Sentenza n. 310 del 2008

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SENTENZA N. 310

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                           BILE                               Presidente

- Giovanni Maria             FLICK                               Giudice

- Francesco                      AMIRANTE                          "

- Ugo                               DE SIERVO                          "

- Paolo                             MADDALENA                     "

- Alfio                              FINOCCHIARO                   "

- Alfonso                         QUARANTA                        "

- Franco                           GALLO                                 "

- Luigi                              MAZZELLA                         "

- Gaetano                         SILVESTRI "

- Sabino                           CASSESE                              "

- Maria Rita                     SAULLE                                "

- Giuseppe                       TESAURO                             "

- Paolo Maria                   NAPOLITANO                     "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 701 e 704 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 12 luglio 2007 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di V. G., iscritta al n. 772 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio dell’11 giugno 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte di cassazione, con ordinanza del 12 luglio 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 31 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 701 e 704 del codice di procedura penale, nella parte in cui attribuiscono «alla Corte di appello, e non alla “Sezione di Corte di Appello per i minorenni”, la competenza a decidere sulla estradizione di soggetti minorenni all’epoca dei fatti per i quali l’estradizione è richiesta».

Il giudizio principale ha ad oggetto l’impugnazione proposta da V. G. avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze che ha accolto la richiesta di estradizione avanzata nei suoi confronti dall’autorità romena per l’esecuzione di sentenze del Tribunale di Iasi per i reati di danneggiamento e furto aggravato.

La Corte rimettente, in punto di fatto, rileva che il ricorrente, tra i motivi del ricorso, ha dedotto la violazione dell’art. 606, comma 1, lettere b) e c), cod. proc. pen., ritenendo competente a decidere sulla richiesta di estradizione la sezione di Corte di appello per i minorenni, e non la Corte di appello, e ciò sul rilievo che egli, al momento della commissione dei fatti oggetto della suddetta richiesta, non aveva ancora compiuto il diciottesimo anno di età. Il giudice a quo, infine, riporta la circostanza secondo la quale, a parere dello stesso ricorrente, la richiesta estradizione sarebbe in contrasto con gli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione in quanto non esiste in Romania un tribunale per i minorenni e la condizione dei minori sottoposti a procedimento penale non gode delle stesse tutele previste nel resto di Europa.

Illustrati i motivi del ricorso, la Corte rimettente osserva che, in conformità a quanto disposto dagli artt. 701 e 704 cod. proc. pen., la decisione in tema di estradizione di V. G. è stata adottata dalla Corte di appello di Firenze, e ciò sebbene la stessa Corte di cassazione, abbia affermato che, con la sentenza n. 470 del 1983, in casi come quello in esame, la competenza a deliberare sulla domanda di estradizione appartiene alla sezione minorenni della Corte di appello.

Il giudice a quo osserva che, nonostante tale isolata decisione (avvenuta peraltro nel periodo di vigenza del codice di procedura penale del 1930), le norme dell’attuale codice di procedura penale e il d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (che reca disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), non consentono di desumere in via interpretativa la competenza del giudice minorile, né di ritenere applicabili le disposizioni del citato d.P.R. alla procedura di estradizione nei confronti di soggetti minorenni all’epoca dei fatti per i quali essa è richiesta.

Infatti, sempre secondo il rimettente, le norme del codice di procedura penale del 1988 - coeve alle norme sul processo penale a carico di imputati minorenni - assegnerebbero la competenza a decidere sulla estradizione alla Corte di appello, senza menzionare la sezione per i minorenni, e senza richiamare le disposizioni dettate in tema di processo penale riguardanti imputati minorenni, di talché, in conformità di quanto sancito dagli artt. 701 e 704 cod. proc. pen., «è la Corte di appello ad adottare tutte le decisioni in materia di estradizione senza alcuna distinzione tra imputati adulti o minorenni all’epoca dei fatti per i quali l’estradizione è richiesta».

