ORDINANZA N. 338
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato, «nellinteresse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla nota (prot. n. USG/2.SP/1318/50/347) dell11 novembre 2005 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Silvio Berlusconi; alla nota (prot. n. USG/2.SP/813/50/347) del 26 luglio 2006 a firma del Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi, ed alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, in materia di tutela del segreto di Stato nel settore degli Organismi di informazione e di sicurezza, promosso con ricorso depositato in cancelleria il 15 giugno 2007 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 15 giugno 2007, «nellinteresse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», è stato proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio, «in relazione alle note dell11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonché alla direttiva 30.7.1985 n. 2001.5/07 [recte: 2001.5/707], in quanto comportano unillegittima compressione delle attribuzioni e dei poteri propri dellautorità giudiziaria garantiti dagli artt. 101 e ss. della Costituzione»;
che, nel ricostruire, quale antefatto del conflitto, la vicenda del sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, detto Abu Omar, avvenuto in Milano il 17 febbraio 2003, i ricorrenti evidenziano, in particolare, che tutti gli atti di indagine del procedimento in questione erano stati depositati ai sensi dellart. 415-bis del codice di procedura penale in data 6 ottobre 2006; che in data 5 dicembre 2006 era stato richiesto il rinvio a giudizio degli imputati e in data 9 gennaio 2007 era stata iniziata ludienza preliminare, senza che in tale sede venisse «manifestata una qualsiasi opposizione rispetto allallegazione agli atti dei documenti sequestrati il 5 luglio 2006 nellufficio del SISMi e delle registrazioni telefoniche»; che, infine, in data 16 febbraio 2007, il Giudice delludienza preliminare aveva emesso il decreto che dispone il giudizio nei confronti degli imputati, ivi compresi tutti gli appartenenti al SISMI;
che i ricorrenti riassumono il contenuto del ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Giudice per le indagini preliminari in funzione di Giudice delludienza preliminare (dopo analogo ricorso proposto nei confronti della Procura della Repubblica di Milano), in relazione al decreto che dispone il giudizio, sottolineando come, in quel giudizio, il Giudice delludienza preliminare costituendosi e sollevando a sua volta, con ricorso incidentale, conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio avesse ribadito che, nel corso del procedimento penale in questione, non era mai stata eccepita, nelle forme e nei modi previsti dal codice di procedura penale, lesistenza di un segreto di Stato sui documenti e sulle notizie acquisiti nel corso delle indagini e utilizzati dal giudice delludienza preliminare;
che, per quanto concerne lammissibilità del ricorso, i ricorrenti ricordano, quanto al profilo soggettivo, la «pacifica giurisprudenza» della Corte che riconosce la legittimazione del giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice delludienza preliminare quale organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene ad essere parte di conflitti di attribuzione; e deducono, quanto al profilo oggettivo, la circostanza che oggetto del conflitto risulta essere lillegittima compressione dei poteri propri dellautorità giudiziaria, derivante da atti e comportamenti di altro potere dello Stato;
che, nel merito, il ricorso per conflitto è articolato in una serie di motivi, a premessa dei quali i ricorrenti richiamano princìpi e direttive cui la materia del segreto di Stato dovrebbe ispirarsi, desumibili tanto dalla giurisprudenza costituzionale (segnatamente dalla sentenza n. 86 del 1977), quanto dalla normativa vigente (legge 24 ottobre 1977, n. 801); e si sofferma, in particolare, sullaffermazione secondo la quale il potere di secretazione risulta circoscritto, sotto il profilo oggettivo, ai soli casi in cui sia strettamente funzionale alla salvaguardia di supremi ed imprescindibili interessi dello Stato: sicché il segreto non potrebbe in nessun caso essere apposto «per impedire laccertamento di fatti eversivi dellordine democratico»;
che, del resto, il legislatore ha individuato negli artt. 202 e 256 cod. proc. pen. «il meccanismo processuale» del segreto, formalizzando le modalità di eccezione di esso e le relative conseguenze processuali: e ciò al fine di garantire che lesercizio del potere di secretazione avvenga non soltanto nel rispetto dei limiti imposti dalla Costituzione, ma in forza di princìpi di legalità, correttezza e lealtà, secondo forme ed atti tipici;
che per contro si dolgono i ricorrenti il Presidente del Consiglio «ha preteso di sbarrare lesercizio della funzione giurisdizionale con atti del tutto atipici [ ], così determinando unillegittima compressione delle attribuzioni costituzionali dellAutorità giudiziaria»;
che, in proposito, viene dedotta innanzitutto la violazione del principio di legalità con riferimento alla nota dell11 novembre 2005 ed alla direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, «se interpretate» alla stregua di quanto afferma il Presidente del Consiglio dei ministri nel suo ricorso: vale a dire quale divieto allautorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare tutte le informazioni ed i documenti attinenti ai rapporti tra Servizi italiani e stranieri;
