddetta valutazione comparativa, come è confermato anche dalla prevista possibilità di ricorso a formati proprietari (art. 4, comma 2), con la precisazione che in tal caso la Regione motiva le ragioni delle proprie scelte (previsione ribadita anche nell’art. 6, comma 4).
Infine, si deve ancora ribadire che i concetti di software libero e di software con codice ispezionabile non sono nozioni concernenti una determinata tecnologia, marca o prodotto, bensì esprimono una caratteristica giuridica. In sostanza, ciò che distingue il software libero da quello proprietario è il differente contenuto dell’accordo negoziale (licenza), posto a fondamento della disciplina dei diritti di utilizzazione del programma; e la scelta circa l’adozione dell’uno o dell’altro modulo negoziale appartiene alla volontà dell’utente.
Ne deriva che la lesione della concorrenza, paventata dalla difesa dello Stato in relazione alla normativa de qua, non è configurabile.
7. — La Presidenza del Consiglio dei ministri, nelle conclusioni del ricorso, chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’intera legge, in via consequenziale alle violazioni denunziate.
Si deve però osservare che la declaratoria d’illegittimità dell’art. 1, comma 3, e dell’art. 3 della legge censurata non presenta alcun riflesso sulla restante normativa.
La richiesta, dunque, non può trovare ingresso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 3 della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 9 (Norme in materia di pluralismo informatico, sull’adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione);
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 1, 5, comma 1, e 6, commi 1 e 2, della suddetta legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009, promosse, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere e) ed l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2010.