Il rimettente osserva poi che, a fronte della interpretazione sopra riportata, la giurisprudenza di legittimità ha sempre attribuito particolare tutela ai minori, negandone l’estradizione sia nelle ipotesi in cui l’ordinamento dello Stato richiedente prevedeva che il minorenne fosse giudicato come un adulto e che, pertanto, la pena fosse eseguita negli ordinari istituti per adulti, sia in presenza di una legislazione dello Stato richiedente che non assicurava, sul piano processuale e sostanziale, un trattamento differenziato e mitigato rispetto a quello riservato all’adulto.

In punto di rilevanza, il giudice a quo sottolinea che dalla soluzione della sollevata questione «dipende la decisione di questa Corte sull'eccezione di incompetenza per materia della Corte di appello fiorentina sollevata dal ricorrente e l’adozione o meno di una pronuncia di annullamento della sentenza impugnata per ragioni attinenti alla competenza».

Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di cassazione osserva che la giurisprudenza della Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 222 del 1983 (che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 del r.d.l. n. 1404 del 1934, nella parte in cui prevedeva la competenza del tribunale minorile per tutti i procedimenti penali per reati commessi da minori di anni diciotto, salvo che nel procedimento vi fossero coimputati maggiori di anni diciotto, ha costantemente considerato le norme sulla competenza del giudice minorile e le disposizioni processuali applicabili nel processo penale a carico di imputati minorenni come norme imprescindibili, ai fini della attuazione dei fondamentali principi costituzionali di eguaglianza e di riconoscimento e garanzia dei diritti della persona.

Il rimettente ritiene, pertanto, che le norme denunciate violino il principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione, e gli altri principi di cui agli artt. 25 e 27 della stessa, poiché − a differenza di quanto avviene nell’area della giurisdizione penale minorile − esse equiparano ingiustificatamente, nell’ambito del procedimento di estradizione, gli adulti ai minorenni, in tal modo sottraendo questi ultimi alle valutazioni di organi giudiziari che, in ragione della loro composizione (magistrati dotati di specifica attitudine preparazione ed esperienza ed «esperti»), sono particolarmente idonei ad effettuare accertamenti e ad adottare decisioni che facciano specifica attenzione alle modalità di espiazione della pena nel Paese richiedente ed al profilo delle sue finalità rieducative.

Inoltre, le disposizioni censurate confliggerebbero anche con gli artt. 2, 31 e 32 della Costituzione, in quanto la sezione di Corte di appello per i minorenni appare l’organo giurisdizionale realmente adeguato alle peculiari esigenze di garanzia del minorenne, dovendo la «protezione della gioventù e la salvaguardia della salute psicofisica dei minori» comunque prevalere sulla competenza attribuita dalle norme censurate alla Corte di appello.

A sostegno di tale impostazione, la Corte di cassazione osserva che le norme del codice di procedura penale e quelle internazionali in tema di estradizione fanno costantemente riferimento alla garanzia dei diritti fondamentali della «persona» e quindi sembrano esigere «che a decidere sia il giudice minorile che nel nostro ordinamento è il giudice naturale della persona minorenne».

Analoghe considerazioni, a parere del rimettente, valgono in ordine alle speciali regole processuali dettate per il processo minorile, che appaiono come il naturale quadro di riferimento nell’opera di interpretazione e di applicazione tanto delle disposizioni codicistiche quanto delle norme convenzionali in tema di estradizione (si pensi, ad esempio, alla possibile incidenza dell’istituto della irrilevanza del fatto sulla fondamentale regola estradizionale della doppia incriminazione). Del resto la specificità della posizione del minore, anche sotto il profilo delle procedure di consegna ad altri Stati, emergerebbe dalla recente legge 22 aprile 2005, n. 69, che, all’art. 18, lettera i), statuisce il «rifiuto della consegna» in tutta una serie di ipotesi riguardanti i minori, stabilendo che la consegna deve senz’altro essere rifiutata «se la persona oggetto del mandato di arresto europeo era minore di anni 14 al momento della commissione del reato» e subordinando a condizioni restrittive la consegna della persona minore degli anni 18 al momento dei fatti per i quali è stato emesso il mandato di arresto europeo.

