ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Alfio FINOCCHIARO "
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, promossi con ordinanze depositate il 30 agosto 2006 dalla Commissione tributaria regionale del Laz io, il 6 settembre ed il 9 ottobre 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Ancona, rispettivamente iscritte ai nn. 775 e 836 del registro ordinanze 2007 ed al n. 33 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2007 e nn. 3 e 10, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 giugno 2008 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello avente ad oggetto la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva rigettato il ricorso proposto da una società a responsabilità limitata avverso un avviso di accertamento dell'ICI, la Commissione tributaria regionale del Lazio, con ordinanza depositata il 30 agosto 2006 (r.o. n. 775 del 2007), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, «nonché» ai «principi di ragionevol ezza, razionalità e non contraddizione» - questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248;
che, secondo quanto premesso in punto di fatto dal giudice rimettente: a) con l'avviso impugnato, il Comune di Ladispoli aveva accertato, ai fini dell'ICI relativa all'anno 1999, il valore di alcuni terreni della suddetta s.r.l., stimandoli in base al loro valore venale in comune commercio, invece che in base al reddito dominicale risultante in catasto; b) i terreni erano inseriti in una zona qualificata come edificabile dalla variante al piano regolatore generale, ma per la quale non erano stati adottati strumenti urbanistici attuativi del piano generale; c) l'adíta Commissi one tributaria provinciale di Roma aveva rigettato il ricorso proposto dalla società avverso il menzionato avviso di accertamento, affermando che «la semplice iscrizione del terreno in zona edificatoria induce la potenzialità edificatoria dello stesso»; d) con atto d'appello, la medesima società aveva dedotto, tra i motivi di gravame, che detti terreni non erano edificabili nel 1999, ma lo erano divenuti solo successivamente, a séguito di «lottizzazione d'ufficio» dell'area, effettuata con deliberazione comunale del 25 marzo 2002;
che, secondo quanto premesso in punto di diritto dal medesimo giudice rimettente: a) l'art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), stabilisce che, ai fini dell'imposta comunale sugli immobili (ICI), «per area fabbricabile si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità»; b) era insorto un contrasto giurisprudenziale sull'interpretazione di detta disposizione con riguardo all'assoggettabilità all'ICI come "fabbricabili" delle aree che, pur essendo considerate "utilizzabili a scopo edificatorio" dal piano regolatore generale, non erano effettivamente suscettibili di edificazione a causa della mancata approvazione dei necessari piani attuativi ovvero dell'esistenza di misure di salvaguardia adottate dal Comune (il rimettente cita, in senso favorevole alla qualificabilità come fabbricabili di dette aree, la sentenza della Corte di cassazione n. 16751 del 2004; in senso sfavorevole, la sentenza della stessa Corte n. 21573 del 2004); c) a dirimere detto contrasto sono sopravvenute, nella pendenza del giudizio di appello, le due denunciate disposizioni di legge, aventi entrambe (come il rimettente desume dalla loro formulazione letterale e dalla loro ratio) indubbia natura di interpretazione autentica (per la parte che qui interessa ai fini di causa) dell'art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo, del decreto legislativo n. 504 del 1992 e, pertanto, dotate entrambe di efficacia retroattiva; d) la piú recente delle due citate disposizioni interpretative (cioè l'art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006) ha comportato «l'abrogazione implicita» della prima (cioè dell'art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005), stabilendo (con norma ritenuta dal rimettente di «identico significato» rispetto a quella abrogata) che un'area è da considerare fabbricabile, ai fini dell'ICI (oltre che ai fini delle imposte sui redditi e di registro), «se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo»;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, il giudice a quo afferma che «la norma d'interpretazione autentica denunciata», nell'equiparare ai fini fiscali, quanto alla potenzialità edificatoria, un'area qualificata come "edificabile" dal piano regolatore generale, per la quale - a causa della mancanza di uno strumento urbanistico attuativo del piano regolatore - non è concedibile il permesso di costruire, ad un'area per la quale (data la presenza dello strumento attuativo) detto permesso è, invece, concedibile, víola: a) l'art. 3 Cost., perché irragionevolmente sottopone al medesimo trattamento fiscale situazioni che l'ordinamento giuridico (avendo separato lo < I Cleaned="mso-bidi-font-style: normal">ius aedificandi dal diritto di proprietà e configurato un differente regime edificatorio dei terreni a seconda che sia stato o no adottato uno strumento urbanistico di attuazione del piano regolatore generale) considera diverse ai fini dell'edificabilità; b) l'art. 53 Cost., perché «prescinde dalla capacità contributiva reale che è necessariamente mediata dalle norme imperative relative allo ius aedificandi»;
