ORDINANZA N. 227
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), promosso con ordinanza del 19 settembre 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna sul ricorso proposto da Ecchia Simonetta nei confronti dell’Agenzia delle entrate – Ufficio di Bologna 2, iscritta al n. 40 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2007 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da un agente di commercio nei confronti dell’Agenzia delle entrate – Ufficio di Bologna, avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’IRAP per gli anni dal 1998 al 2000, la Commissione tributaria provinciale di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 24 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali);
che, secondo quanto riferisce la Commissione, nel giudizio principale il ricorrente ha dedotto la mancanza del presupposto per l’assoggettabilità ad IRAP sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001, cioè per il difetto dell’elemento dell’organizzazione nel caso di svolgimento di attività professionale, e ha provato di aver svolto l’attività di agente di commercio in via esclusivamente personale, senza l’ausilio di collaboratori e dipendenti e con l’impiego di modesti beni strumentali; invece, l’Amministrazione ha sostenuto che presupposto di imposta è qualunque attività autonomamente organizzata e che il ricorrente, in quanto lavoratore autonomo, vi rientra per la natura stessa dell’attività svolta;
che la Commissione premette che la suddetta sentenza della Corte costituzionale è stata oggetto di interpretazioni favorevoli alla tesi del ricorrente e che la parte della pronuncia meno convincente è quella che esclude, nella motivazione, «le attività economiche non organizzate – circoscritte al solo ambito del lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni – dalla soggezione all’IRAP, secondo un accertamento delle condizioni e delle modalità organizzative dell’attività che dovrà necessariamente avvenire caso per caso»;
che, sempre secondo il rimettente, per un verso la Corte avrebbe dato prevalenza all’attività autonomamente organizzata (prevista nell’art. 2 censurato), trascurando le disposizioni successive dello stesso decreto legislativo, che individuano i soggetti passivi mediante categorie (imprese, società, imprese agricole, enti commerciali, enti non commerciali, enti pubblici, esercenti arti e professioni) mutuate dal sistema delle imposte sui redditi; per altro verso, il criterio impiegato dalla Corte avrebbe eccessivamente limitato la portata dell’organizzazione, dando rilievo alle sole ipotesi di etero-organizzazione e non di auto-organizzazione;
che conseguentemente, ad avviso del rimettente, se all’IRAP sono assoggettate le sole attività di organizzazione di fattori produttivi altrui, sarebbe arbitraria la limitazione dell’accertamento caso per caso ai soli artisti e professionisti e non anche agli imprenditori; inoltre, non si comprenderebbe perché, nel caso di attività imprenditoriale svolta nell’ambito delle attività previste dall’art. 2195 del codice civile, che prescinde dal requisito dell’organizzazione, non operi l’accertamento di tale requisito, alla stregua del criterio elaborato dalla stessa Corte costituzionale, potendo esservi un soggetto titolare del reddito d’impresa non dotato di organizzazione autonoma;
che, alla luce delle critiche suddette, la Commissione rimettente ritiene che l’art. 2 del decreto legislativo n. 446 del 1997 contrasta con l’art. 3 Cost., per assenza di coerenza interna: se la ratio dell’imposta è nella tassazione della capacità economica derivante dall’organizzazione, ove questa manchi non vi sono margini per l’applicazione del tributo, rimanendo altrimenti tradita la ragione giustificativa;
che, in considerazione delle disposizioni dello statuto dei diritti del contribuente, sussisterebbe la violazione dell’art. 23 Cost., il quale impone la chiarezza e la specificazione dell’imposizione tributaria;
che, inoltre, sarebbe leso l’art. 53 Cost., non risultando specificamente la capacità contributiva da assoggettare ad IRAP, dal momento che non sarebbe «enucleata legislativamente la nozione di valore aggiunto ipotizzata solo in via teorica e generica, ma non calata nella singola realtà di ogni fattispecie»;
che, infine, non sarebbe garantito il diritto di difesa del contribuente (art. 24 Cost.), perché questi non è in grado di conoscere quali siano gli obblighi propri e quale tipo di difesa possa svolgere di fronte ad un tributo mancante della doverosa specificazione;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione sollevata;
che, secondo l’Avvocatura, la questione sarebbe inammissibile in quanto riferita all’intero decreto legislativo e per carenza di motivazione in ordine alla rilevanza;
che, rispetto al secondo profilo di inammissibilità, la difesa erariale rileva che il rimettente, nel premettere che il rimborso è stato chiesto da un agente di commercio, sembra assumere che non sarebbe ragionevole assoggettare ad IRAP il titolare di un reddito di impresa a prescindere dall’accertamento circa l’esistenza dell’organizzazione di fattori produttivi altrui, ma non dice nulla sulla qualificazione del ricorrente come imprenditore, ovvero come esercente attività di lavoro autonomo;
che, infine, la questione sarebbe infondata rispetto a tutti i parametri evocati.
Considerato che sono molteplici le carenze dell’ordinanza di rimessione;
che, in primo luogo, dall’ordinanza di rimessione non risulta con chiarezza quali siano le disposizioni del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) oggetto della questione di costituzionalità; infatti, le censure prospettate dalla Commissione tributaria sembrano incentrarsi sull’organizzazione quale presupposto d’imposta, a norma dell’art. 2 del decreto legislativo n. 446 del 1997, mentre, nell’esporre le critiche alla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001, la Commissione rimettente fa generico riferimento ad altre disposizioni dello stesso decreto legislativo, e, infine, nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione non individua alcuna disposizione;
che, in secondo luogo, la fattispecie oggetto del giudizio principale – come descritta dal giudice a quo – e la censura che sembrerebbe rivolta alla suddetta sentenza n. 156 del 2001, sono in contraddizione fra loro; infatti, mentre nel processo principale si discute se rispetto all’agente di commercio, quale libero professionista, si sia o meno in presenza di un’autonoma organizzazione, la critica alla sentenza della Corte presuppone, invece, che il giudice rimettente debba giudicare un soggetto titolare di reddito d’impresa nell’ambito delle attività previste dall’art. 2195 del codice civile; inoltre, il giudice rimettente non si sofferma sulla qualificazione del ricorrente come imprenditore o come esercente attività di lavoro autonomo, con conseguente difetto di motivazione in ordine alla rilevanza (ordinanza n. 61 del 2007);
che, in terzo luogo, il rimettente non indica in quale direzione la norma censurata dovrebbe essere dichiarata incostituzionale; quindi, la domanda rivolta dal giudice rimettente a questa Corte non è precisa e determinata (ordinanza n. 123 del 2007);
che, in conclusione, la questione di costituzionalità sollevata va dichiarata manifestamente inammissibile, non risultando chiaramente né le disposizioni oggetto di censura, né la domanda avanzata, e mancando la motivazione in ordine alla qualificazione del ricorrente come imprenditore o come esercente attività di lavoro autonomo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 23, 24 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2007.