Sentenza n. 198 del 1976
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SENTENZA N. 198

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 11, 12 e 14 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge di registro), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 23 maggio 1973 dalla commissione tributaria di secondo grado di Milano nel procedimento vertente tra Bigotto Alba Rosa ed altra e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 207 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 167 del 26 giugno 1974;

2) ordinanza emessa il 15 aprile 1973 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Tiberto Luigi e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 263 del 9 ottobre 1974.

Visto l'atto di costituzione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

udito il vice avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per l'Amministrazione delle finanze dello Stato.

Ritenuto in fatto

1. - La commissione tributaria di secondo grado, sezione speciale-diritto di Milano, nel procedimento promosso da Alba Rosa Bigotto ed Emilia Velischek contro l'Amministrazione finanziaria dello Stato, ha sollevato, con ordinanza del 23 maggio 1973, questione di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 14 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge di registro) in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, e nei limiti di cui appresso.

In punto di fatto ha ricordato che nel procedimento civile vertente tra Anita Bigotto e Venturino Pomati (che avevano acquistato per scrittura privata registrata e non trascritta un piccolo appezzamento di terreno da podere di Giuseppe Bigotto) ed i detti Alba Rosa Bigotto ed Emilia Velischek (eredi di Giuseppe Bigotto, che avevano venduto per atto notarile lo stesso bene a Maria Valeria Velischek) e il loro avente causa, il tribunale di Milano aveva dichiarato, con sentenza del 19 dicembre 1960 la simulazione della seconda vendita ed accolto la domanda attrice di rivendica, e che a seguito di ciò l'ufficio atti giudiziari di Milano aveva provveduto alla valutazione del terreno che si assumeva retrocesso; che le contribuenti avevano proposto ricorso; che nei frattempo la Corte d'appello di Milano aveva dichiarato la nullità della sentenza del tribunale nonché di tutti gli atti del relativo giudizio a partire dal 20 marzo 1968 e precisamente dalla data in cui gli attori erano stati dichiarati falliti; e che ad essa sezione speciale per l'esame della questione di diritto erano stati rinviati gli atti della commissione di secondo grado di Milano, adita dall'ufficio e dalle contribuenti che in via principale avevano chiesto l'accertamento di non dovere alcuna imposta.

Ciò premesso, il giudice a quo ha ritenuto che, essendo stata dichiarata nulla la sentenza del tribunale (con decisione di secondo grado passata in giudicato), "nulla - tanto meno la cennata retrocessione - poteva, nel caso di specie, essere ravvisata in essa" e che, però, a sensi dell'art. 11 della legge di registro (che impone il pagamento dei relativi tributi anche "nei casi di registrazione di atti comunque nulli, salva la restituzione nei casi tassativamente indicati dall'art. 14" che, peraltro, non prevede casi di specie) sulla più volte citata sentenza del tribunale sarebbe dovuto il tributo di registro per la retrocessione ivi ravvisabile ed esso non sarebbe rimborsabile.

E nel contempo ha reputato che vadano contro gli artt. 3 e 53 della Costituzione, l'art. 11 nella parte in cui sostanzialmente impone la tassazione anche di atti mai posti in essere ("atti comunque nulli") e l'art. 14 nella parte in cui non dispone la restituzione di tributi pagati in relazione a negozi inesistenti o inefficaci.

Ha ricordato, infine, che la questione presentava rilevanza ai fini del decidere.

2. - Eseguite le necessarie comunicazioni, notificazioni e pubblicazione dell'ordinanza, davanti a questa Corte non c'é stata costituzione di parti, e non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

3. - L'ufficio del registro atti giudiziari di Milano, in sede di registrazione della sentenza del 13 gennaio 1966 del tribunale di quella città con cui il convenuto Luigi Tiberto era stato condannato a corrispondere all'attore Giuseppe Ferretti la somma di lire cinquemilioni, a titolo di provvisionale, quale parziale risarcimento per l'accertata inadempienza contrattuale dello stesso convenuto, consistita nella mancata stipulazione del contratto definitivo di permuta di certi beni, aveva applicato il tributo di registro sulla enunciazione del contratto di permuta e aveva liquidato in pari tempo l'imposta giudiziale di condanna sulla somma di lire cinquemilioni, gli accessori e le sopratasse, ingiungendone il pagamento al Tiberto con atto notificato il 2 ottobre 1967. In pari data aveva intimato ulteriormente al Tiberto di provvedere al pagamento dell'imposta suppletiva dovuta sulla retrocessione dei beni controversi (dal Ferretti al Tiberto) essendosi rilevato che la sentenza in tassazione dava atto della successiva vendita di detti beni, operata dal Tiberto a favore di un terzo.

