Ordinanza n. 434 del 2007

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ORDINANZA N. 434

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-   Franco               BILE                                       Presidente

-   Giovanni Maria  FLICK                                      Giudice

-   Francesco          AMIRANTE                                   ”

-   Ugo                  DE SIERVO                                   ”

-   Paolo                MADDALENA                               ”

-   Alfio                 FINOCCHIARO                             ”

-   Alfonso             QUARANTA                                  ”

-   Franco               GALLO                                          ”

-   Luigi                 MAZZELLA                                   ”

-   Gaetano            SILVESTRI                                    ”

-   Sabino               CASSESE                                       ”

-   Maria Rita         SAULLE                                        ”

-   Giuseppe           TESAURO                                      ”

-   Paolo Maria       NAPOLITANO                               ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell’art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, promossi con ordinanze del 27 novembre 2006 dal Giudice di pace di Montevarchi nel procedimento civile vertente tra Cristoforo Enzo Mobilia in qualità di legale rappresentante della De Nisco Istituto Investigazioni s.r.l. e il Comune di Montevarchi e del 16 gennaio 2007 dal Giudice di pace di Arezzo, nel procedimento civile vertente tra la Fenice di Citi & Ragoni s.n.c. e la Prefettura di Arezzo, iscritte ai numeri 435 e 511 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 24 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che i Giudici di pace di Montevarchi e di Arezzo, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell’art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;

che il rimettente di Montevarchi premette di dover giudicare dell’opposizione proposta, dal legale rappresentante della società “De Nisco Istituto Investigazioni” s.r.l., avverso il verbale con il quale la locale polizia municipale ha contestato alla società l’infrazione consistente nell’omessa comunicazione dei dati della persona e della patente del conducente responsabile di un’infrazione stradale comportante l’applicazione della misura della decurtazione del punteggio dalla patente di guida;

che il predetto giudice a quo evidenzia, inoltre, come il ricorrente abbia dedotto di trovarsi nell’impossibilità di ottemperare all’obbligo di comunicazione, atteso che la vettura di proprietà della società – di cui è il legale rappresentante – risultava, al momento dell’accertata infrazione stradale, in uso ad una società collegata, nonché, materialmente, nella disponibilità di due dipendenti della stessa, destinati ad alternarsi alla guida del veicolo durante l’orario di servizio;

che tali circostanze, unitamente al lasso di tempo di oltre un anno intercorso tra la data di rilevamento dell’infrazione e la richiesta di comunicazione dei dati del conducente, avrebbero reso impossibile l’identificazione del responsabile dell’accertata infrazione;

che ciò premesso in punto di fatto, il giudice a quo reputa i summenzionati artt. 126-bis, comma 2, e 180, comma 8, del codice della strada in contrasto con gli artt. 3, 24 e 27 Cost.;

che, sebbene la sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2005 abbia stabilito che la sanzione della decurtazione dei punti dalla patente di guida (prevista dal comma 2 del censurato art. 126-bis) possa applicarsi soltanto al conducente che risulti l’effettivo responsabile dell’accertata infrazione stradale, e non pure al proprietario del veicolo che abbia omesso di fornire i dati necessari all’identificazione di quel soggetto (sanzionandosi l’omissione di tale comunicazione solo sul piano pecuniario, ai sensi di quanto previsto all’art. 180, comma 8, del medesimo codice della strada), tuttavia il combinato disposto delle due norme continuerebbe a presentare persistenti profili di illegittimità costituzionale;

che esso «equipara», secondo il rimettente, ai fini dell’applicazione della suddetta sanzione pecuniaria, «condotte tra loro diverse», e cioè tanto quelle «tenute da coloro che “scientemente” (e quindi con dolo) o colposamente omettono di fornire la dovuta comunicazione dei dati del conducente del veicolo contravvenzionato», quanto quelle di quanti o «comunichino anche semplicemente di “non ricordare” chi si trovasse alla guida del veicolo», ovvero «proponendo ricorso, motivino le ragioni per le quali si trovano nell’impossibilità di comunicare alcunché, esercitando quindi un loro legittimo diritto di difesa»;

