ORDINANZA N. 313
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Francesco AMIRANTE Presidente:
Ugo DE SIERVO, Giudice
Paolo MADDALENA “
Alfio FINOCCHIARO “
Alfonso QUARANTA “
Franco GALLO “
Gaetano SILVESTRI, “
Sabino CASSESE “
Maria Rita SAULLE, “
Giuseppe TESAURO “
Paolo Maria NAPOLITANO “
Giuseppe FRIGO “
Alessandro CRISCUOLO “
Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), promosso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Trapani con ordinanza del 14 febbraio 2009, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 novembre 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani, con ordinanza del 14 febbraio 2009, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 19 (recte: 13) della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), nella parte in cui «consente l’arresto al di fuori dei casi di flagranza del reato per violazioni del precetto di vivere onestamente e rispettare le leggi, imposto con [la] misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno»;
che il rimettente è investito della richiesta, formulata dal pubblico ministero in data 12 febbraio 2009, di convalida dell’arresto e di contestuale applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di una persona, già sottoposta alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, denunciata da alcuni parenti per avere più volte estorto agli stessi somme di danaro;
che l’arresto dell’indagato, secondo quanto riferito dal giudice a quo, sarebbe stato eseguito dalla polizia giudiziaria al di fuori della flagranza, «sul semplice presupposto della denuncia di piccoli fatti estorsivi consumati in ambito familiare», in applicazione della previsione contenuta nell’art. 9, comma 3, della legge n. 1423 del 1956, e ciò in linea con il diritto vivente, secondo il quale «colui che commette un delitto (nella specie, un furto) durante il periodo in cui è soggetto a sorveglianza speciale deve rispondere anche del reato di violazione della prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi ex art. 9 L. 27 dicembre 1956, n. 1423» (sono richiamate le sentenze della Corte di cassazione 18 ottobre 2007, n. 39909; 12 maggio 2004, n. 32915; 9 gennaio 1996, n. 1888; 1 ottobre 1981, n. 9356; 8 marzo 1965, n. 384);
che in questa prospettiva, osserva il rimettente, la persona sottoposta a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno può essere arrestata «anche a fronte della commissione di delitti di modesta gravità, ed al di fuori della conclamata situazione di colpevolezza costituita dalla flagranza di reato»;
che inoltre la temporanea privazione della libertà personale avviene «al di fuori dei casi di urgenza, indicati tassativamente dalla legge, e per la violazione di precetti penali che non consentirebbero l’arresto in flagranza»;
che dunque, ritenendo che la previsione censurata si ponga in «palese violazione dei principi costituzionali posti dagli artt. 3 e 19», il rimettente solleva la questione di legittimità costituzionale nei termini sopra indicati, contestualmente sospendendo il procedimento di convalida dell’arresto;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la manifesta infondatezza della questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. e per l’inammissibilità della questione sollevata con riguardo all’art. 19 Cost.;
che, a proposito dell’asserita disparità di trattamento e della conseguente violazione del principio di ragionevolezza, la difesa erariale osserva come la Corte costituzionale abbia più volte precisato che il proprio intervento deve intendersi limitato alla verifica dell’arbitrarietà, contraddittorietà e palese irragionevolezza della disciplina sottoposta a scrutinio;
che, nella specie, la normativa in esame prevede un discrimine tra soggetti sottoposti alle misure di prevenzione e soggetti che invece non lo sono, e che da tale distinzione discenderebbe, tra le molteplici conseguenze, anche la prevista possibilità dell’arresto fuori dei casi di flagranza del reato per i soggetti sottoposti alla sorveglianza speciale con obbligo (o divieto) di soggiorno;
che la ratio della diversa disciplina si rinviene agevolmente, a parere dell’Avvocatura generale, nella «maggiore ed acclarata (da un tribunale che ha emesso un decreto applicativo della misura in oggetto) pericolosità sociale» della persona sottoposta alla predetta misura, da cui discenderebbe l’esigenza di un «controllo più rigido e attento» del comportamento che questa assume;
che pertanto la rilevata diversità di trattamento non sarebbe censurabile in sede di controllo di costituzionalità;
che, infine, con riguardo all’asserito contrasto della norma oggetto di censura con l’art. 19 Cost., la difesa dello Stato segnala per un verso l’inconferenza del parametro evocato, giacché il principio di libera professione della fede religiosa non appare in alcun modo investito dalla previsione contenuta nella norma predetta, e, per altro verso, la mancata esplicitazione, da parte del rimettente, delle ragioni dell’asserito contrasto, con la conseguenza che sotto tale profilo la questione risulterebbe inammissibile.
