ORDINANZA N. 422
ANNO 2008 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 385, quarto comma, del codice di procedura civile, aggiunto dall’art. 13 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promosso dal Tribunale di Lecce, nel procedimento civile vertente tra V. L. e L. V., con ordinanza del 10 ottobre 2007, iscritta al n. 169 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 novembre 2008 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto che il Tribunale di Lecce, con ordinanza del 10 ottobre 2007, nel corso di un giudizio in cui, definita con sentenza parziale d’improcedibilità una querela di falso, il convenuto aveva chiesto in via riconvenzionale il risarcimento del danno per lite temeraria, ha sollevato, in riferimento all’articolo 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 385, quarto comma, del codice di procedura civile, aggiunto dall’art. 13 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui limita la condanna d’ufficio della parte che ha agito o resistito anche solo con colpa grave, unicamente al grado di legittimità;
che il remittente, ritenendo sussistente la malafede dell’attore, definita come la deliberata e consapevole volontà di proporre l’anzidetta querela di falso per far valere argomenti e richieste temerari, rileva tuttavia come il convenuto, nello spiegare la domanda riconvenzionale risarcitoria ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., non abbia indicato i pregiudizi in concreto patiti;
che il Tribunale richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione, definita prevalente, secondo cui la liquidazione dei danni richiede sempre la prova a carico della parte lesa dell’an e del quantum o, almeno, la desumibilità di tali elementi dagli atti di causa, ritenendo necessaria una specifica deduzione e prova del pregiudizio subito, peraltro non riscontrabile agevolmente;
che il remittente dà poi conto di un diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, seguito anche dai giudici di merito, secondo cui il danno da responsabilità aggravata può non essere oggetto di specifica dimostrazione, ma può anche essere desunto – quanto ad esistenza ed entità – da nozioni di comune esperienza, data l’impossibilità di provarlo nell’esatto ammontare, con la conseguenza della sua liquidabilità in via equitativa;
che, secondo tale giurisprudenza, l’art. 385, quarto comma, cod. proc. civ. ha effetto sulla interpretazione dell’art. 96 dello stesso codice, nel senso di svincolare la parte, costretta a contrastare l’ingiustificata iniziativa dell’avversario, dalla necessità dell’allegazione di una prova rigorosa del danno, in ragione dell’evidente ratio sanzionatoria sottesa alla condanna al risarcimento da lite temeraria;
che il giudice a quo, pur affermando di apprezzare tale giurisprudenza, e pur muovendo dalla distinzione ontologica tra la funzione sanzionatoria della «pena privata» introdotta dal nuovo quarto comma dell’art. 385 cod. proc. civ. e quella risarcitoria dell’art. 96 dello stesso codice, individua comunque una disparità di trattamento rispetto al danneggiato da lite temeraria nei gradi di merito, in quanto discriminato in funzione del «locus commissi delicti», mentre la temerarietà processuale può manifestarsi e colpire la controparte anche nei gradi di merito e non solo davanti alla Corte di cassazione;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità, ovvero di non fondatezza della questione, sottolineando, sotto il primo profilo, la collocazione della norma nell’ambito del processo di cassazione, e rilevando poi, nel merito, come la stessa sia stata introdotta quale «filtro» per i ricorsi privi di fondamento, in funzione deflattiva.
Considerato che il Tribunale di Lecce dubita della legittimità costituzionale dell’art. 385, quarto comma, del codice di procedura civile, aggiunto dall’art. 13 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui, limitando al solo giudizio di legittimità la condanna «anche d’ufficio» della parte la quale abbia agito o resistito anche solo con colpa grave, risulterebbe lesivo dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, per la disparità di trattamento rispetto al danneggiato da lite temeraria nei gradi di merito;
che la questione è manifestamente inammissibile per molteplici e concorrenti ragioni;
che, innanzitutto, il remittente, adito con una domanda per responsabilità aggravata proposta ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., impugna una norma concernente il procedimento dinanzi la Corte di cassazione, così erroneamente individuando la disposizione dalla quale deriverebbe la denunciata disparità di trattamento (ordinanza n. 461 del 2007);
che, inoltre, malgrado tale disparità sia ravvisata nel diverso regime probatorio, essa viene poi denunciata con riguardo alla mancanza di un potere officioso del giudice di merito nel provvedere alla condanna, profilo non rilevante nel giudizio a quo, in cui è stata proposta specifica domanda;
che, infine, il Tribunale di Lecce – pur dando atto dell’interpretazione giurisprudenziale, costituzionalmente adeguata, adottata anche dalla Corte di cassazione (orientata nel senso di agevolare gli oneri probatori gravanti su chi subisca la lite temeraria) e condividendola esplicitamente – non chiarisce per quali ragioni egli sia indotto a discostarsene, così traducendosi la proposta questione nella richiesta a questa Corte di avallo di una opzione ermeneutica (ordinanza n. 357 del 2008).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 385, quarto comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’articolo 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Lecce con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2008.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2008.