SENTENZA N. 11
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5-bis, lettera c), del decreto-legge 17 giugno 2005, n. 106 (Disposizioni urgenti in materia di entrate), comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione 31 luglio 2005, n. 156, promossi con ordinanze depositate il 14 luglio 2006 ed il 30 gennaio 2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna nei giudizi rispettivamente vertenti tra Guido Liberatore, l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Bologna 4 ed altra, nonché tra Riccardo Campagni e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Bologna 1, iscritte al n. 389 ed al n. 572 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 e n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio riguardante l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e relativa all’IRPEF dell’anno 2000, la Commissione tributaria provinciale di Bologna, con ordinanza depositata il 14 luglio 2006 (r.o. n. 389 del 2007), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione – questioni di legittimità dell’art. 1, comma 5-bis, lettera c), del decreto-legge 17 giugno 2005, n. 106 (Disposizioni urgenti in materia di entrate), comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione 31 luglio 2005, n. 156, nella parte in cui stabilisce che la notificazione delle cartelle di pagamento derivanti dalla liquidazione delle dichiarazioni è effettuata, a pena di decadenza, «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001».
Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice rimettente afferma che la norma denunciata víola il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., perché prevede per la notificazione delle predette cartelle, emesse all’esito di semplici operazioni di liquidazione delle somme dovute dai contribuenti in base alle dichiarazioni da essi presentate, un termine decadenziale (quinquennale) superiore a quello (quadriennale) previsto dall’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 per la notificazione degli avvisi di accertamento, emessi all’esito di un ben piú complesso procedimento. Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata non rispetterebbe la «raccomandazione» contenuta nella sentenza n. 280 del 2005 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nella parte in cui non prevede un termine di decadenza entro il quale il concessionario deve notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate in base alla dichiarazione del contribuente. Per il rimettente, infatti, la norma denunciata – emanata per colmare la lacuna prodottasi nell’ordinamento a séguito della suddetta declaratoria di illegittimità costituzionale – non si sarebbe conformata al «dettato» della citata sentenza, là dove questa osserva che il legislatore, nel fissare il termine per la notificazione delle cartelle emesse ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, «non potrà non considerare che il vigente art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che l’avviso di accertamento – quale atto conclusivo di un ben più complesso procedimento – sia notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione, e che solo entro tale limite temporale il contribuente è obbligato a conservare la documentazione sulla base della quale ha redatto la dichiarazione».
Il giudice rimettente afferma che la norma censurata víola anche gli artt. 24 e 97 Cost., perché «ha finito col vanificare i diritti di quei contribuenti che avevano provocato la stessa sentenza n. 280/2005 della Corte cost., per avere ricevuto notifiche, a seguito di controllo ex art. 36-bis, per le dichiarazioni presentate negli anni 1998-1999, i quali […] ora si vedono puniti con la previsione di un termine molto ampio» (quinquennale), rispetto a quello previsto per la notificazione delle cartelle relative alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003 (quadriennale) ovvero successivamente (triennale).
Quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria provinciale afferma – sulla scorta della sentenza della Corte di cassazione n. 26104 del 2005 – che la disposizione censurata disciplina i rapporti pendenti alla data della sua entrata in vigore ed è, pertanto, applicabile nel giudizio principale, nel quale il contribuente ha eccepito l’intempestività della notificazione della cartella impugnata, relativa ad una dichiarazione dell’IRPEF presentata nel 2001, emessa ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e notificata il 2 febbraio 2006. Da tali affermazioni il rimettente fa conseguire la pregiudizialità, rispetto al giudizio a quo, della sollevata questione.
2. – Nel corso di un diverso giudizio riguardante l’impugnazione di una cartella di pagamento dell’IVA relativa all’anno 2000 ed emessa ai sensi dell’art. 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), la medesima Commissione tributaria provinciale di Bologna, con ordinanza depositata il 30 gennaio 2007 (r.o. n. 572 del 2007), ha sollevato – con riferimento agli stessi parametri costituzionali (artt. 3, 24 e 97 Cost.) ed alla stessa disposizione denunciata (art. 1, comma 5-bis, lettera c, del decreto-legge n. 106 del 2005, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 156 del 2005) – questioni di legittimità identiche a quelle sollevate con la propria precedente ordinanza, espressamente richiamata, in quanto, secondo il giudice rimettente, i rilievi effettuati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 280 del 2005 «valgono, evidentemente, anche in riferimento al controllo delle dichiarazioni in tema di imposta sul valore aggiunto, essendo del tutto speculari le norme ex artt. 54-bis e 57, co. 1, D.P.R. 633/72 a quelle ex artt. 36-bis e 43, co. 1, D.P.R. 600/73».
Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice rimettente, dopo aver riproposto le medesime argomentazioni svolte nella precedente ordinanza di rimessione, precisa che la norma denunciata víola il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., perché prevede per la notificazione delle cartelle, emesse all’esito di semplici operazioni di liquidazione delle somme dovute dai contribuenti in base alle dichiarazioni da essi presentate, un termine decadenziale (quinquennale) superiore a quello (quadriennale) previsto dall’art. 57, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 per la notificazione degli avvisi di accertamento, emessi all’esito di un ben piú complesso procedimento.
Quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria provinciale afferma che la disposizione censurata è applicabile nel giudizio principale, nel quale il contribuente ha eccepito l’intempestività della notificazione della cartella impugnata, relativa ad una dichiarazione dell’IVA presentata nel 2001, emessa ai sensi dell’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 e notificata il 16 febbraio 2006. Da tali affermazioni il rimettente fa conseguire la pregiudizialità, rispetto al giudizio a quo, della sollevata questione.
3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in entrambi i giudizi di legittimità costituzionale depositando atti di identico contenuto e chiedendo dichiararsi l’inammissibilità delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 24 e 97 Cost. e la manifesta infondatezza di quelle sollevate in riferimento all’art. 3 Cost.
La difesa erariale, con riguardo all’eccepita inammissibilità, osserva che il giudice rimettente non ha addotto alcun argomento a sostegno dell’asserita violazione – ad opera della disposizione denunciata – degli artt. 24 e 97 Cost., «al di là della non pertinenza del richiamo».
La medesima difesa erariale, con riguardo alla dedotta manifesta infondatezza, rileva che il legislatore «ha rispettato» l’indicazione contenuta nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005 di tener conto del termine per la notificazione degli avvisi di accertamento ed ha, perciò, fissato termini di decadenza differenziati per la notificazione delle cartelle di pagamento emesse ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973: a) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per la disciplina “a regime” prevista dall’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo modificato dall’art. 1, comma 5-ter, del decreto-legge n. 106 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 156 del 2005; b) termini diversi per la disciplina transitoria con riferimento alle dichiarazioni già presentate alla data di entrata in vigore della suddetta legge di conversione (entro il 31 dicembre 2007, per le dichiarazioni presentate nel 2004 e nel 2003; entro il 31 dicembre 2006, per le dichiarazioni presentate nel 2002 e nel 2001; entro il 31 dicembre 2005, per le dichiarazioni presentate nel 2000; e cosí via). In particolare, per l’Avvocatura generale dello Stato, tale normativa è ragionevole sia per la disciplina “a regime”, in quanto fissa termini di notificazione inferiori a quelli previsti per gli avvisi di accertamento; sia per quella transitoria, in quanto contempera, da un lato, «l’esigenza di prevedere (come imposto dalla sentenza della Corte) un unico termine perentorio per la notificazione della cartella» e, dall’altro, quella di concedere agli uffici (nonché ai concessionari della riscossione) un termine tale da impedire «l’immediata perdita per l’erario di somme risultanti dovute sulla base della dichiarazione di contribuenti». Con la disposizione censurata e rispetto alla data di entrata in vigore di questa – prosegue l’Avvocatura erariale – il legislatore ha sostanzialmente concesso agli uffici «il brevissimo termine di circa quattro mesi per iscrivere a ruolo e notificare le cartelle dirette al recupero delle somme risultanti dalle dichiarazioni presentate nell’anno 2000 e di circa 1 anno e 4 mesi per le somme risultanti dalle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2001». Secondo la stessa Avvocatura, inoltre, non può nemmeno ritenersi che nella fattispecie vi sia «un affidamento del contribuente che sia stato violato dal momento che […] sulla base della legislazione vigente alla data di emanazione della sentenza n. 280/2005 egli era soggetto alla prescrizione decennale».
