ORDINANZA N. 71
ANNO 2009
Commento alla decisione di
Alessando Pace
Dalla “presbiopia” comunitaria alla “miopia” costituzionale?
(per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione Italiana del Costituzionalisti)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, numero 1), dell’allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), promosso dal Tribunale di La Spezia nel procedimento civile vertente tra R. M. e A.T.C. s.p.a., con ordinanza del 29 maggio 2008 iscritta al n. 310 del registro ordinanze del 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto che il Tribunale di La Spezia, giudice monocratico del lavoro, ha sollevato, con riferimento agli articoli 3 e 4 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 1, numero 1), dell’allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), nella parte in cui richiede, per l’ammissione in prova al servizio, il requisito della cittadinanza italiana;
che il Giudice rimettente riferisce che dinanzi a esso un cittadino extracomunitario, regolarmente soggiornante in Italia, ha esperito contro un’azienda di trasporto pubblico, che in applicazione della disposizione impugnata aveva rifiutato di assumerlo, un’azione civile contro la discriminazione ex art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), poi convertita in ricorso ai sensi dell’art. 414 del codice di procedura civile, chiedendo l’accertamento della discriminazione operata dall’azienda stessa e l’adozione di ogni opportuno provvedimento, segnatamente la condanna al risarcimento del danno;
che il giudice a quo, dopo aver richiamato alcune previsioni legislative in materia di immigrazione, condizione dello straniero e parità di trattamento in relazione alla razza e all’origine etnica, afferma la vigenza della disposizione impugnata, che non sarebbe stata abrogata dalle menzionate previsioni;
che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il Tribunale, che ritiene infondate le altre domande, osserva che le domande risarcitorie possono essere accolte solo se la disposizione impugnata venga dichiarata costituzionalmente illegittima, mentre in caso contrario esse vanno respinte;
che, di conseguenza, nella prospettazione del giudice a quo, la rilevanza della questione dipende dalla costruzione di un’ipotesi di illecito civile che non esisteva nel momento in cui il comportamento dannoso è stato posto in essere;
che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, il rimettente ritiene che, nel settore del trasporto pubblico locale, il requisito della cittadinanza italiana non sia più giustificabile alla luce dell’evoluzione subita dalle aziende operanti nel settore e della natura ormai privatistica del rapporto di lavoro del loro personale; esclude che il requisito in questione possa essere giustificato da un’asserita delicatezza delle funzioni degli autisti di mezzi pubblici e dubita, quindi, della conformità della disposizione impugnata all’art. 3 Cost., per la sua irragionevolezza, e all’art. 4 Cost., in quanto frappone un irragionevole ostacolo all’effettiva attuazione del diritto al lavoro;
che nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato, per affermare l’infondatezza della questione, argomentando che la disposizione impugnata è il risultato di una valutazione discrezionale, operata dal legislatore, circa il particolare impatto dell’attività relativa al trasporto pubblico sugli interessi della collettività, e che essa si armonizza con la previsione dell’art. 10 Cost., che rimette al legislatore ordinario la disciplina della condizione giuridica dello straniero.
Considerato che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata viene invocata dal rimettente per poter qualificare ex post un fatto come illecito e, quindi, poter condannare l’azienda convenuta al risarcimento del danno;
che, su queste basi, la condanna non potrebbe comunque essere pronunciata, perché una sentenza di questa Corte non può avere l’effetto di rendere antigiuridico un comportamento che tale non era nel momento in cui è stato posto in essere;
che, infatti, come già affermato da questa Corte, la condotta di un soggetto può essere assunta a fonte di responsabilità civile solo se, nel momento in cui essa è stata posta in essere, sussisteva un preciso obbligo giuridico sancito da una norma conoscibile dall’agente, in quanto la colpa specifica, consistente nella inosservanza della norma che pone una regola di condotta, può rilevare nel giudizio a quo solo se la disposizione era vigente e conoscibile al tempo del fatto (sentenza n. 202 del 1991);
che, coerentemente, il diritto vivente, espresso dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, esclude che l’efficacia retroattiva delle sentenze di questa Corte valga a far ritenere illecito il comportamento tenuto, anteriormente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma successivamente dichiarata illegittima (ex plurimis, Cass., sez. lav., 13 novembre 2007, n. 23565).
che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale non è rilevante nel giudizio principale, nel quale – in base alla prospettazione dello stesso rimettente – la condanna al risarcimento del danno non potrebbe comunque essere pronunciata;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
la Corte costituzionale
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, numero 1), dell’allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 4 della Costituzione, dal Tribunale di La Spezia, giudice monocratico del lavoro, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2009.