Considerato in diritto

1. - La Corte di cassazione, dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 31 e 32 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 701 e 704 del codice di procedura penale, nella parte in cui attribuiscono «alla Corte di Appello, e non alla “Sezione di Corte di Appello per i minorenni” la competenza a decidere sulla estradizione di soggetti minorenni all’epoca dei fatti per i quali l’estradizione è richiesta».

1.1 – La Corte rimettente ritiene che la mancata previsione, da parte delle norme censurate, della competenza della sezione di Corte di appello per i minorenni a decidere sulla domanda di estradizione concernente un imputato che, al momento della commissione del fatto, non aveva ancora compiuto il diciottesimo anno di età, violerebbe i parametri costituzionali evocati, poiché solo l’attribuzione del relativo procedimento al giudice minorile garantirebbe, stante la specifica preparazione di quest’ultimo, la piena tutela dei diritti fondamentali del minore.

2. – La questione non è fondata, in ragione della erroneità del presupposto interpretativo.

Con la legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), è stata conferita la delega al Governo ad emanare nuove norme in ambito processuale penale (art. 1) e a  «disciplinare il processo a carico di imputati minorenni al momento della commissione del reato secondo i principi generali del nuovo processo penale, con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalle esigenze della sua educazione» (art. 3).

In attuazione della suddetta delega è stato emanato il d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 (Approvazione delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni).

L’art. 18 del citato d.P.R., modificando l’art. 58 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nel disciplinare le funzioni della Corte di appello prevede che, nell’ambito della stessa, la sezione per i minorenni «giudica sulle impugnazioni dei provvedimenti del tribunale per i minorenni. Ad essa sono altresì demandate le altre funzioni della corte di appello previste dal codice di procedura penale, nei procedimenti a carico di imputati minorenni».

Con l’attribuzione alla Corte di appello, sezione per i minorenni, di tutte le competenze di secondo grado nei procedimenti a carico di imputati minorenni, il legislatore ha ribadito la preminenza, nell’ambito del procedimento penale, dell’interesse del minore, il quale trova adeguata tutela proprio nella particolare composizione del giudice specializzato (magistrati ed esperti).

È, infatti, grazie alle competenze scientifiche dei soggetti che compongono il collegio giudicante che viene svolta una corretta valutazione delle particolari situazioni dei minori, la cui evoluzione psicologica, non ancora giunta a maturazione, richiede l’adozione di particolari trattamenti penali che consentano il loro completo recupero, ponendosi, quest’ultimo, quale obiettivo primario, cui tende l’intero sistema penale minorile.

Più in generale, la competenza attribuita alla Corte di appello, sezione per i minorenni, dall’art. 18, da un lato, soddisfa il precetto costituzionale di «protezione della gioventù» che trova fondamento nell’ultimo comma dell’art. 31 della Costituzione; dall’altro lato, rispetta i principi internazionali posti a tutela dei minori.

Con riferimento a tale ultimo aspetto assume rilievo l’art. 14, par. 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma a New York il 19 dicembre 1966, ratificato dall’Italia il 25 dicembre 1978 e reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, il quale sancisce che la procedura applicabile ai minorenni deve tener conto della loro età e dell’interesse a promuovere la loro riabilitazione, nonché gli artt. 3 e 40 della Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata da quasi tutti gli Stati del mondo e, quindi, resa esecutiva con la legge 27 maggio 1991, n. 176, i quali pongono come preminente l’interesse del minore.

In ragione della generale previsione contenuta nell’art. 18 citato, le disposizioni censurate, nel riferirsi esplicitamente alla Corte di appello quale organo competente in materia di estradizione, devono essere interpretate – come del resto già fatto dall’autorità rimettente con la sentenza 21005/2008 – nel senso che, se il relativo procedimento riguarda un minore, la competenza di decidere è devoluta alla relativa sezione per i minorenni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 701 e 704 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 31 e 32 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2008.