che oltre alla violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente ipotizza il contrasto con gli art. 24 e 27 della Carta fondamentale;

che quanto, in particolare, al primo di tali parametri, il Giudice di pace di Montevarchi evidenzia come, per effetto del sistema configurato dalle censurate disposizioni, il proprietario del veicolo si venga «a trovare nella scomoda posizione di o dovere rendere una dichiarazione contra se per ottemperare all’obbligo di comunicazione impostogli, con palese violazione del principio nemo tenetur se detegere», ovvero – allorché «esprima le ragioni per le quali non è nella condizione di comunicare alcunché» – di vanificare «l’esimente dell’esercizio del diritto ex art. 51 c.p.»;

che, infine, in relazione all’asserito contrasto con l’art. 27 Cost., il rimettente sottolinea come le norme censurate configurino un’ipotesi di responsabilità oggettiva in capo al proprietario, violando così «il principio della personalità della responsabilità penale» (che «costituisce un pilastro-limite strutturale dell’illecito anche depenalizzato»), nonché la stessa previsione dell’art. 42, terzo comma, del codice penale, «che tassativamente prevede i casi in cui l’evento viene posto “altrimenti” a carico dell’agente», e cioè in difetto di dolo o di colpa;

che anche il Giudice di pace di Arezzo censura le stesse disposizioni del codice della strada, in riferimento ai medesimi parametri di cui agli artt. 3, 24 e 27 Cost.;

che anche il predetto rimettente risulta investito dell’opposizione proposta da una società commerciale, “La Fenice di Citi e Ragoni” s.n.c., la quale – sul presupposto di avere comunicato all’autorità procedente di versare nella «oggettiva impossibilità di fornire il nominativo della persona fisica che il giorno dell’accertamento dell’infrazione era alla guida del veicolo della società» – contesta la legittimità della irrogazione, a proprio carico, della sanzione pecuniaria prevista per la mancata comunicazione dei dati personali e della patente del conducente responsabile dell’infrazione stradale di cui all’art. 142, comma 8, del codice della strada;

che tanto evidenziato in punto di fatto, il rimettente aretino sottolinea come le motivazioni addotte dalla ricorrente a sostegno della propria opposizione – e cioè che «il tempo decorso dal momento dell’accertamento e quello della notifica del relativo verbale, ovvero la possibilità che la vettura, al momento dell’accertamento, fosse nella disponibilità materiale di più persone» costituirebbero altrettante circostanze che «renderebbero impossibile l’individuazione del conducente» – non siano idonee, in realtà, ad evitare l’applicazione della sanzione pecuniaria;

che ciò nondimeno, il giudice a quo reputa di dover censurare il combinato disposto degli artt. 126-bis, comma 2, e 180, comma 8, del codice della strada, in quanto esso si presenta, innanzitutto, viziato da «irragionevolezza», giacché il proprietario «può legittimamente dichiarare e comunicare il nominativo di colui al quale la vettura venne consegnata, ma non i dati di chi fosse effettivamente alla guida al momento dell’accertamento»;

che tale combinato disposto, inoltre, «di fatto esclude qualsivoglia possibilità concreta di esercizio del diritto di difesa», atteso che fa dipendere l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 180, comma 8, «tanto dalla mancata comunicazione dei dati», quanto «dalla comunicazione delle ragioni della impossibilità della comunicazione richiesta, derivante dalla mancata individuazione del conducente»;

che, infine, le norme censurate configurano «una ipotesi di responsabilità oggettiva in capo al proprietario», in contrasto «con lo stesso spirito» della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), «ed in particolare con l’art. 3 che vuole irrogata la sanzione amministrativa solo nei casi in cui si rinvenga, in capo al trasgressore, l’elemento psicologico del dolo o della colpa»;

che è intervenuto, nel solo giudizio originato dall’ordinanza del Giudice di pace di Arezzo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la manifesta infondatezza della questione ma riservandosi di illustrarne le ragioni «nel prosieguo del giudizio».

