Ordinanza n. 67 del 2008

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ORDINANZA N. 67

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                        Presidente

- Giovanni Maria          FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                  "

- Ugo                          DE SIERVO                                  "

- Alfio                         FINOCCHIARO                            "

- Alfonso                     QUARANTA                                 "

- Franco                      GALLO                                         "

- Luigi                         MAZZELLA                                  "

- Gaetano                    SILVESTRI                                   "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                 SAULLE                                       "

- Giuseppe                   TESAURO                                     "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 438, 516 e 517 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 30 giugno 2005 dal Tribunale di Sala Consilina, nel procedimento penale a carico di Z. E., iscritta al n. 505 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sala Consilina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 438, 516 e 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono la facoltà, per l’imputato, di accedere al giudizio abbreviato allorché il pubblico ministero contesti in dibattimento – «tardivamente», in quanto già emerso nella fase delle indagini preliminari – un reato concorrente con quello indicato nel decreto che dispone il giudizio;

che il rimettente – investito del processo penale nei confronti di una persona rinviata a giudizio per il reato di cui all’art. 323 del codice penale (abuso d’ufficio) – riferisce che, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, il pubblico ministero ha contestato all’imputato anche il reato previsto dall’art. 479 cod. pen. (falso ideologico in atto pubblico);

che in relazione alla nuova contestazione – avvenuta non sulla base di elementi acquisiti in dibattimento, ma di circostanze già emerse nel corso delle indagini preliminari – l’imputato ha chiesto di essere ammesso al giudizio abbreviato;

che, alla stregua delle norme denunciate, detta richiesta dovrebbe essere dichiarata inammissibile, in quanto proposta ben oltre il termine di cui art. 438, comma 2, cod. proc. pen.: donde – ad avviso del rimettente – la rilevanza della questione;

che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva come – contestando in dibattimento un reato già desumibile dagli atti di indagine, quando il termine per l’accesso al rito alternativo è ormai spirato – il pubblico ministero venga a privare l’imputato del diritto di avvalersi di tale rito in relazione alla nuova imputazione;

che, consentendo un simile esito, le norme impugnate si porrebbero in contrasto con l’art. 24 Cost.: avendo questa Corte chiarito, con la sentenza n. 265 del 1994, che «qualora non possa rimproverarsi alcuna inerzia all’imputato, ossia nessuna addebitabilità al medesimo delle conseguenze della mancata instaurazione dei riti alternativi al dibattimento, sarebbe molto difficile negare che la impossibilità di ottenere i relativi benefici concretizzi una ingiustificata compressione del diritto di difesa»;

che risulterebbe leso, altresì, l’art. 3 Cost., stante l’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imputato cui vengano tempestivamente contestate tutte le condotte criminose risultanti dal materiale probatorio acquisito all’esito delle indagini preliminari, e l’imputato che si veda contestare durante il dibattimento, «tardivamente», un ulteriore reato in relazione al quale gli è ormai precluso l’accesso al giudizio abbreviato;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che il Tribunale di Sala Consilina dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, degli artt. 438, 516 e 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non permettono all’imputato di accedere al rito abbreviato allorché il pubblico ministero contesti, in dibattimento, un reato concorrente già desumibile dagli atti delle indagini preliminari;

che – ad avviso del rimettente – la questione sarebbe rilevante nel giudizio principale a fronte della richiesta di giudizio abbreviato, formulata dall’imputato con riguardo al reato oggetto della nuova contestazione dibattimentale;

che il giudice a quo solleva una questione di costituzionalità, la quale poggia sull’implicito presupposto interpretativo – corrispondente all’indirizzo giurisprudenziale dominante – per cui le nuove contestazioni dibattimentali possono fondarsi non soltanto su elementi emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale, ma anche sulla semplice rivalutazione delle risultanze delle indagini preliminari: soluzione ermeneutica che fa leva precipuamente su esigenze di celerità e concentrazione delle attività processuali;

che, nel far ciò, il giudice a quo non tiene, tuttavia, affatto conto (anche solo per contestarne, eventualmente, la riferibilità all’ipotesi di specie) dell’ulteriore, consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità – basato sulle medesime esigenze – secondo cui non è ammessa la richiesta di giudizio abbreviato «parziale»: e ciò in quanto l’art. 438 cod. proc. pen. prevede che, tramite tale rito alternativo, debba essere definito «il processo» – ossia, in tesi, la totalità degli addebiti – e non la singola imputazione;

che, nella specie, di contro – secondo quanto si desume dall’ordinanza di rimessione – la richiesta di rito abbreviato dell’imputato ha riguardato solo il reato oggetto della nuova contestazione, e non anche quello per cui egli era stato originariamente rinviato a giudizio;

che l’omessa considerazione dell’orientamento giurisprudenziale dianzi ricordato rende, di conseguenza, inadeguata la motivazione circa la rilevanza della questione: giacché – ove dovesse farsi applicazione del predetto orientamento – la richiesta di giudizio abbreviato dell’imputato risulterebbe comunque inammissibile per il suo oggetto, e lo scrutinio di costituzionalità ininfluente sull’esito del giudizio a quo;

che, pertanto – a prescindere dall’inconferenza dell’impugnativa dell’art. 516 cod. proc. pen. (che regola una fattispecie diversa da quella oggetto del quesito: la modifica dell’imputazione) e dalla mancanza, nell’ordinanza di rimessione, di una specifica motivazione riguardo all’asserita violazione dell’art. 111 Cost. –  la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 438, 516 e 517 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Sala Consilina con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2008.