Ordinanza n. 123 del 2007

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ORDINANZA N. 123

 

ANNO 2007

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Franco               BILE                                                Presidente

 

- Giovanni Maria  FLICK                                               Giudice

 

- Francesco          AMIRANTE                                            ”

 

- Ugo                   DE SIERVO                                            ”

 

- Romano             VACCARELLA                                       ”

 

- Paolo                 MADDALENA                                        ”

 

- Alfio                 FINOCCHIARO                                      ”

 

- Alfonso             QUARANTA                                           ”

 

- Franco               GALLO                                                   ”

 

- Luigi                 MAZZELLA                                            ”

 

- Gaetano             SILVESTRI                                             ”

 

- Sabino               CASSESE                                               ”

 

- Giuseppe           TESAURO                                              ”

 

- Paolo Maria       NAPOLITANO                                        ”

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 708, comma 2, e 715, comma 6, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 3 febbraio 2006 dalla Corte d’appello di Catanzaro, iscritta al n. 258 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2006.

 

         Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

 

Ritenuto che con ordinanza del 3 febbraio 2006 la Corte d’appello di Catanzaro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 715, comma 6, e 708, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui collegano la maturazione dei termini perentori di durata delle misure privative della libertà personale, disposte provvisoriamente a carico dell’estradando, al mancato verificarsi di eventi «non conoscibili» dal giudice, se non per effetto di comunicazione da parte del Ministro della giustizia;

 

che la Corte rimettente è chiamata a deliberare circa l’eventuale revoca − ai sensi dell’art. 715, comma 6, cod. proc. pen. − della misura della custodia in carcere applicata il 7 dicembre 2005 dal presidente della stessa Corte, in sede di convalida dell’arresto operato dalla polizia giudiziaria, nei confronti di un cittadino croato colpito da mandato di cattura internazionale, emesso dall’autorità giudiziaria croata per il reato di omicidio volontario;

 

che il giudice a quo riferisce che in data 9 dicembre 2005, nel corso dell’audizione effettuata ai sensi dell’art. 717 cod. proc. pen., la persona arrestata ha prestato il proprio consenso all’estradizione e che il relativo verbale è stato trasmesso in pari data al Ministro della giustizia;

 

che, come riferisce la rimettente, in data 14 dicembre 2005 il Ministro della giustizia ha chiesto, ai sensi dell’art. 716, comma 4, cod. proc. pen., il mantenimento della misura cautelare disposta a carico del cittadino croato;

 

che, inoltre, il Ministero della giustizia, nonostante le numerose richieste inviategli dall’autorità giudiziaria procedente, non ha poi trasmesso ulteriori informazioni fino al 18 gennaio 2006, giorno in cui la stessa rimettente ha ricevuto, per conoscenza, una nota dalla quale risulta che in pari data lo stesso Ministero ha chiesto al Ministero degli affari esteri se le autorità croate avessero inoltrato la documentazione estradizionale, «nulla essendo pervenuto al Ministero della giustizia»;

 

che il giudice a quo segnala di avere nuovamente sollecitato il Ministero della giustizia, nei giorni 25 e 30 gennaio 2006, per sapere se fosse pervenuta la domanda di estradizione, comunicando inoltre che in data 23 gennaio 2006 era scaduto anche il termine di quarantacinque giorni, decorrente dalla ricezione del verbale recante il consenso del cittadino croato all’estradizione, entro il quale il Ministro della giustizia avrebbe dovuto valutare nel merito la domanda di estradizione, con conseguente sopravvenuta cessazione di efficacia della misura privativa della libertà;

 

che, secondo quanto riferisce la rimettente, soltanto in data 30 gennaio 2006 il Ministero della giustizia comunicava via fax che le autorità croate avevano provveduto ad inoltrare rituale domanda di estradizione nei confronti della persona sottoposta a misura cautelare, «senza peraltro precisare se i relativi atti fossero pervenuti entro il termine di quaranta giorni previsto dall’art. 16 della Convenzione europea di estradizione e dall’art. 715, ultimo comma, cod. proc. pen., né se il Ministro avesse deciso in merito alla estradizione entro il termine previsto dall’art. 708, comma 1, cod. proc. pen.»;

 

che, premessa l’applicabilità nella specie della Convenzione europea di estradizione, data a Parigi il 13 dicembre 1957 (resa esecutiva in Italia con la legge 30 gennaio 1963, n. 300), e in vigore nella Repubblica di Croazia dal 25 aprile 1995, la Corte d’appello di Catanzaro giudica prevalente la disposizione pattizia contenuta nell’art. 16, paragrafo 4, su quella codicistica dell’art. 715, comma 6, con riferimento all’individuazione del giorno dell’arresto quale dies a quo per la decorrenza del termine di durata della misura cautelare;