che, al riguardo, il giudice rimettente osserva che, se è insindacabile nel merito la scelta discrezionale del legislatore di sottoporre un immobile ad una imposta patrimoniale annuale (quale l'ICI) commisurandola al valore venale del bene in comune commercio, tuttavia, nella specie, tale discrezionalità non ha rispettato i «requisiti e principi di logica, congruenza e non contraddizione»; che in particolare - prosegue il giudice a quo -, poiché è in concreto edificabile soltanto il terreno per il quale uno strumento attuativo del piano regolatore generale prevede la possibilità di rilasciare la concessione edilizia, è «[.] contraddittorio e illogico ritenere, per interpretazione autentica, c he l'edificabilità si realizzi solo sulla base della previsione del PRG» (cioè del piano regolatore generale), e «ciò per due ordini di motivi»: in «primo luogo», perché eventuali clausole di salvaguardia adottate dal Comune impedirebbero, per un periodo di almeno quindici anni, «secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale», il rilascio del permesso di costruire; in «secondo luogo», perché, «anche scaduta la validità delle norme di salvaguardia e nell'impossibilità di reiterarle, l'edificabilità sarebbe legata ai ristretti limiti del PRG, solitamente identici a quelli in vigore con gli strumenti attuativi per le zone agricole, il che riporta il valore del terreno appunto a quella qualificazione agricola che si sarebbe voluta negare»;
che la normativa denunciata - conclude il rimettente -, assimilando l'edificabilità di un terreno assistito da uno strumento attuativo a quella di un terreno soltanto inserito in una zona edificabile del piano regolatore generale, «intende sovrapporre la realtà giuridica a quella di fatto», con «atteggiamento sicuramente vessatorio, proprio di regimi ben diversi dalla democrazia»;
che, in ordine alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo afferma che l'indubitabile natura interpretativa e, quindi, la valenza retroattiva delle disposizioni denunciate le rende applicabili anche ai periodi d'imposta oggetto del giudizio principale, con conseguente rigetto dell'appello (basato sulla dedotta impossibilità giuridica di costruire sui terreni indicati nell'avviso impugnato), ove dette disposizioni non siano dichiarate costituzionalmente illegittime;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate;
che la difesa erariale preliminarmente osserva che il contrasto giurisprudenziale menzionato dal rimettente è stato composto dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 25506 del 2006, secondo cui le norme denunciate dal giudice a quo hanno evidenziato un coerente sistema normativo in base al quale, da un lato, la legislazione fiscale - al fine di adeguare il prelievo alle variazioni nel tempo dei valori economici dei suoli - considera fabbricabile un'area sin dal suo inserimento tra le zone edificabili del piano regolatore generale (inserimento che normalmente già influenza il valore di mercato, determinato dalla effettività e prossimità della utilizzabilità edificatoria del suolo e dall'entità degli event uali futuri oneri di urbanizzazione) e, dall'altro, la legislazione urbanistica - al fine di garantire il corretto uso del territorio urbano e di contemperare gli interessi individuali con quelli della collettività - considera esercitabile lo ius aedificandi solo dopo il perfezionamento di tutti gli strumenti urbanistici previsti dalla legge (indipendentemente dal valore di mercato nel frattempo raggiunto dal terreno);
che l'Avvocatura generale dello Stato afferma, pertanto, che: a) la denunciata violazione degli evocati parametri costituzionali è esclusa proprio dalle riferite argomentazioni contenute nella citata sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, in quanto è ragionevole distinguere le finalità del legislatore fiscale da quelle del legislatore urbanistico ed in quanto l'edificabilità di un terreno sulla base del solo piano regolatore, anche se privo di strumenti attuativi, è già sufficiente, di norma, a far lievitare il valore di mercato di detto terreno; b) contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, la valutazione come terreno agricolo, ai fini fiscali, di un'area qualificata come edificabile da un piano regolat ore generale privo di strumenti attuativi creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla valutazione di un'area qualificata come edificabile da uno strumento attuativo, perché - come già osservato - in entrambi i casi il valore di mercato del bene è superiore a quello risultante dalle rendite catastali agricole;
che, nel corso di due giudizi - nell'àmbito dei quali è stata disposta la riunione di più ricorsi -, aventi ad oggetto l'impugnazione e la sospensione dell'efficacia di alcuni avvisi di accertamento dell'ICI relativi agli anni 2000, 2001, 2002 e 2003, la Commissione tributaria provinciale di Ancona, con due ordinanze depositate rispettivamente in data 6 settembre 2007 (r.o. n. 836 del 2007) e 9 ottobre 2007 (r.o. n. 33 del 2008), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 53, 97, 102 e 111 della Costituzione, nonché, nella sola ordinanza r.o. n. 33 del 2008, all'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in tema di statuto dei diritti del contribuente), ritenuta fonte a «normatività rafforzata» - questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2005, e 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2006;
