SENTENZA N. 231
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione siciliana 5 dicembre 2006, n. 21 (Provvedimenti urgenti per il funzionamento dell’Amministrazione regionale ed interventi finanziari), promosso con ordinanza del 20 giugno 2007 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da Zingale Pino contro il Consiglio di presidenza della Corte dei conti ed altri, iscritta al n. 759 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento della Regione siciliana;
udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto in fatto
1. ¾ Con ordinanza del 20 giugno 2007, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia ha sollevato, in riferimento agli artt. 100, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione siciliana 5 dicembre 2006, n. 21 (Provvedimenti urgenti per il funzionamento dell’Amministrazione regionale ed interventi finanziari), il quale dispone: «Al fine di garantire le finalità di cui al disposto dell’articolo 3, comma 3, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, recepito dall’articolo 2 della legge regionale 22 dicembre 2005, n. 19, il revisore contabile è scelto dall’Amministrazione regionale tra i magistrati della Corte dei conti, in servizio presso gli uffici della Corte dei conti aventi sede in Sicilia, in possesso, per tutta la durata del mandato, dei requisiti di cui all'articolo 2409-quinquies del codice civile».
Il rimettente evidenzia, in punto di fatto, di dover decidere sul ricorso proposto da un consigliere della Corte dei conti in servizio presso la sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, avverso la deliberazione del Consiglio di Presidenza della stessa Corte, assunta nell'adunanza del 17-18 gennaio 2007, che ha respinto l'istanza del magistrato di autorizzazione ad assumere l'incarico di revisore contabile presso la “Riscossione Sicilia” s.p.a. per la durata di tre anni, ed ha indetto una procedura concorsuale riservata ai magistrati della Corte in servizio presso gli uffici aventi sede in Sicilia. Nell’atto di promovimento dell’incidente di costituzionalità si precisa, altresì, che la predetta nomina era stata richiesta in forza del denunciato art. 3 della legge regionale siciliana n. 21 del 2006 (pubblicata nella G.U.R.S. n. 56 del 7 dicembre 2006, ed entrata in vigore, per disposizione dell’art. 8 della medesima legge, il giorno successivo a quello della sua pubblicazione) e che il relativo diniego è stato così motivato: «Considerato che il Consiglio di presidenza, nell'adunanza del 20 dicembre 2006, ha ritenuto – anche alla luce dei principi esplicitati nella sentenza della Corte costituzionale n. 224/1999, in particolare al punto 9 della parte normativa (recte: motiva) – che detto incarico non sia autorizzabile ai sensi dell'art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 388/1995, e dei relativi criteri applicativi, approvati con deliberazione n. 227 in data 28 giugno 2002 e successive modificazioni (art. 6, comma 1, lettera c)».
Il giudice a quo rammenta, poi, che, con ordinanza n. 191 del 6 febbraio 2007, ha emesso provvedimento cautelare con il quale, ritenuto che il ricorso dell’interessato presentava profili di fondatezza, si invitava il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti ad un riesame del provvedimento impugnato. Detto organo pronunciava, però, un nuovo motivato diniego, che veniva impugnato dal ricorrente con la proposizione di motivi aggiunti all’impugnazione originaria, alla quale seguiva ulteriore ricorso anche contro il bando di concorso per il conferimento dell’incarico di revisore contabile della “Riscossione Sicilia” s.p.a. indetto dallo stesso Consiglio di presidenza della Corte dei conti.
Ciò posto, il rimettente, assumendo anzitutto di poter sollevare questione di costituzionalità anche in sede cautelare, sostiene che la rilevanza della questione medesima sarebbe «attestata, innanzitutto, dalla effettiva sussistenza dei profili di danno prospettati dal ricorrente», non essendo ristorabile per equivalente il pregiudizio «ravvisabile nella perdita dell'occasione, per il magistrato interessato, di arricchire la propria esperienza professionale mediante l’effettivo svolgimento di un incarico la cui assunzione riveste profili di alta responsabilità e di indiscutibile, primario, rilievo per la finanza regionale – specie ove si consideri che la «Riscossione Sicilia» S.p.a. è ente di nuova costituzione; e che, di conseguenza, garantirebbe al consigliere Zingale l’accrescimento ulteriore della sua già ben nota qualità di esperto della materia della riscossione».
