ORDINANZA N. 110
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria per il 2005), promosso dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, nel procedimento civile vertente tra Foglia Luca e Foglia Giuseppe con ordinanza dell’8 settembre 2007, iscritta al n. 306 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 marzo 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che, con ordinanza dell’8 settembre 2007, il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria per il 2005), per contrasto con gli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione;
che il rimettente riferisce che, con atto di citazione notificato il 13 agosto 2007, F. L. aveva intimato sfratto per morosità a F. G., con contestuale richiesta di rilascio dell’immobile, esponendo che egli, in data 1° gennaio 2005, aveva concluso in forma scritta un contratto di locazione ad uso abitativo relativo ad un appartamento sito in Forio di Ischia, in relazione al quale il conduttore si era reso inadempiente alla propria obbligazione di corrispondere il canone pattuito a decorrere da ottobre 2006;
che il rimettente rileva che l’adozione dei provvedimenti richiesti è preclusa rebus sic stantibus dal disposto dell’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, a norma del quale i contratti di locazione o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento di unità immobiliari ovvero di loro porzioni sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non siano registrati;
che le emergenze processuali non attestano l’avvenuta registrazione del dedotto contratto di locazione (pur prodotto in forma scritta);
che, pertanto, mancando un valido rapporto locativo, il giudicante non può né convalidare lo sfratto per morosità per intervenuta opposizione, né assegnare il termine per sanare la morosità;
che, di conseguenza, ritiene il giudice a quo di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, pur non ignorando che una giurisprudenza di merito ha ritenuto che, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, deve escludersi che tale norma configuri la registrazione come requisito di validità della locazione, costituendo essa piuttosto una mera condicio iuris di efficacia del contratto, che può intervenire, con effetto ex tunc, pure in un momento successivo rispetto alla conclusione del negozio;
che quest’ultima interpretazione sarebbe in contrasto con l’inequivocabile dato letterale della norma impugnata, dal momento che il necessario rispetto dovuto al legislatore impone di ritenere che quest'ultimo, laddove ha richiamato la categoria della nullità del contratto, abbia operato proprio al fine di creare una figura di nullità a carattere assoluto, collegata ad una fattispecie esterna rispetto all'accordo negoziale;
che neppure sarebbe possibile estendere alla suddetta materia l'interpretazione prospettata quanto ai patti contrari alla legge di cui all'art. 13, comma 1, legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo) dalla Corte di cassazione (Cass. 27 ottobre 2003, n. 16089) e dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 242 del 2004);
che, secondo il rimettente, la decisione del legislatore di porre la registrazione quale vero e proprio requisito per la giuridica esistenza del contratto si traduce in un limite all'autonomia contrattuale, la quale costituirebbe un diritto fondamentale della persona (giacché strumentale al principio di libertà dell'iniziativa economica tutelato dall'art. 41, primo comma, della Costituzione), che può cedere solo di fronte a motivi di ordine superiore, economico e sociale, considerati rilevanti dalla Costituzione (art. 41, comma 2, della Costituzione);
che il giudice a quo ritiene che il mancato rispetto della normativa tributaria non costituisca in tale ottica un legittimo limite all'autonomia privata (e quindi all'iniziativa economica);
che la violazione della disciplina tributaria rimane innanzitutto sanzionabile mediante il recupero, anche coattivo, delle somme evase così da soddisfare pienamente l’interesse statuale al reperimento delle necessarie risorse finanziarie;
che, peraltro, la salvaguardia degli interessi economici dello Stato è assicurata anche dall'obbligo imposto all'organo giurisdizionale civile dall'art. 36, comma quarto, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e successive modificazioni, di trasmettere idonea comunicazione agli organi competenti per l'accertamento degli illeciti tributari e fiscali;
che l'esito del bilanciamento costituzionale degli opposti interessi rende allora socialmente ingiustificato il previsto limite alla libertà negoziale, che si risolve conseguentemente in una incostituzionale lesione di un diritto fondamentale della persona;
che lo stesso legislatore ordinario ha sancito all'art. 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), che le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto;
che tale principio si paleserebbe coerente con la regola della dicotomia fra l'interpretazione fiscale del contratto e il dato civilistico posta dall’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell’imposta di registro), successivamente art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), in virtù del quale «l'imposta è applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente»;
che, secondo il giudice a quo, la norma impugnata sarebbe inoltre in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto irrazionale e discriminatoria perché assoggetta, in caso di mancata registrazione, alla sanzione di nullità, senza alcuna plausibile giustificazione, unicamente alcune fattispecie contrattuali (i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni) e non tutte le ipotesi di atti privati per i quali vige l'obbligo di registrazione;
