ORDINANZA N. 13
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), promosso con ordinanza del 9 febbraio 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Latina nel giudizio vertente tra Giuseppe Iozia, l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Latina ed altri, iscritta al n. 539 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio riguardante l’impugnazione di una cartella di pagamento, la Commissione tributaria provinciale di Latina, con ordinanza depositata il 9 febbraio 2007, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, 53 e 76 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), «nella parte in cui sottopone ad imposta di registro gli atti dell’autorità giudiziaria anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili»;
che il giudice rimettente premette, in punto di fatto, che: a) alcuni contribuenti avevano in precedenza proposto ricorso davanti alla stessa Commissione tributaria avverso un avviso di liquidazione dell’imposta principale di registro relativa ad una sentenza civile non ancora passata in giudicato, riguardante un trasferimento di proprietà immobiliare; b) la Commissioneadíta aveva rigettato detto ricorso rilevando che, in forza dell’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986, l’imposta di registro è dovuta anche per le sentenze impugnate o ancora impugnabili; c) i contribuenti avevano poi proposto ricorso contro la cartella di pagamento emessa in base al menzionato avviso di liquidazione deducendo l’illegittimità della cartella, in quanto il suddetto avviso non era divenuto definitivo, per non essere ancora decorsi i termini per appellare la sentenza della Commissione tributaria; d) gli stessi contribuenti avevano precisato che presso la competente Corte d’appello era pendente il giudizio di impugnazione avverso la sentenza civile di primo grado assoggettata ad imposta di registro;
che il rimettente premette altresí, in punto di diritto, che nella fattispecie portata al suo esame non è applicabile l’art. 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), relativo alla riscossione frazionata del tributo in pendenza del processo tributario, perché il giudizio principale riguarda la diversa ipotesi dell’impugnazione di una cartella di pagamento dell’imposta principale di registro, regolata dall’art. 56 del citato d.P.R. n. 131 del 1986, ai sensi del quale «Il ricorso del contribuente non sospende la riscossione» di detta imposta;
che, su tali premesse, il giudice a quo afferma che la norma censurata – nel disporre che «Gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili […] sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato» – víola, innanzitutto, l’art. 3 della Costituzione, perché: a) contrasta con il principio di ragionevolezza, obbligando la parte a registrare un atto giudiziario le cui enunciazioni non sono definitive e giuridicamente certe, tanto che per esso l’art. 8 della parte I della Tariffa allegata al citato d.P.R. n. 131 del 1986 «ha previsto la modifica successiva e poi ancora un’altra modifica per il giudizio di legittimità»; b) contrasta con il principio di uguaglianza, in quanto, «Mentre a carico della parte vi è l’obbligo immediato sanzionato dalle penalità, l’ufficio rimborsa solo dopo il passaggio in giudicato e solo quando la parte ne fa richiesta e quando l’ufficio dispone della somma»; c) crea una disparità di trattamento «tra il cittadino in grado e quello non in grado di pagare preventivamente l’imposta che in caso di ritardo si vede applicare sanzioni ed interessi»;
che la disposizione denunciata víola altresí, sempre secondo il rimettente: a) l’art. 24 Cost., perché reintroduce il principio, espunto dall’ordinamento, del solve et repete, in quanto «esige l’anticipazione dell’imposta su un provvedimento dell’autorità giudiziaria prima ancora della sua giuridica certezza, mantenendo cosí surrettiziamente una sorta di registrazione anticipata», idonea a costituire un «impedimento direttamente connesso al diritto di agire in giudizio», come dimostrato a contrario dalla previsione, nello stesso d.P.R. n. 131 del 1986, di alcune agevolazioni, tra cui «la registrazione a debito (art. 59)»; b) l’art. 53 della Costituzione, perché «il principio di capacità contributiva al momento dell’utilizzo dell’atto stesso» è vulnerato dalla «manifesta illogicità di pretendere l’imposta prima della definitività in concreto dell’atto», cioè prima della realizzazione del presupposto del tributo di registro, consistente «nella conclusione di un negozio produttivo di determinati effetti giuridici»; c) l’art. 76 della Costituzione (parametro, peraltro, non esplicitamente indicato), perché crea un «impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi», ponendosi cosí in contrasto con il divieto di prevedere simili impedimenti stabilito dall’art. 7, secondo comma, numero 7, della legge di delegazione 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), costituente «fonte normativa primaria, sia del d.P.R. n. 634 del 1972 sia del t.u. approvato con il d.P.R. n. 131/86»;
che, quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria provinciale osserva che «nel caso in esame il pagamento dell’imposta deriva dall’obbligo stabilito dall’art. 37 [del d.P.R. n. 131 del 1986], mentre l’applicazione dell’art. 56 [dello stesso d.P.R.] è solo una conseguenza», cosí che, in applicazione della norma denunciata, il ricorso «dovrebbe essere respinto»;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale ed ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o la manifesta infondatezza delle sollevate questioni;
che la difesa erariale, a sostegno dell’eccepita inammissibilità, osserva che il giudice rimettente avrebbe dovuto: a) «precisare […] se vi siano effettivamente i presupposti per una decisione nel merito, al cui fine verrebbe in rilievo l’applicazione della norma contestata, o se piuttosto non vi siano i presupposti per definire il giudizio con una sentenza di inammissibilità del ricorso, conseguente alla mancata denuncia di vizi propri relativi alla cartella di pagamento, diversi da quelli proposti avverso l’atto di liquidazione già impugnato e confermato dalla Commissione tributaria»; b) ricollegare le proposte censure alle norme costituzionali asseritamente violate;
