ORDINANZA N. 73
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153 (Integrazione dell’attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita), promossi con ordinanze del 10 dicembre 2007 dal Tribunale di Palermo, del 14 febbraio 2008 dal Tribunale di Macerata, del 7 novembre 2007 dal Tribunale di Alessandria e del 19 febbraio 2008 dal Tribunale di Sondrio, rispettivamente iscritte ai numeri 130, 131, 160, 161 e 174 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 19, 23 e 24, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto che, con le prime due ordinanze indicate in epigrafe, d’identico tenore, il Tribunale di Palermo ha sollevato, in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153 (Integrazione dell’attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita), nelle parti in cui configura come delitto la fattispecie criminosa ivi descritta e commina pene superiori ai “minimi edittali” indicati nella legge delega 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1994);
che il giudice a quo, investito di processi nei confronti di persone imputate del delitto previsto dalla norma denunciata per avere eseguito operazioni di ricezione o di trasferimento di denaro, o per avere svolto attività d’intermediazione finanziaria in cambi e prestazioni di servizi di pagamento, senza la prevista iscrizione nell’apposito elenco degli operatori in attività finanziaria istituito presso l’Ufficio Italiano Cambi, espone che i difensori hanno eccepito l’illegittimità costituzionale di detta norma per contrasto con gli articoli 25, 76 e 77 Cost.;
che il rimettente muove da una ricostruzione preliminare del quadro normativo di riferimento, rilevando come la disposizione denunciata sia stata emanata sulla base della delega legislativa conferita al Governo dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52, ai fini dell’integrazione dell’attuazione della direttiva n. 91/308/CEE, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite (direttiva poi abrogata dall’art. 44 della direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo n. 60 del 20 ottobre 2005);
che il legislatore delegante aveva imposto di procedere al riordino delle sanzioni amministrative e penali previste nella normativa di riferimento – cioè nel decreto-legge 3 maggio 1991 n. 143 (Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio), convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197 – stabilendo tuttavia di eseguire tale riordino senza eccedere i limiti massimi ivi contemplati, come previsto dall’art. 15, comma 2, della legge delega n. 52 del 1996;
che all’epoca dell’emanazione della citata legge delega la normativa di riferimento (legge n. 197 del 1991) prevedeva soltanto fattispecie di natura contravvenzionale in quanto, in forza dell’art. 161 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e dunque ben prima dell’emanazione della medesima legge delega, era stato abrogato l’art. 6, comma 9, della legge n. 197 del 1991, recante l’unica ipotesi – nell’ambito di detta normativa – di delitto sanzionato con reclusione e multa, sicché il legislatore delegante non poteva certo riferirsi ad una disposizione non più in vigore;
che, inoltre, anche qualora si volesse ritenere che il legislatore delegante intendesse riferirsi non soltanto alla normativa (legge n. 197 del 1991) esplicitamente richiamata nell’art. 15, comma 1, lettera c), della legge n. 52 del 1996 ma anche all’art. 5 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167 (Rilevazione a fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, andrebbe osservato come il legislatore delegato abbia superato i limiti sanzionatori fissati dal legislatore delegante, prevedendo nella norma impugnata una pena (da sei mesi a quattro anni di reclusione e la multa da euro 2.065 ad euro 10.329) ben superiore rispetto a quella stabilita dal citato art. 5 della legge n. 227 del 1990 (da sei mesi ad un anno di reclusione e la multa da 500 a 5.000 euro);
che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale sollevata dai difensori con riferimento a tale profilo si rivela non manifestamente infondata per violazione degli articoli 76 e 77 Cost., mentre la rilevanza della questione medesima nel caso concreto non può essere posta in dubbio, avuto riguardo alla sua diretta incidenza sul processo e sulla pena;
che, invece, il rimettente reputa manifestamente infondate le deduzioni delle difese riguardanti sia la “disomogeneità” tra le fattispecie concrete riportate nella normativa di riferimento (d.l. n. 143 del 1991, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197) e la disposizione attuativa della delega (art. 5, comma 3, del d. lgs. n. 153 del 1997); sia «avere in ultima analisi effettuato il rimando normativo concretamente descrittivo, sulla base del quale individuare i soggetti agenti ed il contenuto delle condotte punite nella fattispecie, ad una fonte di natura regolamentare, dunque di rango inferiore» con asserita violazione del principio della riserva di legge in materia penale;
che nei due giudizi di legittimità costituzionale così promossi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, perché il rimettente sarebbe incorso in errore nell’individuazione della “norma interposta”, da identificare non nell’art. 15 della legge n. 52 del 1996 ma nell’art. 3, comma 1, lettera c), della legge stessa, alla cui stregua la disposizione denunziata dovrebbe ritenersi pienamente rispettosa della delega;
che, con le altre tre ordinanze indicate in epigrafe, il Tribunale di Macerata, il Tribunale di Alessandria e il Tribunale di Sondrio, anch’essi investiti di processi nei confronti di persone imputate del delitto previsto dalla norma denunciata per aver svolto operazioni di trasferimento di denaro senza essere iscritte nell’elenco degli agenti in attività finanziaria tenuto dall’Ufficio Italiano Cambi, o per avere indotto altro soggetto a svolgere tale attività (si veda l’ordinanza del Tribunale di Alessandria), hanno del pari sollevato, in riferimento agli articoli 76 e 77 Cost., altrettante questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153, nelle parti in cui configura come delitto la fattispecie penale in esso descritta e commina quindi pene di specie diversa e superiori ai limiti edittali indicati nella legge delega 6 febbraio 1996, n. 52;
che, in particolare, i rimettenti, ritenuta la rilevanza della questione nel caso concreto, stante la sua incidenza sul processo e sulla pena, pervengono a giudicare la questione medesima non manifestamente infondata, esponendo argomenti sostanzialmente analoghi a quelli addotti nelle due ordinanze del Tribunale di Palermo (in sintesi, eccesso di delega per avere introdotto una fattispecie di reato configurata come delitto e non come contravvenzione, con un trattamento sanzionatorio esorbitante rispetto ai criteri direttivi indicati dal legislatore delegante);
che nel giudizio di costituzionalità promosso con l’ordinanza del Tribunale di Macerata è intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata per il già dedotto errore nell’individuazione della “norma interposta”;
che le parti private non hanno svolto attività difensiva.
