Ordinanza n. 199 del 2008

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 199

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                           BILE                     Presidente

-  Giovanni Maria                                FLICK                  Giudice

-  Francesco                                       AMIRANTE                  “

-  Ugo                                                         DE SIERVO                  “

-  Paolo                                             MADDALENA                “

-  Alfio                                              FINOCCHIARO            “

-  Alfonso                                          QUARANTA                           “

-  Franco                                           GALLO                         “

-  Luigi                                              MAZZELLA                  “

-  Gaetano                                         SILVESTRI                   “

-  Sabino                                           CASSESE                     “

-  Giuseppe                                        TESAURO                     “

-  Paolo Maria                                    NAPOLITANO              “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), periodo introdotto dal comma 7 dell’art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, promosso con ordinanza depositata il 9 luglio 2007 dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, nel giudizio vertente tra la s.n.c. “Laguna Blu di Mammana e Giannino” e l’Agenzia delle entrate, ufficio di Enna, iscritta al n. 793 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2007.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2008 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, con ordinanza depositata il 9 luglio 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità del secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), periodo introdotto dal comma 7 dell’art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248;

che il giudice rimettente premette che l’appello è stato instaurato da una società di persone ed ha ad oggetto la sentenza con cui la Commissione tributaria provinciale di Enna ha parzialmente accolto l’impugnazione proposta in data 5 dicembre 2003 dalla stessa società avverso l’atto, notificato in data 18 ottobre 2003, mediante il quale l’Agenzia delle entrate, ufficio di Enna, aveva irrogato le sanzioni amministrative previste per le violazioni delle norme in materia di lavoro irregolare dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73 (nel testo anteriore alle modificazioni apportate dall’art. 36-bis, comma 7, lettera b, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, in vigore dal 12 agosto 2006, che ha trasferito dall’Agenzia delle entrate alla Direzione provinciale del lavoro il potere di irrogare le predette sanzioni);

che lo stesso rimettente premette, altresí, che: 1) la disposizione denunciata – introdotta dal comma 7 dell’art. 3-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge del 2005 – stabilisce che «Ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata»; 2) l’appellante, nella specie, non ha adempiuto al suddetto prescritto deposito di copia dell’appello nella segreteria del giudice di primo grado;

che, poste tali premesse, il giudice a quo ritiene che la suddetta disposizione non sia conforme a Costituzione, in riferimento agli evocati parametri, perché: a) l’esigenza di informare la segreteria del giudice di primo grado dell’intervenuto appello (e, quindi, dell’esistenza di un ostacolo al passaggio in giudicato della sentenza pronunciata da tale giudice) è già soddisfatta dalla previsione dell’obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di appello dal comma 3 dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, di richiedere alla segreteria del giudice di primo grado, subito dopo il deposito del ricorso in appello, la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata; b) irragionevolmente collega un radicale ed insanabile effetto preclusivo dell’impugnazione (cioè l’inammissibilità dell’appello) ad un’attività avente «funzione di notizia […] estranea alla struttura del giudizio di gravame»; c) nel caso di notificazione a mezzo posta, fa gravare sull’agente postale (secondo la lettura qualificata come «costituzionalmente orientata» dallo stesso rimettente) l’obbligo di depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della Commissione tributaria provinciale e, pertanto, irragionevolmente sanziona con l’inammissibilità dell’appello l’inadempimento di tale obbligo da parte dell’agente postale, cioè di un soggetto diverso dall’appellante; d) comporta un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’ipotesi di notificazione dell’appello tramite ufficiale giudiziario (il quale, ai sensi dell’art. 123 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, deve dare immediato avviso scritto della notificazione dell’impugnazione al cancelliere del giudice che ha emesso la sentenza impugnata, senza che l’inadempimento di tale obbligo sia sanzionato con l’inammissibilità dell’impugnazione) e quella di notificazione mediante il servizio postale (in cui l’agente postale – secondo la lettura della disposizione impugnata data dal rimettente – deve depositare l’appello nella segreteria del giudice di primo grado, a pena di inammissibilità dell’impugnazione); e) irragionevolmente non indica alcun termine perentorio per il deposito di copia dell’appello nella segreteria della Commissione tributaria provinciale, pur facendo conseguire al mancato deposito l’inammissibilità dell’impugnazione;

che, quanto alla rilevanza delle sollevate questioni, la Commissione tributaria regionale osserva che la disposizione censurata è entrata in vigore il 3 dicembre 2005 (cioè il giorno successivo alla data di pubblicazione della legge n. 248 del 2005 sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica) ed è perciò applicabile, in virtú del principio tempus regit actum, all’appello oggetto del giudizio principale, proposto dalla società mediante notifica «per consegna diretta il 15 dicembre 2005»;

che, conseguentemente, l’applicazione di tale disposizione, ove non dichiarata costituzionalmente illegittima, comporterebbe la pronuncia di inammissibilità dell’appello medesimo, perché l’appellante non ha adempiuto al prescritto deposito di copia dell’appello nella segreteria del giudice di primo grado;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili;

che, quanto alle questioni sollevate in riferimento agli evocati artt. 2 e 24 Cost., l’inammissibilità deriverebbe – secondo la difesa erariale – dal difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza;

che, quanto alla questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., l’inammissibilità deriverebbe dal mancato tentativo esperito dal rimettente di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione denunciata, la quale, proprio perché priva dell’indicazione del termine entro cui effettuare il deposito dell’appello nella segreteria del giudice di primo grado, dovrebbe essere interpretata – ad avviso della difesa erariale – nel senso che sanziona con l’improcedibilità (e non con l’inammissibilità) dell’appello l’inadempimento del suddetto obbligo di deposito, con la conseguenza che tale deposito sarebbe consentito nelle more del giudizio di appello, «fino al momento in cui la causa viene chiamata in decisione».

Considerato che la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, della legittimità del secondo periodo del comma 2 dell’art. 53 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), il quale, nel disciplinare la proposizione dell’appello innanzi agli organi della giurisdizione tributaria, prevede che «Ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata»;

che, come risulta dalla ordinanza di rimessione, il giudizio principale riguarda una controversia sulle sanzioni amministrative inflitte alla ricorrente dall’Agenzia delle entrate per le violazioni delle norme in materia di lavoro irregolare, ai sensi dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73 (nel testo anteriore alle modificazioni apportate dall’art. 36-bis, comma 7, lettera b, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, in vigore dal 12 agosto 2006, che ha trasferito dall’Agenzia delle entrate alla Direzione provinciale del lavoro il potere di irrogare le predette sanzioni);

che, successivamente al deposito della suddetta ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 130 del 2008, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui attribuiva, secondo la lettura datane dal diritto vivente, alla giurisdizione tributaria la cognizione delle controversie sulle sanzioni amministrative di natura non tributaria comunque irrogate da uffici finanziari;

che, per effetto di detta sentenza, si è modificato il quadro normativo di riferimento, perché, in relazione al giudizio principale, è venuta meno la giurisdizione del rimettente;

che, pertanto, è necessario restituire gli atti al giudice a quo, perché prenda atto di tale mutamento del quadro normativo e delle sue conseguenze in ordine alla rilevanza delle questioni.

per questi motivi

La Corte costituzionale

ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, con riguardo alle questioni da essa sollevate con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2008.