Peraltro, sussisterebbe anche il fumus boni juris della pretesa, non potendosi condividere l’interpretazione del denunciato art. 3 della legge regionale n. 21 del 2006 seguita dal Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, che lo stesso «definisce “costituzionalmente orientata” (in quanto essa sarebbe ispirata ai principi di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 224/1999), e che, alla – asserita – possibilità che l’indipendenza e l’imparzialità del magistrato siano vulnerate dalla designazione nominativa operata dall’amministrazione regionale, tende a contrapporre una lettura della norma tesa a privilegiare la sussistenza del potere del Consiglio di presidenza di indire una procedura selettiva di tipo concorsuale riservata ai magistrati operanti in Sicilia». Invero, prosegue il giudice a quo, la norma censurata «non sembra far residuare spazi di sorta per l’esercizio di poteri da parte di soggetti diversi dall’amministrazione regionale siciliana, alla quale, inoltre, pare demandare esclusivamente una scelta intuitu personae, svincolata da altri parametri che non quello – previsto dalla stessa norma – del possesso dei requisiti di cui all'art. 2409-quinquies del codice civile»; tant’è che quando il legislatore regionale ha inteso attribuire il compito di scegliere i revisori dei conti di un ente regionale alla magistratura del quale il soggetto designato avrebbe dovuto essere espressione, «lo ha fatto expressis verbis: è il caso, ad esempio, dell’art. 5 della legge regionale 6 marzo 1976, n. 25 (Disposizioni per i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell'industria)», peraltro dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui prevedeva che i magistrati della Corte nominati revisori dovessero essere scelti fra quelli in servizio in Sicilia, dalla sentenza n. 224 del 1999 della Corte costituzionale.
Il rimettente sostiene, però, che la norma denunciata «contrasti con gli articoli 100, terzo comma, Cost., per il quale la legge assicura l’indipendenza della Corte e dei suoi componenti di fronte al Governo (e, ovviamente, anche di fronte all’esecutivo regionale), nonchè dell’art. 108, secondo comma, Cost., secondo cui la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali». Nel rammentare i contenuti della citata sentenza n. 224 del 1999 e, segnatamente, quanto affermato in punto di affidamento di incarichi extragiudiziari, per cui la «delimitazione territoriale contrasta con le esigenze di salvaguardia e di indipendenza dei magistrati, e, dunque, risulta lesiva dell’art. 100, terzo comma, e 108, secondo comma, Cost. nel caso in cui – per il contesto normativo in cui si colloca e per le caratteristiche concrete degli incarichi – renda palese la contaminazione fra controlli interni agli enti (operati proprio dai revisori dei conti) e controlli esterni operati dalle sezioni siciliane della Corte dei conti», il giudice a quo assume che l’art. 3 della legge regionale n. 21 del 2006, «formulato nel senso che il revisore contabile “è scelto dall’amministrazione regionale” tra i magistrati della Corte dei conti in servizio preso gli uffici siciliani, contrasti con le norme costituzionali indicate in precedenza, proprio in quanto rende operante detta contaminazione».
A tal riguardo, nell’ordinanza di rimessione si individuano quali siano le funzioni di controllo affidate dalla legge (art. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante «Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti») alle sezioni regionali della Corte dei conti e si precisa, inoltre, che, in base all’art. 2, comma 5, della legge della Regione siciliana 22 dicembre 2005, n. 19 (Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie), la Riscossione Sicilia S.p.A. svolge le attività previste dall’art. 3, comma 4, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, tra cui quelle di riscossione mediante ruolo, di riscossione spontanea, liquidazione ed accertamento delle entrate, tributarie o patrimoniali, degli enti pubblici, anche territoriali, e delle loro società partecipate, nonché altre attività, strumentali a quelle dell’Agenzia delle entrate.
Il giudice a quo evidenzia, quindi, l’importanza particolare che riveste, nell’àmbito dell’organizzazione societaria, il revisore contabile, «essendo istituzionalmente preposto al controllo interno sulla gestione», secondo quanto previsto dall’art. 2409-ter del codice civile. Sicché, il rimettente sottolinea come le predette funzioni sarebbero «strettamente legate da un vincolo di necessaria complementarietà; e come, in particolare, la funzione del revisore contabile – che si esplica principalmente sui bilanci di una società dal valore strategico centrale per le finanze regionali e sui documenti ad esso correlati – si ponga a monte del controllo successivo sulla gestione demandato alla Corte». Un vincolo che, come dimostrato anche dalla pronuncia adottata dalle sezioni riunite della Corte dei conti in sede di controllo nell’adunanza del 27 ottobre 2006, avente ad oggetto gli indirizzi e i criteri di riferimento programmatico del controllo sulla gestione per l’anno 2007, verrebbe ancor di più a risaltare, giacché «l’analisi condotta dalla Corte dovrebbe individuare ed evidenziare gli obiettivi perseguiti dai soggetti controllati quali evidenziati nei documenti di bilancio, al fine di valutare in concreto la coerenza delle scelte adottate dall'Ente controllato sulla base delle sue effettive disponibilità».