che il suddetto giudice rimettente si limita a premettere, in punto di fatto, che le aree dei ricorrenti sono considerate «fabbricabili», e come tali assoggettate ad ICI, perché ricomprese «in uno strumento urbanistico adottato dal comune»;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, la Commissione tributaria provinciale afferma che le disposizioni censurate violano gli evocati parametri costituzionali sotto diversi profili;
che, in primo luogo, il giudice rimettente - sulla base del duplice presupposto che «in materia fiscale gli interventi interpretativi [.] Non sono ispirati [.] alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di una delle parti in causa», e che, nel caso di specie, non è facile «distinguere l'amministrazione finanziaria, parte in causa, dal legislatore, posto che la norma interpretativa è stata approvata con decreto-legge del Governo, convertito in una legge, la cui approvazione è stata condizionata dal voto di fiducia al Governo» - denuncia la violazione: a) dell'art. 102 Cost., perché «la giurisdizione deve essere esercitata dai giudici, non da un Legislatore d'urgenza che faccia pendere la bilancia della giustizia in proprio favore con una legge pretesamente interpretativa di quella che i giudici debbono applicare»; b) dell'art. 111 Cost., perché «il processo - qualsiasi processo - è regolamentato sulla base della parità delle parti in causa di fronte alla legge e al giudice, con ovvia impossibilità per ciascuna delle parti di intervenire in proprio favore sulla legge stessa da applicare»; c) dell'art. 97 Cost., perché «Neppure la pubblica amministrazione può farsi giustizia da sola, e meno che mai con questi mezzi» (cioè con leggi di interpretazione autentica volte a predeterminare l'esito delle controversie di cui essa stessa è parte);
che, in secondo luogo, il rimettente denuncia sia «l'insostenibile parificazione fiscale» fra «aree con edificabilità concreta e reale» ed «aree con edificabilità "astratta" e meramente virtuale», parificazione che ridonda in una lesione dell'art. 3 Cost., sia la violazione del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.);
che la Commissione tributaria provinciale precisa, al riguardo, che le disposizioni denunciate violano l'art. 53 Cost., perché «il necessario presupposto di legittimità di un tributo [è] una capacità contributiva non meramente ipotetica e virtuale (spesso un flatus vocis amministrativo, cui nulla segue), ma caratterizzata da una ragionevole certezza»;
che, in terzo luogo, il rimettente - sul presupposto che la legge n. 212 del 2000 è caratterizzata da una «normatività rafforzata» o da una «superiore efficacia», che «rischia di restare priva di precisi contorni specie nel contrasto, sempre più frequente, fra lo statuto e le leggi tributarie successive» - denuncia la violazione dell'art. 3 della legge n. 212 del 2000, il quale, stabilendo il principio dell'irretroattività delle leggi fiscali, vieta interpretazioni autentiche, che sono «ovviamente retroattive»;
che il medesimo giudice afferma, infine, che le questioni sono rilevanti, perché, nell'àmbito dei giudizi di impugnazione dei menzionati avvisi di accertamento, deve decidere sulla richiesta di sospensione cautelare degli avvisi e, pertanto, deve fare applicazione delle disposizioni denunciate, al fine della «valutazione pregiudiziale del fumus boni iuris»;
che il rimettente ha, pertanto, sospeso l'efficacia degli atti impugnati solo «fino all'esito del giudizio di costituzionalità»;
che, anche in questi giudizi (r.o. n. 836 del 2007 e n. 33 del 2008), è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;
che la difesa erariale eccepisce l'inammissibilità delle questioni, sia perché la mancata descrizione della fattispecie da parte del giudice rimettente rende impossibile valutare la rilevanza delle questioni medesime, sia perché, quanto al giudizio principale in cui è stata emessa l'ordinanza r.o. n. 836 del 2007, le norme denunciate, anche ove avessero natura innovativa (come affermato dal rimettente in detta ordinanza, secondo l'Avvocatura generale) e non interpretativa, si applicherebbero quantomeno dalla data della loro entrata in vigore e, quindi, anteriormente alla data di inizio del giudizio a quo (avente ad oggetto «ricorsi riuniti iniziati nel maggio 2007»);
che, nel merito, la medesima difesa erariale afferma che le questioni sono infondate, perché: a) le denunciate disposizioni hanno natura autenticamente interpretativa, rendendo obbligatorio un significato tra quelli astrattamente attribuibili alle disposizioni interpretate; b) non è dubbio che uno strumento urbanistico in itinere conferisce al terreno da esso qualificato come edificabile un valore ben superiore a quello precedente;
che, al riguardo, l'Avvocatura generale dello Stato aggiunge - nel solo atto di intervento relativo al giudizio di costituzionalità promosso con l'ordinanza r.o. n. 836 del 2007 - che, nel caso di «ritiro del piano» attributivo della qualifica di area fabbricabile, v'è comunque un sistema di rimborsi a favore degli interessati e, perciò, nemmeno sotto tale profilo vi è una lesione degli evocati parametri costituzionali.