che gli atti in questione, lungi dallessere ipotesi eccezionali di apposizione del segreto, prospetterebbero «una generale preclusione allautorità giudiziaria in relazione ad un lungo elenco di materie», così configurando un «anomalo onere» per il giudice di richiedere al Presidente del Consiglio una «espressa deroga» al segreto genericamente imposto: deroga alla quale resterebbe subordinato il pieno esercizio dei poteri giurisdizionali;
che ancora, secondo i ricorrenti, la medesima direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, sarebbe illegittima, sotto un diverso e autonomo profilo, «se interpretata come vincolante per lautorità giudiziaria in assenza di una rituale opposizione del segreto e di una successiva conferma»;
che, invero, con la direttiva citata, il Presidente del Consiglio ha effettivamente imposto ai funzionari del CESIS, del SISMI e del SISDE di opporre il segreto di Stato in relazione ad un «elenco di cose, atti, documenti e notizie» (allegate alla direttiva medesima), la cui divulgazione «appare in via di principio idonea ad arrecare pregiudizio» ai fondamentali interessi in relazione ai quali è finalizzato il segreto stesso; ma ha altresì specificato che «non sempre i documenti e le notizie contenute nellelenco allegato sono, di per sé, concretamente idonei, se divulgati, ad arrecare danno a quegli interessi»;
che lelenco allegato alla direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707, si fonda espressamente su di una valutazione meramente astratta della pericolosità dei documenti e delle notizie ivi indicate, demandando alla successiva fase della conferma, da parte del Presidente del Consiglio, la valutazione della sussistenza in concreto dei presupposti del segreto: in caso contrario in assenza, cioè, di una rituale opposizione del segreto e di una sua successiva conferma, come avvenuto, secondo il ricorrente, nel caso di specie la direttiva in esame risulta illegittima e gravemente lesiva delle attribuzioni costituzionali dellautorità giudiziaria;
che, quale ulteriore motivo di ricorso, i ricorrenti prospettano lillegittimità della nota del 26 luglio 2006, se con essa il Presidente del Consiglio ha inteso secretare ex post tutti i documenti e le notizie anche quelli già acquisiti dal pubblico ministero in assenza di qualsiasi eccezione concernente lesistenza del segreto di Stato relativi al sequestro di Abu Omar ed, in generale, alla pratica delle cosiddette renditions;
che la classificazione di una notizia come segreta deve necessariamente essere antecedente alla sua acquisizione da parte dellautorità giudiziaria, così come chiaramente si evince dalla normativa vigente e dai suoi lavori preparatori, pena, in caso contrario (e cioè in caso di preclusione a posteriori dellacquisizione delle fonti di prova), levenienza di un uso distorto del potere di secretazione; senza considerare che la nota in questione, opponendo una secretazione generica e fondata «su di una sottile ambiguità delle espressioni utilizzate», pare inerire non già ai singoli documenti richiesti dalla Procura di Milano al Ministro della difesa, quanto piuttosto alle tematiche oggetto di questi documenti;
che le note del Presidente del Consiglio dell11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006 risulterebbero, inoltre, gravemente lesive delle attribuzioni proprie dellautorità giudiziaria in quanto prive di motivazione: ogni atto relativo al segreto di Stato reca infatti secondo il rimettente la necessità della motivazione in relazione alla concretezza del pericolo, ad essa legandosi la legittimità del potere di secretazione;
che viene, inoltre, dedotta la violazione del principio di correttezza e lealtà, sotto il profilo della contraddittorietà del comportamento dellesecutivo, il quale dapprima avrebbe vietato allautorità giudiziaria lacquisizione di tutta una serie di informazioni relative ai rapporti tra il Servizio segreto italiano e quelli stranieri; poi, nel corso delle indagini, avrebbe costantemente rassicurato la medesima autorità giudiziaria circa linesistenza di un segreto di Stato sulla vicenda Abu Omar; infine, ad indagini concluse, avrebbe riaffermato lesistenza del segreto tanto sul sequestro, quanto sulle cosiddette extraordinary renditions, come del resto dimostrerebbe la nota stampa della Presidenza del Consiglio del 5 giugno 2007, che, sebbene documento privo di valore legale, denota appieno latteggiamento oscillante dellesecutivo nei confronti della autorità giudiziaria;
che una ulteriore censura a sostegno del conflitto viene dedotta con riferimento alla mancata comunicazione della nota dell11 novembre 2005 e della nota del 26 luglio 2006 al Comitato Parlamentare per i servizi di informazione e di sicurezza e per il segreto di Stato, da parte del Presidente del Consiglio;
che tale procedura, disciplinata espressamente dallart. 16 della legge n. 801 del 1977, vale a demandare al Comitato parlamentare la funzione di controllo di legittimità e di merito della secretazione apposta dal Presidente del Consiglio: con la conseguenza che la relativa omissione comporta una grave illegittimità delloperato del Presidente del Consiglio, che ha così eluso il controllo parlamentare;