Il Tiberto, con atto di citazione del 23 ottobre 1967, aveva convenuto in giudizio davanti al tribunale di Milano l'Amministrazione delle finanze, chiedendo che fosse dichiarata l'illegittimità delle ingiunzioni.

Il tribunale, tutto ciò premesso, preso atto che nelle more del giudizio la anzidetta sentenza del 13 gennaio 1966 era stata riformata dalla Corte d'appello di Milano che aveva assolto il Tiberto da ogni domanda contro di lui proposta dal Ferretti e che la sentenza d'appello era stata confermata in cassazione, e provvedendo sulla domanda diretta all'accertamento della non debenza del titolo graduale di registro sulla sentenza di cui sopra, con ordinanza del 15 aprile 1973, richiamati gli artt. 12 e 14 (recte: 11 e 12) della legge di registro e rilevato che tra i casi di restituzione del tributo corrisposto non é compreso quello della riforma in sede di gravame della sentenza di primo grado in base alla quale la detta corresponsione del tributo ha avuto luogo, ha sollevato, in riferimento agli artt. 53 e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 12 e 14 della legge di registro, perché le norme denunciate violano i principi della capacità contributiva che condizionano la misura massima del tributo nel senso che questo non può mai essere fissato ad un livello superiore alla capacità dimostrata dall'atto o dal fatto economico, ed il principio costituzionale di eguaglianza in quanto la discrezionalità del legislatore trova sempre un limite nella ragionevolezza della disparità di trattamento tra cittadini.

Il tribunale, con l'ordinanza di rimessione, ha infine ricordato la sentenza di questa Corte n. 200 del 1972, con cui é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dei detti artt. 12 e 14 nella parte in cui non prevedono la restituzione dell'imposta a seguito di riforma di sentenza traslativa di diritto.

4. - Davanti a questa Corte si é costituita solamente la Amministrazione delle finanze dello Stato che, a mezzo dell'Avvocato generale dello Stato, ha chiesto che sia dichiarata la non fondatezza della questione.

Secondo la difesa dello Stato l'imposta di registro é una imposta di atto applicabile in occasione difatti ed atti giuridici (tra cui le sentenze) e l'obbligazione tributaria sorge con il verificarsi di tali presupposti (e non in relazione al reddito del contribuente) ed indipendentemente da eventi ulteriori. Le sentenze, in quanto comportino condanna al pagamento di somme, danno titolo per la riscossione della cosiddetta imposta giudiziale e come tali non possono sottrarsi alla disciplina contenuta negli artt. 12 e 14 della legge di registro.

Non sarebbe perciò violato l'art. 53 della Costituzione, secondo cui la capacità contributiva del soggetto passivo di imposta deve essere in relazione al presupposto da cui deriva l'obbligazione tributaria.

L'art. 14 della legge di registro, per altro, non incide sul principio di eguaglianza, perché, prevedendo talune eccezioni al criterio della non ripetibilità delle tasse regolarmente versate, "contiene una esplicazione della discrezionalità legislativa di adottare, nei limiti della ragionevolezza, una disparità di trattamento, in relazione a situazioni obiettivamente diverse".

5. - All'udienza del 19 maggio 1976 il vice avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni ha confermato le conclusioni prese con l'atto di costituzione in giudizio.

Considerato in diritto

1. - Con le due ordinanze indicate in epigrafe, rispettivamente della commissione tributaria di secondo grado, sezione speciale-diritto, di Milano e del tribunale di Milano sono sollevate questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, degli artt. 11, 12 e 14 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (che approva la legge di registro).

Poiché le questioni sono identiche o strettamente connesse, i due procedimenti vanno riuniti e le relative cause sono decise con unica sentenza.

2. - Con la sentenza n. 200 del 1972 questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 12 e 14 della legge di registro "nella parte in cui non prevedono, ai fini della restituzione della imposta proporzionale, l'ipotesi che sia stata riformata la sentenza con la quale si attua il trasferimento di un diritto".

In quell'occasione era stata denunciata l'illegittimità della disciplina relativa all'imposta proporzionale di registro, dovuta per le sentenze traslative di diritti, e la questione é stata esaminata limitatamente alla registrazione di tali sentenze.