Considerato che la Commissione tributaria regionale del Lazio (r.o. n. 775 del 2007) - in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, «nonché» ai princípi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione - e la Commissione tributaria provinciale di Ancona (r.o. n. 836 del 2007 e n. 33 del 2008) - in riferimento agli artt. 3, 53, 97, 102 e 111 della Costituzione, nonché, nella sola ordinanza r.o. n. 33 del 2 008, all'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in tema di statuto dei diritti del contribuente) - dubitano della legittimità degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 4 agosto 2006, n. 248;
che, in ragione dell'identità delle norme denunciate e della parziale coincidenza delle censure proposte, i giudizi di legittimità costituzionale debbono essere riuniti per essere congiuntamente decisi;
che i giudici rimettenti muovono, nella sostanza, dalla comune premessa che le disposizioni censurate - e, in particolare, l'art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, il quale stabilisce che un'area è da considerare fabbricabile, ai fini dell'ICI (oltre che ai fini delle imposte sui redditi e di registro), «se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo» - sono dotate di efficacia retroattiva ed incidono, pertanto, sulla precedente definizione di area fabbricabile rilevante ai fini dell'ICI e contenuta nell'art. 2, comma 1, lettera b), primo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in forza del quale «per area fabbricabile si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità»;
che, ad avviso della rimettente Commissione tributaria regionale del Lazio (r.o. n. 775 del 2007), le suddette disposizioni censurate víolano gli evocati parametri costituzionali, perché: a) sottopongono irragionevolmente al medesimo trattamento fiscale situazioni che l'ordinamento giuridico (avendo separato lo ius aedificandi dal diritto di proprietà e configurato un differente regime edificatorio dei terreni a seconda che sia stato o no adottato uno strumento urbanistico di attuazione del piano regolatore generale) considera diverse ai fini dell'edificabilità; b) prescindono «dalla capacità contributiva reale che è necessariamente mediata dalle norme imperative relative allo ius aedificandi»;
che tali questioni sono in parte manifestamente inammissibili ed in parte manifestamente infondate;
che, in via preliminare, vanno dichiarate manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni concernenti l'art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2005, perché di tale disposizione il giudice rimettente non deve fare applicazione nel giudizio a quo;
che, infatti, come affermato dallo stesso giudice rimettente e come già rilevato da questa Corte nell'ordinanza n. 41 del 2008, l'art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2006, ha sostituito con effetto ex tunc, abrogandola, la disciplina dettata dal citato art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, con la conseguenza che detto art. 36, comma 2, è l'unica disposizione, delle due denunciate, a trovare applicazione nel giudizio principale;
che, nel merito, le questioni sollevate dalla rimettente Commissione tributaria regionale del Lazio con riguardo al menzionato art. 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006 debbono essere dichiarate manifestamente infondate;
che, infatti, questioni identiche a quelle sollevate dal giudice a quo sono già state dichiarate manifestamente infondate con l'ordinanza n. 41 del 2008, con cui questa Corte ha affermato che «è del tutto ragionevole che il legislatore: a) attribuisca alla nozione di "area edificabile" significati diversi a seconda del settore normativo in cui detta nozione deve operare e, pertanto, distingua tra normativa fiscale, per la quale rileva la corretta determinazione del valore imponibile del suolo, e normativa urbanistica, per la quale invece rileva l'effettiva possibilità di edificare, secondo il corretto uso del territorio, indipendentemente dal valore venale del suolo; b) muova dal presupposto fattuale che un'area in relazione al la quale non è ancora ottenibile il permesso di costruire, ma che tuttavia è qualificata come "edificabile" da uno strumento urbanistico generale non approvato o attuato, ha un valore venale tendenzialmente diverso da quello di un terreno agricolo privo di tale qualificazione; c) conseguentemente distingua, ai fini della determinazione dell'imponibile dell'ICI, le aree qualificate edificabili in base a strumenti urbanistici non approvati o non attuati (e, quindi, in concreto non ancora edificabili), per le quali applica il criterio del valore venale, dalle aree agricole prive di detta qualificazione, per le quali applica il diverso criterio della valutazione basata sulle rendite catastali»;