Considerato in diritto
1. – In due distinti giudizi, aventi ad oggetto rispettivamente l’impugnazione di una cartella di pagamento dell’IRPEF relativa all’anno 2000, emessa ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e l’impugnazione di una cartella di pagamento dell’IVA relativa all’anno 2000, emessa ai sensi dell’art. 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), la Commissione tributaria provinciale di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, identiche questioni di legittimità dell’art. 1, comma 5-bis, lettera c), del decreto-legge 17 giugno 2005, n. 106 (Disposizioni urgenti in materia di entrate) – comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione 31 luglio 2005, n. 156 –, nella parte in cui stabilisce che la notificazione delle cartelle di pagamento derivanti dalla liquidazione delle dichiarazioni è effettuata, a pena di decadenza, «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001».
2. – L’identità delle norme denunciate e delle censure prospettate dai giudici a quibus nelle due ordinanze impone la riunione dei giudizi di legittimità costituzionale, al fine di decidere congiuntamente le sollevate questioni.
3. – I giudici a quibus lamentano, in particolare, che la norma denunciata víola il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., perché prevede per la notificazione delle predette cartelle, emesse all’esito di semplici operazioni di liquidazione delle somme dovute dai contribuenti in base alle dichiarazioni da essi presentate, un termine decadenziale (quinquennale) irragionevolmente superiore a quello previsto per la notificazione degli avvisi di accertamento, emessi a séguito di un ben piú complesso procedimento. La disposizione censurata non rispetta perciò, per i giudici rimettenti, il «dettato» della sentenza n. 280 del 2005 di questa Corte, nella quale si rileva che il legislatore, nel fissare il termine per la notificazione delle cartelle emesse ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, «non potrà non considerare che il vigente art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che l’avviso di accertamento – quale atto conclusivo di un ben più complesso procedimento – sia notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione, e che solo entro tale limite temporale il contribuente è obbligato a conservare la documentazione sulla base della quale ha redatto la dichiarazione». I medesimi giudici a quibus lamentano altresí che la disposizione censurata víola gli artt. 24 e 97 Cost., perché vanifica sostanzialmente il diritto di difesa dei contribuenti che rimangono assoggettati, pur dopo la menzionata sentenza n. 280 del 2005, alla previsione di un termine di decadenza «molto ampio» rispetto a quello previsto per la notificazione delle cartelle emesse per la liquidazione delle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003 (termine quadriennale) ovvero successivamente (termine triennale).
4. – La difesa erariale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni poste con riferimento agli artt. 24 e 97 Cost., per difetto di motivazione in ordine alla violazione degli evocati parametri costituzionali.
L’eccezione è fondata.
I giudici rimettenti non hanno articolato, con riferimento a dette disposizioni costituzionali, autonome censure, limitandosi ad indicare i menzionati parametri e a prospettare, senza motivarla, una lesione degli stessi ad opera della disposizione censurata. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’omessa motivazione in ordine ai parametri dei quali si deduce la violazione determina la manifesta inammissibilità delle relative questioni (ex plurimis: ordinanze n. 72 del 2007; n. 414 e n. 311 del 2005).
5. – Nel merito, le questioni poste con riferimento all’art. 3 Cost. non sono fondate.
La disposizione censurata deve essere inquadrata nell’àmbito del complessivo intervento legislativo rappresentato dall’art. 1, commi 5-bis e 5-ter, del decreto-legge n. 106 del 2005, come modificato dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione n. 156 del 2005, il quale ha introdotto un termine decadenziale per la notificazione delle cartelle di pagamento, in precedenza non previsto.
Con riguardo alle cartelle emesse a séguito di controllo automatico delle dichiarazioni ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, sono previste una disciplina a regime e una transitoria. Quella a regime fissa quale termine decadenziale per la notificazione delle cartelle relative alle dichiarazioni presentate a decorrere dall’entrata in vigore della legge di conversione citata (10 agosto 2006) il terzo anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni. Quella transitoria prevede termini decadenziali diversi da quelli a regime, differenziandoli a seconda della data di presentazione delle dichiarazioni: a) il terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate a decorrere dal 1° gennaio 2004; b) il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003; c) il quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001.