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani solleva, in riferimento agli artt. 3 e 19 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), nella parte in cui «consente l’arresto al di fuori dei casi di flagranza del reato per violazioni del precetto di vivere onestamente e rispettare le leggi, imposto con [la] misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno»;
che il richiamo operato dal rimettente all’art. 19 Cost., quale parametro asseritamente violato dalla norma censurata, deve in realtà intendersi riferito all’art. 13 Cost., il cui contenuto precettivo è esplicitamente evocato nell’atto introduttivo del presente giudizio;
che d’altronde la questione, pur formalmente posta in riferimento all’art. 9, comma 3, della legge n. 1423 del 1956, concerne l’intera disciplina sanzionatoria che il legislatore ha dettato con riguardo alla sorveglianza speciale con obbligo (o divieto) di soggiorno, contenuta nel comma 2 del medesimo articolo;
che infatti la norma censurata dal rimettente, consentendo l’arresto anche fuori dei casi di flagranza «nell’ipotesi indicata al comma 2», contiene un rinvio recettizio al citato comma 2, il quale, a sua volta, configura come delitto, punibile con la reclusione da uno a cinque anni, l’inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno;
che, per altro verso, il rimettente, nel censurare la previsione dell’arresto fuori flagranza del soggetto sottoposto a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, lamenta che tale trattamento possa trovare applicazione a fronte di qualsiasi reato commesso dal sorvegliato medesimo, anche di modesta gravità, in quanto integrante l’inosservanza della prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi;
che, dunque, il rimettente prospetta anche l’irragionevolezza della previsione sostanziale cui la norma censurata collega la disciplina del trattamento precautelare;
che sotto tale profilo la questione va dichiarata manifestamente infondata, anche alla luce delle affermazioni contenute nella sentenza di questa Corte n. 161 del 2009, successiva all’ordinanza di rimessione;
che la citata pronuncia ha scrutinato proprio la previsione contenuta nell’art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956, come riformulata dall’art. 14 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 31 luglio 2005, n. 155, escludendo il contrasto prospettato in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.;
che, dopo aver ricostruito l’evoluzione della normativa in esame, la Corte ha ritenuto non irragionevole la scelta legislativa di inasprire il trattamento sanzionatorio delle condotte penalmente illecite, inerenti alla misura della sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, scelta attuata «collocando nella relativa fattispecie criminosa, punita con la reclusione da uno a cinque anni, anche l’inosservanza delle prescrizioni inerenti a tale misura, disposte dal tribunale ex art. 5 della legge n. 1423 del 1956 e successive modificazioni»;
che quindi, una volta esclusa l’irragionevolezza della scelta legislativa di uniformare il trattamento sanzionatorio per tutti i casi di inosservanza agli obblighi ed alle prescrizioni, inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, a fortiori si deve escludere l’irragionevolezza della previsione che consente, per quegli stessi casi, l’arresto fuori flagranza, senza distinguere in base alla gravità del delitto commesso;
che, peraltro, il rimettente non indica alcun criterio per operare, in base ad una non meglio precisata scala di gravità, una distinzione tra le fattispecie riconducibili alla previsione incriminatrice, né tale criterio si può ricavare dall’esame del caso posto ad oggetto del procedimento principale, che concerne un delitto di estorsione continuata e dunque un fatto che sotto nessun profilo può definirsi «di modesta entità»;
che la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata anche con riguardo alla censura prospettata in riferimento all’art. 13 Cost.;
che questa Corte, sia pure in un contesto normativo parzialmente diverso da quello odierno, ha affermato che la previsione dell’arresto facoltativo fuori flagranza del sorvegliato speciale, per la violazione degli obblighi inerenti alla misura di prevenzione, risponde ai requisiti di «tassatività, eccezionalità, necessità ed urgenza», richiesti dalla Costituzione per l’adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale da parte dell’autorità di pubblica sicurezza (sentenza n. 64 del 1977; ordinanza n. 293 del 1989);
che, in particolare, nella sentenza richiamata si sottolinea come la regola della tassatività sia rispettata, «in quanto la disposizione impugnata – oltre ad indicare la categoria di persone […] nei cui confronti può essere disposto l’arresto – descrive anche il comportamento che legittima il provvedimento restrittivo della libertà personale, identificabile nel fatto della trasgressione agli specifici obblighi inerenti alla sorveglianza speciale»;
che, inoltre, avuto riguardo al requisito dell’urgenza, questa Corte ha chiarito come debba escludersi l’irragionevolezza della «previsione che possa ricorrere (fuori della flagranza) una situazione di urgenza che renda necessario l’intervento restrittivo della libertà personale: ove si tenga presente che il provvedimento si rivolge a soggetti nei cui confronti si sono già verificate le condizioni di pericolosità sociale per la sottoposizione alla misura della sorveglianza speciale, e che hanno, per di più, contravvenuto agli obblighi relativi»;
che peraltro, nella stessa pronuncia, si è sottolineato come, in applicazione dell’evocato parametro, l’arresto rimanga comunque soggetto a convalida da parte dell’autorità giudiziaria, la quale deve, tra l’altro, controllare e motivare la sussistenza in concreto dei requisiti della necessità e dell’urgenza dell’intervento della polizia giudiziaria, e come, nella sede in questione, assuma specifica rilevanza anche l’entità della «trasgressione» posta in essere dal soggetto sottoposto alla misura di prevenzione;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata con riferimento a tutti i profili di censura prospettati.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2009.