che, in particolare, «la potenzialità edificatoria dell'area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell'art. 53 Cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante» (citata ordinanza n. 41 del 2008);
che il giudice rimettente non prospetta, pertanto, profili diversi da quelli già presi in esame con la più volte citata pronuncia n. 41 del 2008, o comunque tali da indurre questa Corte a modificare il precedente orientamento;
che tali questioni, dunque, devono essere dichiarate manifestamente infondate;
che, ad avviso della rimettente Commissione tributaria provinciale di Ancona (r.o. n. 836 del 2007 e n. 33 del 2008), le suddette disposizioni censurate violano gli artt. 3, 53, 97, 102 e 111 della Costituzione, nonché l'art. 3 della legge n. 212 del 2000, perché: a) creano un'«insostenibile parificazione fiscale» fra «aree con edificabilità concreta e reale» ed «aree con edificabilità "astratta" e meramente virtuale» e considerano, quale presupposto del tributo, una capacità contributiva «meramente ipotetica e virtuale»; b) ledono la riserva di giurisdizione di cui all'art. 102 Cost. ed i princípi della parità delle parti nel processo e di imparzialità della pubblica amministrazione quand'essa è parte processuale, essendo dette dispo sizioni d'interpretazione autentica - contenute in decreti-legge la cui conversione «è stata condizionata dal voto di fiducia al Governo» - finalizzate ad incidere sui processi in corso a vantaggio della stessa amministrazione finanziaria, che avrebbe assunto, nella fattispecie, anche veste di legislatore; c) contrastano con il principio dell'irretroattività delle leggi fiscali stabilito dall'art. 3 della legge n. 212 del 2000, essendo le leggi di interpretazione autentica «ovviamente retroattive»;
che tali questioni sono manifestamente inammissibili, per omessa descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus;
che infatti il giudice rimettente non ha indicato quali strumenti urbanistici disciplinano, per gli anni d'imposta in contestazione, le aree oggetto degli impugnati avvisi d'accertamento, ma si limita a rilevare, al riguardo, che dette aree sono «considerate» come «fabbricabili» perché ricomprese «in uno strumento urbanistico adottato dal comune»;
che, pertanto, le ordinanze di rimessione non specificano - con riferimento a ciascun periodo d'imposta oggetto dei giudizi principali - se, per le aree indicate dagli impugnati avvisi di accertamento, potesse essere rilasciato o no titolo abilitativo a costruire;
che, dunque, il rimettente non chiarisce se a dette fattispecie si applicano le disposizioni denunciate;
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'insufficiente descrizione della fattispecie, poiché impedisce, come nel caso di specie, di vagliare l'effettiva applicabilità delle norme denunciate ai casi dedotti nei giudizi principali, si risolve in carente motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate, determinandone, conseguentemente, la manifesta inammissibilità (ordinanze n. 129 e n. 31 del 2007; ord. n. 289 del 2006).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, sollevate dalla Commissione tributaria regionale del Lazio - in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, «nonché» ai princípi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione - con l'ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, sollevate dalla medesima Commissione tributaria regionale del Lazio - in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, «nonché» ai princípi di ragionevol ezza, razionalità e non contraddizione - con l'ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11-quaterdecies, comma 16, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2005, e 36, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2006, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Ancona - in riferimento agli artt. 3, 53, 97, 102 e 111 della Costituzione, nonché all'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in tema di stat uto dei diritti del contribuente) - con le ordinanze indicate in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2008.