Ora, con le due ordinanze si prospetta il contrasto della stessa disciplina con le disposizioni di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con riferimento alle ipotesi che la imposta sia dovuta per la registrazione di sentenza che contenga la enunciazione di un atto non registrato e che a codesta sentenza ne segua un'altra, passata in cosa giudicata, con cui la prima sia dichiarata nulla ovvero riformata in toto e rispettivamente e specificamente perché emessa in un procedimento davanti al tribunale validamente promosso da un imprenditore commerciale e irritualmente proseguito dopo la dichiarazione di fallimento dello stesso o perché contenente la detta enunciazione dell'atto senza che ne fosse ammissibile la prova o comunque ne fosse stata provata l'esistenza.

E gli artt. 3 e 53 della Costituzione sarebbero violati, secondo la commissione tributaria di Milano, dall'art. 11 "nella parte in cui sostanzialmente impone la tassazione anche di atti mai posti in essere ("atti comunque nulli") e dall'art 14 "nella parte in cui non dispone la restituzione di tributi pagati in relazione a negozi inesistenti od inefficaci", e secondo il tribunale di Milano, dagli artt. 12 e 14 (e dall'art. 11, sostanzialmente anch'esso denunciato) sotto il profilo che con le relative norme il tributo sarebbe fissato ad un livello superiore alla capacità contributiva dimostrata dall'atto o dal fatto economico ed il legislatore, imponendo il pagamento di un tributo indebito ed escludendo il rimborso di quanto indebitamente pagato, avrebbe determinato una disparità di trattamento tra cittadini, facendo uso della propria discrezionalità al di là del limite della ragionevolezza.

3. - Anche se la distinta considerazione dei due momenti o profili della registrazione della sentenza (e quindi dell'imposizione e riscossione del tributo di registro) e dell'accertamento della nullità originaria di quell'atto o della riforma dello stesso (e quindi dell'eventuale diritto alla restituzione o rimborso del tributo corrisposto) potrebbe apparire non rilevante ai fini della decisione delle questioni all'esame di questa Corte, perché nei casi di specie sostanzialmente si discute se sia o meno dovuto il tributo non ancora corrisposto ancorché preteso e richiesto, ovvero circa il diritto al rimborso di quello corrisposto e non dovuto, di entrambi i profili o momenti non si può non parlare atteso che, con le due ordinanze, viene denunciata l'illegittimità costituzionale dell'art. 11 della legge di registro (oltre quella dei successivi artt. 12 e 14).

Occorre, quindi, in primo luogo giudicare sulla fondatezza o meno della questione di legittimità costituzionale di detto art. 11.

Con la sentenza n. 200 del 1972 questa Corte, occupandosi solo della disciplina relativa all'imposta proporzionale di registro dovuta per le sentenze traslative di diritto, ha, come si é detto, dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 12 e 14 della legge di registro nella parte in cui non prevedono, ai fini della restituzione dell'imposta proporzionale l'ipotesi che sia stata riformata la sentenza con la quale si attua il trasferimento di un diritto, ma, nel contempo, ha affermato in motivazione, che "sotto il profilo costituzionale non ha rilevanza il fatto che il tributo sia corrisposto all'atto della registrazione di una o più sentenze non ancora passate in giudicato". Con quest'ultima osservazione ha implicitamente ammesso, di fronte ad una denuncia di illegittimità costituzionale che concerneva anche l'art. 11, che non andasse contro gli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione la norma (di cui all'articolo ora citato) che imponeva l'obbligo di corrispondere l'imposta di registro "anche nei casi di registrazione di atti comunque nulli" e quindi, ed a maggior ragione, di sentenze suscettibili di essere riformate (o dichiarate nulle, o annullate, o revocate).

Codesto orientamento merita di essere confermato. Anche nella presente occasione il problema va esaminato con riferimento all'ipotesi in cui l'atto soggetto a registrazione sia costituito da una sentenza. E per tale ipotesi deve ritenersi che la sollevata questione non sia fondata.

A proposito della registrazione della sentenza, e cioé di un'operazione che non é facoltativa, ma obbligata o necessaria, e da eseguirsi in termine fisso, concorrono due interessi, quello dello Stato a percepire un compenso per il servizio reso ai soggetti interessati alla registrazione e ad avere un tributo in occasione di un trasferimento di ricchezza, e quello del contribuente a concorrere alle entrate fiscali dello Stato sulla base della propria capacità contributiva.