Pertanto, secondo il TAR rimettente, la norma di cui al denunciato art. 3 della legge regionale n. 21 del 2006, nell’attribuire «all’amministrazione regionale controllata il potere di scegliere il revisore dei conti della società di riscossione delle entrate regionali proprio fra i soggetti istituzionalmente preposti ad effettuare il controllo sulla gestione della società medesima e, in generale, di tutto l’apparato amministrativo regionale, ossia fra i magistrati preposti agli uffici siciliani della Corte», violerebbe gli artt. 100, terzo comma, e 108, secondo comma, Cost., giacché essa sarebbe «idonea a vulnerare l’imparzialità e l’indipendenza del magistrato contabile sul quale cada la scelta ampiamente discrezionale dell'amministrazione regionale, proprio perché appare atta a realizzare quella “linea di coinvolgimento istituzionale” di tali magistrati nell’attività di controllo interno nell’ambito dell’organizzazione delle amministrazioni, poi soggette ai poteri di controllo esterno delle sezioni siciliane della magistratura contabile». Peraltro, nel caso di specie, la disarmonia rispetto ai parametri costituzionali evocati risulterebbe ancor più evidente di quella apprezzata dalla citata sentenza n. 224 del 1999, in quanto, «alla delimitazione territoriale inderogabile (che rende imprescindibile la nomina di un magistrato operante in Sicilia) si affianca la scelta intuitu personae – e, quindi, non mediata neppure dalla selezione concorsuale operata dal Consiglio di presidenza – dell’amministrazione regionale della persona del revisore».
2. ¾ E’ intervenuto in giudizio il Presidente della Regione siciliana, il quale ha chiesto che la sollevata questione venga dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Quanto alla dedotta inammissibilità, questa deriverebbe, secondo la difesa regionale, dall’esistenza, ammessa dallo stesso rimettente, di una interpretazione conforme a Costituzione della norma censurata, siccome fatta propria dallo stesso Consiglio di Presidenza della Corte dei conti nel reputare possibile, per il conferimento dell’incarico di revisore contabile della Riscossione Sicilia S.p.A., l’indizione di una «procedura selettiva fra i magistrati contabili adibiti agli uffici siciliani, in alternativa alla diretta investitura da parte dell’amministrazione regionale».
La stessa difesa della Regione ritiene, in ogni caso, che la disposizione denunciata non confligga con i parametri evocati dal giudice rimettente. A tal riguardo, si osserva nella memoria che la Regione siciliana si è dovuta adeguare alla riforma del sistema della riscossione prevista dall’art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, provvedendo anch’essa a riformare il servizio regionale di riscossione e, tramite l’art. 2 della legge regionale n. 19 del 2005, ha disposto l’applicazione nel territorio siciliano del citato art. 3 del d.l. n. 203 del 2005, stabilendo altresì, con la partecipazione della Agenzia delle Entrate, la «costituzione della Riscossione Sicilia S.p.a., cui, per espressa e testuale previsione normativa, “devono intendersi riferiti” gli obblighi, i diritti ed i rapporti in campo nazionale riferiti alla Riscossione S.p.a.». Il modello di “governance” prescelto per la Riscossione SiciliaS.p.a., alla stregua delle norme recate dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366), è stato quello dualistico, nel cui àmbito il consiglio di sorveglianza «non può essere parificato al collegio sindacale cui tradizionalmente competeva il controllo gestionale ed il controllo contabile», e dove il controllo contabile «deve necessariamente essere esercitato da un revisore contabile o da una società di revisione». Sicché, prosegue la difesa regionale, si è provveduto ad affidare il controllo contabile di detta società «ad un revisore contabile da scegliersi, come specificato nei patti parasociali, tra i magistrati della Corte dei conti, con ciò non intendendosi tanto soddisfare l’esigenza di applicare pedissequamente» l’art. 3, comma 3, del d.l. n. 203 del 2005, che appunto prevede che il presidente del collegio sindacale della Riscossione S.p.a è scelto tra i magistrati della Corte dei conti, quanto invece «adeguare l’esigenza sottesa dalla richiamata previsione alla diversa realtà societaria conseguente alla scelta discrezionale effettuata in attuazione della normativa regionale» e, dunque, «per ovvie esigenze di imparzialità e garanzia, di doversi giovare della medesima figura di magistrato contabile, la cui professionalità certamente garantisce le sottese occorrenze».