Considerato che le cinque ordinanze di rimessione indicate in epigrafe sollevano questioni identiche, onde i relativi giudizi devono essere riuniti per essere definiti con unica decisione;
che i giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153 (Integrazione dell’attuazione della direttiva 91/308/CEE, in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita), nelle parti in cui configura come delitto la fattispecie criminosa ivi descritta e commina pene superiori ai “limiti edittali” indicati nella legge delega 6 febbraio 1996, n. 52;
che, ad avviso dei rimettenti, il legislatore delegato doveva ritenersi abilitato ad introdurre unicamente fattispecie penali di tipo contravvenzionale, punite con pene non superiori a quelle previste per i reati contemplati dal decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni nella legge 5 luglio 1991, n. 197; e comunque – qualora si dovesse fare riferimento, oltre che alla normativa di cui alla legge n. 197 del 1991, anche al d.l. n. 167 del 1990, convertito con modificazioni dalla legge n. 227 del 1990, pure richiamato nell’art. 15, comma 1, della legge delega – il trattamento sanzionatorio sarebbe sempre esorbitante rispetto ai limiti edittali in tale normativa contemplati;
che i rimettenti valutano, tuttavia, la sussistenza del dedotto vizio di eccesso di delega esclusivamente alla luce dei criteri di delega specifici dettati dall’art. 15 della legge n. 52 del 1996 ai fini dell’integrazione dell’attuazione della direttiva 91/308/CEE, senza tenere conto dei criteri generali stabiliti dalla medesima legge in tema di disciplina delle sanzioni: criteri, questi ultimi, la cui applicabilità non è esclusa dai primi;
che, secondo un approccio tipico delle “leggi comunitarie”, la legge n. 52 del 1996 ha delegato infatti il Governo ad emanare i decreti legislativi recanti le norme necessarie per dare attuazione ad un complesso di direttive comunitarie, indicate nell’allegato A alla medesima legge (art. 1): direttive fra le quali è compresa la direttiva 91/308/CEE in tema di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite;
che la medesima legge n. 52 del 1996 reca, altresì, all’art. 3, un insieme di criteri e principi direttivi “generali”, cioè valevoli per tutti i decreti legislativi da emanare, salvi i principi specifici dettati dai successivi articoli in relazione alle singole materie e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare;
che, con particolare riguardo all’assetto sanzionatorio, la lettera c) del citato art. 3 – ripetendo una formula corrente nelle “leggi comunitarie” – stabiliva che il legislatore delegato potesse introdurre sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi, ove necessario al fine di assicurarne l’osservanza: entro il limite, quanto alle sanzioni penali, dell’ammenda fino a lire duecento milioni e dell’arresto fino a tre anni, e sempre che le infrazioni ledessero o esponessero a pericolo «interessi generali dell’ordinamento interno del tipo di quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689»;
che la medesima disposizione, tuttavia, soggiungeva che «in ogni caso, in deroga ai limiti sopra indicati, per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali o amministrative identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni medesime»;
che – come emerge chiaramente dalla relazione integrativa allo schema del d.lgs. n. 153 del 1997 – proprio sulla base del criterio generale di delega ora indicato, e non già di quelli specifici di cui all’art. 15 della medesima legge, il legislatore delegato ha inteso emanare la norma incriminatrice di cui si discute: e ciò sul rilievo che la fattispecie di abusivismo contemplata da tale norma risulterebbe omogenea e di pari offensività rispetto al delitto di abusiva attività finanziaria previsto dall’art. 132 d.lgs. n. 385 del 1993, nonché al delitto di abusivo esercizio dell’attività di mediazione creditizia, previsto dall’art. 16, comma 7, della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura); delitti al cui trattamento sanzionatorio è stato quindi allineato quello della figura di reato di cui si discute;
che, come eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato, i rimettenti hanno individuato, dunque, in modo errato la norma di delega alla cui stregua va apprezzata la sussistenza del dedotto vizio di eccesso di delega, svolgendo per conseguenza argomentazioni inconferenti ai fini di tale valutazione, il che rende le questioni sollevate manifestamente inammissibili (sentenza n. 382 del 2004; ordinanza n. 72 del 2003);
che i rilievi fin qui svolti sono stati già esposti da questa Corte nell’ordinanza n. 194 del 2008, che, sulla base di essi, ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti della medesima norma qui denunciata in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost;
che i detti rilievi non sono stati in alcun modo superati dalle ordinanze di rimessione indicate in epigrafe.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153 (Integrazione dell’attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita), sollevate, in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale di Palermo, dal Tribunale di Macerata, dal Tribunale di Alessandria e dal Tribunale di Sondrio con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2009.