Nel concorso di codesti due interessi, con il disposto dell'art. 11 della legge di registro secondo cui "le tasse stabilite dalla legge sono dovute anche nei casi di atti comunque nulli", si dà vita ad una norma che, basandosi sull'id quod plerumque accidit (e cioé sul fatto che di regola l'atto sottoposto alla registrazione é valido ed efficace) e sui compiti logicamente attribuibili al procuratore del registro (e cioé sulla impossibilità per questo di indagare circa la regolarità dell'atto), considera prevalente il primo interesse. Ma nel contempo anche il secondo interesse, sia pure in modo subordinato ed accessorio, trova tutela, giacché é fatta salva la restituzione delle tasse "nei casi tassativamente indicati dall'art. 14".

L'art. 11, pertanto, nella parte in cui consente che la imposta di registro (ricorrendo le condizioni di legge) sia dovuta anche nei casi di registrazione di sentenza nulla o riformabile, non appare in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, perché detta sentenza finché non sia dichiarata nulla o riformata con altra sentenza passata in cosa giudicata, denuncia direttamente o indirettamente un trasferimento di ricchezza assoggettabile all'imposta di registro.

4. - Diversamente stanno le cose a proposito degli articoli 12 e 14 della legge di registro.

Anche a tal riguardo le questioni prospettate con le ordinanze in epigrafe vanno considerate entro i limiti della loro sostanziale portata e cioé in quanto sono relative alle norme di cui ai detti articoli, nelle parti in cui, non prevedono, ai fini della restituzione dell'imposta, le ipotesi che sia stata dichiarata nulla la sentenza che dichiara la nullità di una compravendita simulata e dalla quale si desume la retrocessione del bene dal simulato acquirente al simulato alienante, ovvero che sia stata riformata la sentenza che contiene la enunciazione di atto traslativo di proprietà (non registrato) e dalla quale si desume la relativa retrocessione.

Le questioni così individuate sono fondate.

In entrambe le ipotesi, sono dovute imposte in sede di registrazione della sentenza di primo grado. E non rileva se la sentenza sia traslativa di diritti (come nella ipotesi di cui alla citata sentenza n. 200 del 1972) ovvero (come nelle specie) in essa si contenga enunciazione di atto (non registrato) o da essa si desuma una retrocessione di diritti. Perché, tanto nel primo caso che negli altri é considerato come giuridicamente non esistente sin dall'inizio o é sostituito integralmente agli effetti giuridici l'atto giurisdizionale documentato nella sentenza di primo grado.

Nelle ipotesi ora considerate si é fuori dalle previsioni di cui agli artt. 12 e 14 della legge di registro.

Per quanto si sia potuto ritenere il contrario, c'é da escludere che tra gli "atti dichiarati nulli con sentenza pronunciata in contraddittorio tra i contraenti e passata in giudicato" possano rientrare le sentenze dichiarate nulle con sentenza pronunciata in contraddittorio tra le stesse parti e passata in giudicato, perché la norma di cui all'art. 14 n. 2 é eccezionale e quindi di stretta interpretazione e perché la deroga ivi contenuta presuppone l'esistenza di una nullità originaria dell'atto alla quale non abbia contribuito la volontà o il consenso delle parti ed invece sulla sorte sia pure definitiva di una sentenza affetta da nullità hanno modo di influire le parti non proponendo contro di essa alcuna impugnativa e facendola passare in cosa giudicata. Né vi possono rientrare le sentenze che siano oggetto di riforma con sentenza che intervenga nei successivi gradi dello stesso giudizio, perché in tale caso si é fuori del campo degli "atti dichiarati nulli".

Ma nelle ipotesi in considerazione ricorrono le ragioni che a suo tempo hanno indotto questa Corte ad emettere la sentenza n. 200 del 1972.

Come nelle ipotesi in cui il trasferimento del diritto, che trovi il titolo nella sentenza, non esiste, a seguito di riforma della sentenza e viene quindi a mancare l'oggetto della imposizione tributaria, l'imposta di registro che sia stata corrisposta, deve essere restituita; così non può non discendere lo stesso effetto qualora con successiva sentenza passata in giudicato venga dichiarata la nullità assoluta (e non la pura e semplice inesistenza) o venga riformata in toto la sentenza che contenga la enunciazione dell'atto traslativo di diritti non registrato e però soggetto a registrazione e/o da cui si desuma una retrocessione di diritti: l'atto da registrare sostanzialmente non esiste e viene anche qui a mancare l'oggetto dell'imposizione tributaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimtà costituzionale degli artt. 12 e 14 della legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269), nella parte in cui non prevedono, ai fini della restituzione della imposta, le ipotesi che sia stata dichiarata nulla o riformata la sentenza, in cui si contenga l'enunciazione di un atto soggetto a registrazione o da cui si desuma la retrocessione di un diritto;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 della citata legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO – Leopoldo ELIA.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1976.