Ad avviso della difesa della Regione, posto che la disciplina in tema di incarichi extraistituzionali a magistrati della Corte dei conti, di competenza della legislazione statale, afferma il principio dell’ammissibilità di incarichi espressamente previsti da legge o da altre fonti normative, risulterebbe coerente con «il vigente ordinamento» la previsione della norma censurata che attribuisce all’Amministrazione regionale la scelta del revisore contabile della Riscossione Sicilia S.p.a. «tra una individuata platea di magistrati contabili», là dove, inoltre, essendo la carica di revisore prevista dal codice civile, sarebbe rispettato anche l’art. 3, comma 3, del d.P.R. 27 luglio 1995, n. 388 (Regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati della Corte di conti, ai sensi dell’art. 58, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29), che contempla tra gli incarichi consentiti quelli «previsti da legge dello Stato».
Peraltro, si precisa nella memoria, il comma 5 dello stesso art. 3 del citato Regolamento «esclude dalle vietate partecipazioni a collegi sindacali o di revisori dei conti […] “i casi espressamente previsti da legge dello Stato e delle regioni”», risultando, quindi, solo una “astratta evenienza”, concernente “situazioni patologiche”, la «eventualità che la disposizione impugnata determini un vulnus all’imparzialità e all’indipendenza del magistrato», come tale non rilevante ai fini di una declaratoria di incostituzionalità.
La difesa regionale evidenzia, ancora, che «la presenza di un magistrato della Corte fra i revisori di enti pubblici è, da sempre, prevista dall’ordinamento […] in quanto funzionale al tempestivo esercizio della funzione di controllo già in fase di gestione dell’ente e non può dar luogo al conflitto di interessi rilevato» dal rimettente, conflitto che potrebbe, comunque, essere superato con l’esclusione dal collegio del magistrato revisore. Sicché, puntualizza la stessa difesa regionale, «la scelta rimessa dalla censurata norma all’Amministrazione regionale va correttamente intesa quale segnalazione di un ben individuato magistrato, assolutamente consentita dalle norme di riferimento ed in particolare dal più volte citato Regolamento emanato con il d.P.R. 27 luglio 1995, n. 388». Ne consegue che «l’indipendenza e l’imparzialità dei magistrati contabili è certamente salvaguardata dal potere-dovere del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti a provvedere – previo espletamento delle valutazioni di competenza ex articolo 13 della L. 27 aprile 1982, n. 186, ed articolo 2 del DPR 388/1995 – all’attribuzione dell’incarico in questione, sulla base di quella motivata richiesta nominativa, seppur priva di un effetto vincolante, formulata dalla Regione, in cui si sostanzia legittimamente quella “scelta” cui si riferisce il legislatore regionale».
Considerato in diritto
1. ¾ Viene all’esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, dell’art. 3 della legge della Regione siciliana 5 dicembre 2006, n. 21 (Provvedimenti urgenti per il funzionamento dell’Amministrazione regionale ed interventi finanziari).
La norma stabilisce: «Al fine di garantire le finalità di cui al disposto dell’articolo 3, comma 3, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, recepito dall’articolo 2 della legge regionale 22 dicembre 2005, n. 19, il revisore contabile è scelto dall’Amministrazione regionale tra i magistrati della Corte dei conti, in servizio presso gli uffici della Corte dei conti aventi sede in Sicilia, in possesso, per tutta la durata del mandato, dei requisiti di cui all'articolo 2409-quinquies del codice civile».
Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata contrasterebbe con gli artt. 100, terzo comma, e 108, secondo comma, Cost., giacché essa, nell’attribuire «all’amministrazione regionale controllata il potere di scegliere il revisore dei conti della società di riscossione delle entrate regionali proprio fra i soggetti istituzionalmente preposti ad effettuare il controllo sulla gestione della società medesima e, in generale, di tutto l’apparato amministrativo regionale, ossia fra i magistrati preposti agli uffici siciliani della Corte», sarebbe «idonea a vulnerare l’imparzialità e l’indipendenza del magistrato contabile sul quale cada la scelta ampiamente discrezionale dell'amministrazione regionale, proprio perché appare atta a realizzare quella “linea di coinvolgimento istituzionale” di tali magistrati nell’attività di controllo interno nell’ambito dell'organizzazione delle amministrazioni, poi soggette ai poteri di controllo esterno delle sezioni siciliane della magistratura contabile».
2. ¾ In via preliminare, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità della questione formulata dalla difesa della Regione siciliana sul presupposto che il rimettente non avrebbe sperimentato una interpretazione conforme a Costituzione della norma censurata, come, peraltro, avrebbe invece fatto lo stesso Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, nel reputare possibile indire una procedura selettiva per il conferimento dell’incarico di revisore contabile della Riscossione Sicilia s.p.a.
A tal riguardo, è sufficiente osservare che il giudice a quo pone in rilievo che la norma censurata «non sembra far residuare spazi di sorta per l'esercizio di poteri da parte di soggetti diversi dall'amministrazione regionale siciliana, alla quale, inoltre, pare demandare esclusivamente una scelta intuitu personae, svincolata da altri parametri che non quello – previsto dalla stessa norma – del possesso dei requisiti di cui all’art. 2409-quinquies del codice civile». Il rimettente fornisce, dunque, una esauriente e non implausibile motivazione circa le ragioni che lo hanno condotto a reputare l’opzione ermeneutica prescelta come l’unica praticabile, così da sottrarsi alla eccezione prospettata dalla Regione.
3. ¾ Nel merito, la questione è fondata.
3.1. ¾ Il denunciato art. 3 della legge regionale n. 21 del 2006 si colloca nell’àmbito della disciplina dettata dalla legge della Regione siciliana 22 dicembre 2005, n. 19 (Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie), il cui art. 2 prevede la costituzione (comma 3) della “Riscossione Sicilia s.p.a.” da parte della Regione (che è tenuta a mantenere la partecipazione di maggioranza), con l’eventuale partecipazione dell’Agenzia delle entrate. La “Riscossione Sicilia S.p.A.” è compagine sociale omologa alla “Riscossione S.p.A.”, la quale ha rilievo nazionale ed è prevista dall’articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248. Difatti, alla società siciliana sono da riferirsi «gli obblighi, i diritti ed i rapporti» che la legge contempla per la “Riscossione S.p.A.”, nonché le attività che il citato art. 3 del d.l. n. 203 del 2005 riserva, al comma 4, a quest’ultima e, tra queste, le attività di riscossione mediante ruolo, quelle di riscossione spontanea, liquidazione ed accertamento delle entrate, tributarie o patrimoniali, degli enti pubblici, anche territoriali, e delle loro società partecipate, oltre ad attività strumentali a quelle dell'Agenzia delle entrate. Sicché, coerentemente con tale assetto, il comma 2 dell’art. 2 della legge regionale n. 19 del 2005 dispone che «a decorrere dal 1° ottobre 2006 è soppresso il sistema di affidamento in concessione del servizio regionale della riscossione e le funzioni relative alla riscossione in Sicilia sono esercitate dalla Regione mediante» la “Riscossione Sicilia S.p.A.”.
Quanto poi alla gestione di tale società di riscossione, il comma 4 del citato art. 2 prevede che sia la Regione ad esercitare i diritti “corporativi”, anche nel contenuto dei patti parasociali, tramite il dipartimento finanze e credito dell’Assessorato per il bilancio e le finanze. In siffatto contesto assume, quindi, specifico rilievo il successivo comma 6, secondo cui: «L’Assessore regionale per il bilancio e le finanze rende annualmente all’Assemblea regionale siciliana una relazione sullo stato dell'attività di riscossione; a tal fine, il dipartimento finanze e credito dell'Assessorato regionale del bilancio e delle finanze fornisce allo stesso Assessore i risultati dei controlli sull'efficacia e sull’efficienza dell’attività svolta dalla Riscossione Sicilia S.p.A.».