Considerato che i Giudici di pace di Montevarchi e di Arezzo, con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell’art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;

che, in via preliminare, deve essere disposta la riunione dei due giudizi, atteso che la loro comunanza di oggetto ne giustifica l’unitaria trattazione;

che l’iniziativa assunta da entrambi i rimettenti – al di là dell’evocazione di tre parametri costituzionali (ed a prescindere dal non pertinente richiamo dell’art. 27 Cost., applicabile, per vero, alla sola responsabilità penale e non pure a quella amministrativa) – tende, in definitiva, a censurare l’equiparazione, operata dalle norme censurate, tra le condotte «tenute da coloro che “scientemente” (e quindi con dolo) o colposamente omettono di fornire la dovuta comunicazione dei dati del conducente del veicolo contravvenzionato» e quelle di quanti o «comunichino anche semplicemente di “non ricordare” chi si trovasse alla guida del veicolo», ovvero «proponendo ricorso, motivino le ragioni per le quali si trovano nell’impossibilità di comunicare alcunché» (così, in particolare, il Giudice di pace di Montevarchi);

che, tuttavia, ciascuno dei giudici a quibus mostra di ignorare il contenuto delle modificazioni apportate – tra l’altro anteriormente alla pronuncia delle ordinanze di rimessione – al testo dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada (vale a dire una delle due norme censurate) dal comma 164 dell’art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), inserito dalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286;

che, difatti, nella sua novellata formulazione, il predetto art. 126-bis, comma 2, del codice della strada stabilisce – in ordine alla conseguenze derivanti dalla mancata comunicazione «dei dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione» – che il «proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell’articolo 196, sia esso persona fisica o giuridica, che omette, senza giustificato e documentato motivo, di fornirli è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250 a euro 1.000»;

che, inoltre, i rimettenti, non solo hanno mancato di valutare le conseguenze che la descritta modificazione legislativa – la quale, oltretutto, si indirizza proprio nella direzione da essi auspicata, giacché nega che l’irrogazione della sanzione pecuniaria derivante dalla mancata comunicazione «dei dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione» possa applicarsi indistintamente ad ogni comportamento omissivo, escludendone, in particolare, l’operatività nel caso in cui la mancata comunicazione sia dipesa da un «giustificato e documentato motivo» – potrebbe produrre in relazione alla fattispecie oggetto dei giudizi principali, ma mostrano anche di ignorare quanto affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 244 del 2006;

che questa Corte – già nello scrutinare il testo originario dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada (e con esso quello dell’art. 180, comma 8, dello stesso codice, al quale il primo rinviava) – ha sottolineato come un «duplice argomento ermeneutico (letterale e sistematico)» porti necessariamente a riconoscere «la possibilità di discernere il caso di chi, inopinatamente, ignori del tutto l’invito “a fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”, da quello di colui che, “presentandosi o scrivendo”, adduca invece l’esistenza di motivi idonei a giustificare l’omessa trasmissione di tali dati» (ordinanza n. 244 del 2006);

che a fronte, pertanto, di persistenti dubbi nell’interpretazione del testo originario dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada (e del successivo art. 180, comma 8), questa Corte deve ulteriormente precisare che un’opzione ermeneutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei «dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione», presenterebbe una dubbia compatibilità con l’art. 24 Cost.;

che una simile interpretazione, difatti, non consentendo in alcun modo all’interessato di sottrarsi all’applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilità, contravvenendo a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui «tale presunzione assoluta determina la lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione, dal momento che preclude all’interessato ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta» (ex multis, sentenza n. 144 del 2005);

che, dunque, così correttamente interpretate le due disposizioni censurate si sottraggono ai dubbi di costituzionalità prospettati dai giudici rimettenti, risultando così le questioni sollevate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell’art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, sollevate – in riferimento agli articoli 3, 24 e 27 della Costituzione – dai Giudici di pace di Montevarchi e di Arezzo, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2007.