Le censure dei rimettenti riguardano quest’ultimo termine.
5.1. – Tale disciplina trova giustificazione nell’obiettivo perseguito dal legislatore di garantire non solo l’interesse del contribuente (evidenziato dalla sentenza n. 280 del 2005 di questa Corte e dalla stessa norma censurata) a non essere assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato, ma anche l’interesse dell’erario – parimenti meritevole di tutela – di evitare che, nella fase transitoria, un termine decadenziale eccessivamente ristretto possa precludere od ostacolare la notificazione delle cartelle relative alle dichiarazioni presentate anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge di conversione n. 156 del 2005 e, quindi, pregiudicare la riscossione dei tributi. Infatti, se il termine decadenziale triennale fissato per la disciplina “a regime” fosse stato previsto anche per le cartelle relative alle dichiarazioni presentate fino al 2003, l’erario avrebbe perso la possibilità o di notificare tempestivamente dette cartelle (con riferimento a quelle relative alle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001) o di fruire di un lasso di tempo adeguato per la notificazione delle stesse (con riferimento a quelle relative alle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003). L’applicazione del termine a regime anche agli indicati rapporti pendenti alla data di entrata in vigore della citata legge n. 156 del 2005 avrebbe comportato, cioè, la consumazione, in tutto o in gran parte, del termine decadenziale di notificazione della cartella ancor prima dell’entrata in vigore della suddetta legge che tale termine introduce.
Da ciò discende che non è irragionevole una disciplina transitoria dei termini di decadenza per la notificazione delle suddette cartelle, divergente dalla disciplina a regime.
5.2. – Per gli stessi motivi, non è irragionevole neppure che il termine decadenziale previsto in via transitoria dalla disposizione censurata per la notificazione delle cartelle relative alle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001 sia superiore a quello quadriennale stabilito per la notificazione degli avvisi di accertamento dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, termine al quale fanno riferimento i rimettenti richiamando a sostegno la sentenza n. 280 del 2005. Un termine quadriennale non sarebbe stato, infatti, adeguato, perché l’amministrazione finanziaria avrebbe avuto a disposizione, per la notificazione di dette cartelle, solo il lasso di tempo, particolarmente breve, intercorrente tra il 10 agosto 2005 (data di entrata in vigore della legge n. 156 del 2005), e il 31 dicembre dello stesso anno (data di scadenza del termine quadriennale).
5.3. – Né a tale conclusione può opporsi il menzionato richiamo dei rimettenti alla sentenza n. 280 del 2005, secondo la quale il legislatore, nel fissare il termine per la notificazione delle cartelle emesse ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, «non potrà non considerare che il vigente art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede che l’avviso di accertamento – quale atto conclusivo di un ben più complesso procedimento – sia notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione».
Il termine indicato in tale sentenza si riferisce, infatti, non alla disciplina transitoria, ma solo a quella a regime. La sentenza medesima, contenendo un invito al legislatore a provvedere anche in ordine ai rapporti ancora pendenti, impone anzi di integrare la disciplina a regime con una ragionevole normativa transitoria, che contemperi i già evidenziati contrapposti interessi del contribuente e dell’erario nella fase di passaggio dalla disciplina dichiarata illegittima ad un’altra caratterizzata – seguendo le indicazioni di questa Corte – dalla fissazione di termini decadenziali decorrenti da un preciso dies a quo: presuppone, pertanto, che la normativa transitoria sia diversa da quella a regime. Tale conclusione è coerente, del resto, con l’orientamento di questa Corte, secondo cui la discrezionalità del legislatore è particolarmente ampia quando trattasi di dettare disposizioni transitorie (ex plurimis: sentenze n. 21 del 2005, n. 413 del 2002 e n. 217 del 1998; ordinanze n. 66 del 1994 e n. 131 del 1988).
Anche sotto questo profilo, la transitoria differenziazione dei termini decadenziali è stata, dunque, disposta dal legislatore in modo non irragionevole.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5-bis, lettera c), del decreto-legge 17 giugno 2005, n. 106 (Disposizioni urgenti in materia di entrate), comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione 31 luglio 2005, n. 156, sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5-bis, lettera c), del citato decreto-legge n. 106 del 2005, comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione n. 156 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2008.