3.2. ¾ Sotto il diverso, ma correlato, profilo della disciplina del codice civile sul controllo contabile delle società di capitali, occorre evidenziare che l’art. 2409-bis affida detto controllo a un revisore contabile o ad una società di revisione iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia; segnatamente, la società di revisione lo esercita necessariamente nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, mentre là dove non vi è ricorso al mercato del capitale di rischio e non vi sia l’obbligo alla redazione del bilancio consolidato, il controllo contabile può essere esercitato dal collegio sindacale (di cui all’art. 2403 cod. civ.), il quale deve pertanto essere «costituito da revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia». Le funzioni di controllo contabile del revisore o della società incaricata del controllo contabile sono elencate dall’art. 2409-ter cod. civ., il quale stabilisce, tra l’altro, che, secondo l’esito dell’attività – nel corso della quale «il revisore o la società incaricata del controllo contabile può chiedere agli amministratori documenti e notizie utili al controllo e può procedere ad ispezioni» – il revisore è tenuto ad esprimere «un giudizio sul bilancio con rilievi, un giudizio negativo» ovvero a rilasciare «una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio», dovendo così redigere una relazione nella quale siano illustrati «analiticamente i motivi della decisione».
3.3. ¾ E’ nel descritto quadro normativo che va letta, ai fini della presente decisione, la disciplina concernente gli incarichi extraistituzionali che possono ricoprire i magistrati della Corte dei conti ed al cui conferimento provvede il Consiglio di presidenza, in base al combinato disposto dell’art. 10 della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati) e dell’art. 13, secondo comma, numero 3, della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di stato e dei tribunali amministrativi regionali).
Detta disciplina, che ha trovato la propria originaria fonte nella generica previsione dell’art. 7, quinto e sesto comma, del testo unico approvato con regio decreto 12 aprile 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), è stata innovata dall’art. 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il quale, in riferimento ai magistrati, demanda ad apposito regolamento l'emanazione di norme «dirette a determinare gli incarichi consentiti e quelli vietati» (comma 3), stabilendo altresì che, una volta scaduto il termine per l'emanazione del regolamento, «l’attribuzione degli incarichi è consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative» (comma 4). Per i magistrati della Corte dei conti, il regolamento è stato emanato con il d.P.R. 27 luglio 1995, n. 388 (Regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 58, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29), il quale, posta la disciplina di principio, include tra gli incarichi per i quali sussiste il divieto di conferimento anche la «partecipazione a collegi sindacali o di revisori dei conti», ma con salvezza dei «casi espressamente previsti da legge dello Stato o delle regioni» (art. 3, comma 6, lettera g). A tale specifico riguardo, in forza dell’art. 7 della Delibera n. 227/2002 del Consiglio di presidenza (adottata nell’adunanza del 4-5 giugno 2002), la partecipazione a collegi sindacali o di revisione «è consentita solo se espressamente prevista dalla legge, statale o regionale, o da regolamenti di delegificazione oppure da statuti di istituzioni ad autonomia costituzionalmente garantita». Lo stesso art. 7 stabilisce altresì: «Detti incarichi qualora si tratti di Amministrazioni, Enti o Istituzioni soggetti al controllo o alla giurisdizione della Corte dei conti, non possono essere autorizzati o conferiti nell’ambito della Regione nella quale ha sede l’ufficio cui il magistrato è assegnato [comma 2]. Fa eccezione la partecipazione a titolo gratuito ad organi di enti senza fine di lucro ed alle istituzioni di garanzia di cui all’art. 3, comma 3, lett. b) del D.P.R. 27 luglio 1995, n. 388 [comma 3]. I magistrati della Corte dei conti, nei limiti di cui al comma 2, possono svolgere l’incarico, autorizzato o conferito, di Presidente o componente dei collegi dei revisori delle Università o di Istituzioni universitarie, secondo quanto previsto dai relativi statuti di autonomia [comma 4]».
4. ¾ Questa Corte, con la sentenza n. 224 del 1999, ha già avuto modo di affrontare questioni di costituzionalità analoghe a quella attualmente oggetto di scrutinio, e riguardanti talune disposizioni di leggi della Regione siciliana (art. 5 della legge regionale 6 marzo 1976, n. 25; art. 22 della legge regionale 14 settembre 1979, n. 212), nella parte in cui prevedevano che anche i magistrati contabili chiamati a far parte di organi collegiali di controllo di enti pubblici regionali dovessero essere nominati tra quelli in servizio nel territorio della Regione.