che, nel merito, con riguardo alla dedotta manifesta infondatezza, la medesima difesa erariale afferma che la disposizione denunciata non víola gli evocati parametri costituzionali, perché: a) valgono, in proposito, le stesse ragioni indicate nelle sentenze della Corte costituzionale n. 198 del 1976 e n. 203 del 1988, con riguardo a questioni analoghe; b) oggetto dell’imposta di registro è, nella specie, una sentenza civile avente efficacia esecutiva e non, come invece erroneamente ritenuto dal rimettente, le «enunciazioni» contenute in detta sentenza; c) la capacità contributiva del contribuente è rispettata dalla possibilità del conguaglio d’imposta o della restituzione del tributo, a séguito della intervenuta definitività dell’atto giudiziario civile soggetto a registrazione; d) «il legislatore ha salvaguardato le situazioni particolari in presenza delle quali la registrazione si possa effettuare a debito»; e) l’intervento manipolativo richiesto dal giudice a quo si sostanzierebbe in un ampliamento del novero delle deroghe all’obbligo di versamento dell’imposta; f) detta disposizione non reintroduce un caso di solve et repete fiscale, dal momento che nella fattispecie l’appello avverso la sentenza civile di primo grado non è condizionato al pagamento dell’imposta di registro sulla medesima sentenza ed anzi è stato di fatto proposto; g) la medesima disposizione non pone difficoltà all’esercizio del diritto di difesa né disconosce il diritto al rimborso del tributo, ove ne ricorrano i presupposti; h) non sussiste disparità di trattamento tra il cittadino che è in grado di pagare l’imposta e quello che non lo è, stante, da un lato, la previsione, in alcune ipotesi, del beneficio della registrazione a debito e, dall’altro, l’applicazione – anche per le spese di registrazione della sentenza – della regola della soccombenza in giudizio; i) si verte, comunque, in un àmbito «rimesso alla discrezionalità del legislatore», senza che sia stato superato «il limite dell’arbitrarietà e dell’irragionevolezza»; l) «costituisce un impedimento vietato dalla legge delega sopra richiamata non qualsiasi onere che faccia carico a chi agisca o resista in giudizio, ma soltanto un vero e proprio ostacolo frapposto alla valida instaurazione del rapporto processuale ed al riconoscimento del diritto o dell’interesse legittimo fatto valere in giudizio», ipotesi questa che non ricorre nella specie.
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Latina dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 53 e 76 della Costituzione, della legittimità dell’art. 37 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), «nella parte in cui sottopone ad imposta di registro gli atti dell’autorità giudiziaria anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili»;
che, ad avviso del giudice rimettente, la disposizione censurata víola l’art. 3 Cost., perché, obbligando la parte a registrare un atto giudiziario le cui enunciazioni non sono definitive, contrasta con il principio di ragionevolezza e crea al contempo una disparità di trattamento sia «tra il cittadino in grado e quello non in grado di pagare preventivamente l’imposta», sia tra la parte del giudizio civile, che deve versare immediatamente l’imposta medesima, e l’amministrazione finanziaria, che procede al rimborso di quanto versato solo al passaggio in giudicato della sentenza;
che, sempre secondo il rimettente, la disposizione denunciata víola altresí: a) l’art. 24 della Costituzione, perché reintroduce il principio del solve et repete tributario; b) l’art. 53 della Costituzione, perché lede «il principio di capacità contributiva» imponendo il versamento dell’imposta prima che venga definitivamente in essere il presupposto del tributo di registro; c) l’art. 76 della Costituzione (parametro, peraltro, non esplicitamente indicato), perché, contrariamente a quanto previsto dalla legge di delegazione, crea un impedimento al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi;
che la questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo;
che tale giudizio, in quanto relativo ad una cartella di pagamento per un’imposta principale di registro liquidata con separato avviso notificato al contribuente, può avere ad oggetto solo i vizi propri della cartella medesima, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413);
che nello stesso giudizio vengono, invece, sollevate questioni di legittimità costituzionale di una disposizione che – nell’assoggettare all’imposta di registro le sentenze civili anche non passate in giudicato – può trovare applicazione solo con riguardo all’atto di imposizione presupposto da tale cartella, e cioè all’avviso di liquidazione oggetto di altro giudizio, già instaurato e deciso dalla medesima Commissione tributaria rimettente;
che, non essendo applicabile la norma censurata nel giudizio a quo, deve dichiararsi la manifesta inammissibilità delle questioni prospettate (ex plurimis, ordinanze n. 225 del 2007 e n. 145 del 2006); e ciò a prescindere dalla considerazione che la norma censurata non ostacola l’esercizio del diritto di difesa, perché non limita o condiziona in alcun modo l’impugnazione di atti dell’autorità giudiziaria, e che questa Corte, con la sentenza n. 198 del 1976 e con l’ordinanza n. 203 del 1988, ha espressamente affermato, con riguardo a casi analoghi, che la tassazione di un atto soggetto a registrazione, anche se costituito da sentenza suscettibile di gravame, non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 53 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Latina, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2008.