che, infine, i ricorrenti deducono, in via subordinata, lillegittimità della secretazione in questione, perché apposta su fatti che, integrando ipotesi di fatti eversivi dellordine costituzionale, non potrebbero mai essere coperti dal segreto di Stato;
che tali fatti, nelle intenzioni del legislatore del 1977 e sulla scorta degli insegnamenti della Corte costituzionale, risultano essere non soltanto quelli che mettono in pericolo lassetto democratico-parlamentare dellordinamento, ma anche quelli che contrastano con i princìpi supremi sanciti dalla Costituzione e, quindi, innanzitutto, con la garanzia dei diritti inviolabili delluomo: e non par dubbio concludono i ricorrenti che il sequestro di persona in questione, al pari di ogni extraordinary rendition, comporti molteplici e gravi violazioni dei diritti umani e, in particolare, del diritto alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà dalla tortura e dai trattamenti crudeli, come stigmatizzato anche dalla risoluzione del Parlamento europeo del 14 febbraio 2007;
che, alla luce di tali censure, i ricorrenti concludono chiedendo, in via istruttoria, che sia ordinata al predetto Comitato parlamentare di controllo «la trasmissione delle eventuali comunicazioni del Presidente del Consiglio in merito alle note dell11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonché delle relative determinazioni adottate in sede di controllo»; ed al Presidente del Consiglio dei ministri «lesibizione di ogni altro atto, diverso da quelli impugnati, con cui il segreto in questione sarebbe stato apposto»;
che, nel merito, i ricorrenti chiedono che la Corte dichiari che non spetta al Presidente del Consiglio dei ministri «vietare allautorità giudiziaria lacquisizione e lutilizzazione di tutte le informazioni ed i documenti attinenti ad un elenco di materie e subordinare il pieno esercizio della funzione giurisdizionale in tali materie ad unespressa deroga del Presidente del Consiglio»; che non spetta, altresì, al suddetto organo «secretare notizie e documenti ex post, dopo che gli stessi siano stati legittimamente acquisiti dallautorità giudiziaria», né «secretare notizie e documenti senza indicarne le ragioni essenziali»; in via subordinata, chiedono che la Corte dichiari che non spetta al Presidente del Consiglio «disporre la secretazione di atti e notizie riguardanti le extraordinary renditions in quanto eversive dellordine costituzionale»; con conseguente annullamento «in parte qua» delle note dell11 novembre 2005 e del 26 luglio 2006, nonché della direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707.
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dellart. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine allammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;
che, sotto il profilo soggettivo, il giudice per le indagini preliminari, in funzione di giudice delludienza preliminare, è legittimato a sollevare conflitto, avuto riguardo alla giurisprudenza di questa Corte che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nellesercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono (da ultimo, in conflitto ex art. 68 Cost., sentenza n. 304 del 2007 e ordinanza n. 24 del 2006);
che, tuttavia, la legittimazione in concreto del giudice delludienza preliminare a sollevare conflitto in tanto sussiste in quanto latto impugnato sia suscettibile di incidere direttamente sul contenuto dei provvedimenti giurisdizionali che il giudice delludienza preliminare è chiamato ad emettere (decreto che dispone il giudizio di cui allart. 429 del codice di procedura penale o sentenza di non luogo a procedere di cui allart. 425 dello stesso codice) e quindi «sullesercizio dei poteri attinenti alla giurisdizione dello stesso giudice» (in conflitto ex art. 68 Cost., sentenza n. 294 del 2002);
che, nella specie, il conflitto è stato sollevato dopo lemissione del decreto che dispone il giudizio e la trasmissione dei relativi atti al giudice del dibattimento, sicché il giudice delludienza preliminare, non essendo più titolare in atto del potere giurisdizionale in ordine al giudizio medesimo, difetta della relativa legittimazione;
che le considerazioni dianzi svolte trovano conferma anche nella incerta enunciazione di quale sia lorgano confliggente, risultando il conflitto testualmente sollevato «nellinteresse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi»;
che, peraltro, la legittimazione attiva della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, quale articolazione ordinamentale dellufficio giudiziario di appartenenza, non è configurabile, non potendosi riconnettere allufficio, in quanto tale, alcuna funzione giurisdizionale propria e, dunque, alcuna lesione di attribuzioni costituzionalmente presidiate;
che analoghi rilievi valgono anche in riferimento alla posizione del Presidente (effettivo o, come nella specie, facente funzioni) di detta sezione, essendo incarico privo di attribuzioni giurisdizionali proprie;
che, pertanto, va dichiarata linammissibilità del ricorso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile, ai sensi dellart. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto, «nellinteresse della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, in persona del Presidente f.f., dott. Filippo Grisolia, e del G.I.P. assegnatario del procedimento n. 1966/05, dott.ssa Caterina Interlandi», con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 settembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2007.