che, infine, la norma impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 24 Cost., dal momento che lo Stato non potrebbe mai sanzionare il mancato pagamento di un tributo con la perdita dell'esercizio di un diritto, mentre la sanzione della nullità del contratto di locazione non registrato impedirebbe de facto, al locatore in mancanza di elementi ostativi, aventi rilievo costituzionale, al pieno esercizio dell'autonomia privata, di giovarsi del procedimento sommario di sfratto per morosità, potendo lo stesso recuperare la disponibilità dell'immobile solo a seguito dell'utile esperimento della meno agevole azione ordinaria per occupazione sine titulo;
che, peraltro, anche il conduttore non sarebbe tutelato dalla normativa in esame, in quanto egli sarebbe equiparato ad un mero occupante sine titulo, con tutte le intuibili conseguenze in tema di precarietà della disponibilità dell’immobile e di non azionabilità dei diritti a lui attribuiti dallo statuto locativo;
che nel giudizio innanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata;
che, secondo l’Autorità intervenuta, la norma impugnata non introdurrebbe una condizione al diritto di agire in giudizio, ma opererebbe sul piano sostanziale, limitandosi a sancire una nullità non prevista dal codice civile, con la conseguenza che tale norma dunque non introdurrebbe ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleverebbe la norma tributaria al rango di norma imperativa la cui violazione determina la nullità del negozio ex art. 1418 cod. civ.;
che tale operazione non costituirebbe una novità nel nostro ordinamento, poiché, ai sensi dell’art. 62 del d.P.R. n. 131 del 1986, sono nulli i patti contrari alle disposizioni del decreto medesimo, compresi quelli che pongono l’imposta e le eventuali sanzioni a carico di una delle parti;
che, peraltro, la stessa questione è stata già dichiarata manifestamente infondata con l’ordinanza n. 420 del 2007;
che, quanto al limite all’iniziativa economica, il dubbio sarebbe del tutto infondato in quanto le norme sostanziali che dispongono la sanzione della nullità vanno rispettate come qualsiasi altra norma.
che, secondo il rimettente, sarebbe violato l'art. 41 della Costituzione, perché si porrebbe un limite all'autonomia contrattuale, la quale invece costituirebbe un diritto fondamentale della persona, che, in quanto tale, potrebbe cedere solo di fronte a motivi di ordine superiore, economico e sociale, considerati rilevanti dalla Costituzione, fra i quali non rientrerebbe il mancato rispetto della normativa tributaria;
che, inoltre, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto assoggetterebbe, in caso di mancata registrazione, alla sanzione di nullità unicamente alcune fattispecie contrattuali e non già tutte le ipotesi di atti privati per i quali vige l'obbligo di registrazione;
che, infine, sarebbe recato vulnus all'art. 24 della Costituzione, perché la sanzione della nullità del contratto di locazione non registrato impedirebbe al locatore di giovarsi del procedimento sommario di sfratto per morosità, potendo lo stesso recuperare la disponibilità dell'immobile solo a seguito dell'utile esperimento della meno agevole azione ordinaria per occupazione sine titulo, e allo stesso tempo equiparerebbe il conduttore ad un mero occupante sine titulo, con conseguente precarietà della disponibilità dell'immobile e non azionabilità dei diritti a lui attribuiti dallo statuto locativo;
che il rimettente – evocando, relativamente agli effetti dell'omessa registrazione, la diversità delle conseguenze previste per la fattispecie oggetto del giudizio a quo rispetto a quelle sancite per altri contratti per i quali esiste un analogo obbligo di registrazione a fini fiscali – pone a raffronto tipi negoziali affatto eterogenei (i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, da un lato, e gli altri contratti, dall'altro), senza però motivare adeguatamente in ordine a tale diversità e alla dedotta irragionevolezza delle conseguenze della sanzione della nullità sulle posizioni dei contraenti;
che, in particolare, il medesimo rimettente non individua i motivi dell'ipotizzata irragionevolezza intrinseca della norma, limitandosi ad indicare, in termini meramente descrittivi, l'ovvia diversità delle conseguenze derivanti alle parti dalla previsione della nullità del contratto rispetto al regime precedente;
che, inoltre, non vengono neppure chiarite le ripercussioni della nullità sull'interesse pubblico perseguito dall'amministrazione finanziaria sotto il profilo della possibilità o meno per la stessa di trattenere le somme eventualmente versate a titolo di imposta di registro, discendendone così una carenza, sul punto, della motivazione relativa alla dedotta irragionevolezza della norma e al suo presunto contrasto con l'ipotizzato diritto fondamentale della persona all'autonomia contrattuale;
che tali difetti di motivazione determinano la manifesta inammissibilità della questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.;
che, con riferimento alla violazione dell'art. 24 Cost., deve confermarsi la pronuncia di manifesta infondatezza in precedenza adottata con riferimento ad identica controversia, perché il parametro invocato non è conferente in quanto la norma impugnata non introduce ostacoli alla tutela giurisdizionale (ordinanze n. 420 del 2007 e n. 389 del 2008).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge finanziaria per il 2005), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 aprile 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2009.