In detta occasione si è precisato, per quanto specificamente interessa in questa sede, che il vulnus all'indipendenza ed all’imparzialità dei magistrati contabili (artt. 100, terzo comma, e 108, secondo comma, Cost.), le quali «governano anche la materia degli incarichi extraistituzionali, e sono affidate, per la loro cura in concreto, alle determinazioni del Consiglio di presidenza della Corte dei conti», deriva, in particolare, dalla «delimitazione territoriale, per il contesto normativo in cui si colloca, e per le caratteristiche degli incarichi in questione». Ciò in quanto le «sezioni regionali siciliane della Corte dei conti svolgono, in posizione di indipendenza, nei confronti dell'amministrazione regionale, comprensiva degli enti pubblici dipendenti dalla Regione, e degli amministratori e dei funzionari che operano presso di essa, tutte le funzioni di controllo e giurisdizionali proprie della Corte stessa», là dove i «collegi dei revisori dei conti degli enti regionali in questione svolgono le funzioni tipiche del controllo interno, essendo dunque a loro volta soggetti alle valutazioni “esterne” della Corte dei conti», rendendo, quindi, «palese il rischio di un intreccio fra i due ordini di funzioni, suscettibile di tradursi in una menomazione dell’indipendenza e dell’imparzialità dei magistrati delle sezioni regionali della Corte».
Ed ancora, la medesima sentenza n. 224 del 1999 ha puntualizzato che, sebbene una «siffatta linea possa corrispondere all'intento del legislatore regionale, di per sé lodevole, di imprimere caratteri di serietà e di “neutralità” al controllo interno agli enti, attraverso la presenza della professionalità tipica dei magistrati contabili», essa, tuttavia, «non elimina la “contaminazione” fra controlli interni ed esterni, che si può realizzare attraverso la sistematica attribuzione di incarichi di controllo interno, conferiti e remunerati dalla Regione o da enti regionali, a molti degli stessi magistrati che per i compiti di istituto operano, nel medesimo ambito territoriale, nell'organo di controllo esterno». In definitiva, la «limitazione territoriale […] si traduce in un ostacolo all’esercizio dei compiti di salvaguardia dell'indipendenza e dell'imparzialità dei magistrati, affidati al Consiglio di presidenza, cui spetta, proprio a questi fini, deliberare sugli incarichi, e che non potrebbe impedire, non tanto in singole occasioni (per le quali esso potrebbe sempre esercitare la sua potestà di rifiutare in concreto la designazione), ma sistematicamente, che si crei l'accennato rischio di intreccio, pericoloso per l'indipendenza della Corte e dei suoi magistrati».
5. ¾ Alla luce di quanto sopra, il censurato art. 3 della legge della Regione siciliana n. 21 del 2006 si presta, con più evidenza rispetto alle stesse norme scrutinate dalla richiamata sentenza n. 224 del 1999, ad infliggere un vulnus all’indipendenza ed all’imparzialità dei magistrati della Corte dei conti, giacché esso non solo limita nel territorio della Sicilia la scelta dei magistrati cui affidare l’incarico di revisore della “Riscossione Sicilia s.p.a.”, ma attribuisce detta scelta all’esclusivo apprezzamento dell’amministrazione regionale siciliana.
In tale ottica non può valere ad elidere il contrasto con i suddetti principi costituzionali quanto sostenuto dalla difesa della Regione siciliana in ordine alla specificità del modello di governo prescelto per la società di riscossione, giacché l’aver scelto il modello con unico revisore contabile aggrava, semmai, i profili di incostituzionalità posti in rilievo dalla citata pronuncia del 1999.
Peraltro, l’esistenza reale di una “contaminazione” tra controlli interni ed esterni che si viene a determinare in forza della disposizione denunciata è posta in evidenza dalla norma (art. 2, comma 6, della legge regionale n. 19 del 2005) che prevede che l’Assessorato regionale per il bilancio e le finanze, nel redigere la relazione annuale all'Assemblea regionale «sullo stato dell'attività di riscossione», si avvale proprio dei «risultati dei controlli sull'efficacia e sull'efficienza dell'attività svolta dalla Riscossione Sicilia S.p.A.», effettuati dal revisore scelto tra i magistrati della Corte dei conti in servizio nella Regione siciliana.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione siciliana 5 dicembre 2006, n. 21 (Provvedimenti urgenti per il funzionamento dell’Amministrazione regionale ed interventi finanziari).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 23 giugno 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2008.