Ordinanza n. 301 del 2008

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ORDINANZA N. 301

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                        Presidente

- Giovanni Maria          FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                  "

- Ugo                          DE SIERVO                                  "

- Paolo                        MADDALENA                               "

- Alfio                         FINOCCHIARO                            "

- Alfonso                     QUARANTA                                 "

- Franco                      GALLO                                         "

- Luigi                         MAZZELLA                                  "

- Gaetano                    SILVESTRI                                   "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                 SAULLE                                       "

- Giuseppe                   TESAURO                                     "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), promosso con ordinanza dell’11 aprile 2006 dal Tribunale di Tempio Pausania nel procedimento penale a carico di U. A., iscritta al n. 599 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Tempio Pausania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento);

che il rimettente premette di essere investito dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza emessa dal Giudice di pace di Tempio Pausania, che aveva assolto una persona imputata del reato di lesioni colpose;

che, entrata in vigore nelle more del giudizio la legge n. 46 del 2006 − il cui art. 1, novellando l’art. 593 cod. proc. pen., ha introdotto limitazioni alla facoltà dell’organo d’accusa di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento − l’appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile, in forza dell’art. 10 della medesima legge;

che, su eccezione del Procuratore della Repubblica, il rimettente ritiene tuttavia di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dalla citata legge n. 46 del 2006, in riferimento a diversi parametri costituzionali;

che la norma censurata − consentendo al pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento solo nell’ipotesi di sopravvenienza o scoperta di nuove prove decisive dopo il giudizio di primo grado – contrasterebbe, anzitutto, con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), «funzionale all’attuazione del principio di legalità di cui all’art. 25 della Costituzione, il quale postula che alla commissione ed all’accertamento di un reato faccia seguito l’irrogazione di una pena»;

che la incisiva limitazione del potere di impugnazione della pubblica accusa si porrebbe in contrasto anche con l’art. 24 Cost., sotto il profilo della violazione del diritto delle vittime del reato ad ottenere giustizia, «a prescindere dalla tutela a queste accordata in sede civile»;

che sarebbe violato, altresì, il principio di parità delle parti nel processo, sancito dall’art. 111 Cost.: principio riferibile a tutte le fasi processuali, ivi compresa dunque quella di appello, quale «garanzia della maggiore approssimazione possibile al raggiungimento della verità, scopo cui il processo deve necessariamente tendere»;

che risulterebbe compromesso, infine, il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost.: e ciò sia perché la disparità introdotta tra i poteri dell’accusa e quelli dell’imputato non risulterebbe giustificata dalla necessità di tutelare «altri prevalenti valori costituzionali»; sia perché il nuovo art. 593 cod. proc. pen., nell’impedire all’organo dell’accusa di appellare le sentenze di assoluzione, gli consente tuttavia di appellare quelle di condanna: col risultato di apprestare «una tutela preminente ad un interesse di rango inferiore».

Considerato che il Tribunale di Tempio Pausania dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui pone rilevanti limitazioni al potere di appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento;

che lo stesso rimettente riferisce, peraltro, di essere investito, quale giudice d’appello, dell’impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso una sentenza di proscioglimento emessa dal Giudice di pace di Tempio Pausania;

che l’art. 593 cod. proc. pen., oggetto di censura, disciplina l’appello del pubblico ministero e dell’imputato avverso le sentenze emesse, all’esito del dibattimento, nel procedimento ordinario davanti al tribunale e alla corte d’assise;

che l’impugnazione del pubblico ministero contro le sentenze emesse dal giudice di pace è regolata, per contro, in modo autonomo, dall’art. 36 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468):  disposizione che – a seguito della modifica operata dall’art. 9, comma 2, della legge n. 46 del 2006 – prevede che la parte pubblica possa proporre appello solo contro le sentenze di condanna che applicano una pena diversa da quella pecuniaria;

che il rimettente censura, dunque, una norma diversa da quella di cui è chiamato a fare applicazione nel giudizio a quo: il che comporta, per costante giurisprudenza di questa Corte, la manifesta inammissibilità della questione (ex plurimis, ordinanze n. 42, n. 187 e n. 461 del 2007).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Tempio Pausania con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2008.