 

che il giudice a quo segnala come, nonostante la inequivocabile perentorietà del termine indicato, la giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato, affermi che, «poiché la Convenzione prevede la possibilità di superamento di detto termine mediante nuovo arresto qualora la domanda di estradizione pervenga successivamente, deve escludersi che la perenzione dell’arresto provvisorio imponga la scarcerazione dell’estradato, qualora pervenga comunque, sia pure in ritardo, la domanda formale di estradizione» (sentenza 11 maggio 1993, n. 1395);

 

che, peraltro, la Corte rimettente non condivide tale orientamento, in quanto esso vanificherebbe la previsione del termine perentorio e renderebbe la misura privativa della libertà personale suscettibile di durata illimitata, in attesa della richiesta dello Stato estero;

 

che, nel merito, il giudice a quo rileva come l’inutile decorrenza del termine indicato dall’art. 715, comma 6, cod. proc. pen., sia ancorata ad una circostanza – la ricezione, da parte del Ministero degli affari esteri o di quello della giustizia, della domanda di estradizione e dei documenti indicati nell’art. 700 cod. proc. pen. – che non è direttamente «conoscibile» dal giudice procedente, sicché, in difetto di tempestiva comunicazione da parte del Ministro della giustizia, accade, per un verso, che l’autorità giudiziaria sia impossibilitata a verificare l’avvenuta scadenza del termine e a revocare eventuali misure cautelari, e, per altro verso, che il termine stesso risulti procrastinabile a tempo indeterminato dal Ministro, con evidenti riflessi sulla privazione della libertà personale;

 

che la rimettente ribadisce come, nel caso di specie, il fax pervenuto dal Ministero della giustizia in data 30 gennaio 2006 non fornisca alcun dato circa il carattere tempestivo della ricezione della domanda di estradizione;

 

che, a parere del giudice a quo, a fronte del chiaro dettato normativo sarebbe del tutto arbitrario trarre conseguenze dal «mero silenzio» del Ministero della giustizia, posto che l’evento estintivo della misura non è collegato alla mancanza di tempestiva comunicazione della ricezione, quanto piuttosto al «fatto storico» della mancata ricezione della domanda di estradizione nel termine indicato;

 

che, pertanto, la Corte d’appello di Catanzaro prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 715, comma 6, cod. proc. pen., per l’irragionevolezza che connoterebbe la previsione di un termine perentorio senza contestuale assicurazione della possibilità di verifica giudiziale dell’evento cui detto termine è collegato, con la conseguenza che il giudice – in mancanza di comunicazione del Ministero della giustizia – «non è posto in grado di provvedere a norma del combinato disposto degli artt. 715 e 718 cod. proc. pen.» alla revoca della misura cautelare provvisoriamente disposta a fini estradizionali;

 

che, inoltre, la stessa norma è censurata anche con riferimento all’art. 13 Cost., in quanto, per effetto della «non conoscibilità» da parte del giudice dell’evento cui la legge collega il mantenimento o la perenzione della misura privativa della libertà personale, la durata di quest’ultima sarebbe determinata non dalla legge, ma dal Ministro, il quale «ritardando o omettendo di comunicare se la domanda di estradizione sia pervenuta, impedisce al giudice di provvedere a norma del combinato disposto degli artt. 715 e 718 cod. proc. pen.»;

 

che, a parere della rimettente, alle medesime censure si esporrebbe anche la previsione contenuta nell’art. 708, comma 2, cod. proc. pen.;

 

che il giudice a quo rileva come tale norma preveda, al comma 1, il termine di quarantacinque giorni entro il quale il Ministro della giustizia, nei casi di consenso dell’interessato, deve decidere in ordine all’estradizione, e faccia decorrere detto termine dal giorno della ricezione del verbale che documenta il consenso, e come la stessa norma, al comma 2, stabilisca che «scaduto tale termine senza che sia intervenuta la decisione del ministro, la persona della quale è stata richiesta l’estradizione, se detenuta, è posta in libertà»;

 

che, premesso il carattere perentorio del termine fissato nell’art. 708, comma 2, cod. proc. pen. (Cass., sentenza 21 dicembre 1990, n. 6225), la rimettente precisa che, nel caso di specie, detto termine sarebbe scaduto in data 23 gennaio 2006, emergendo da ciò la rilevanza della questione ai fini della decisione in ordine alla scarcerazione dell’estradando;

 

che, inoltre, anche nell’art. 708, comma 2, cod. proc. pen. «la decorrenza finale del termine è rimessa ad una attività che non è conoscibile dal giudice, con la conseguenza che, in difetto di una comunicazione da parte del Ministro, da un lato è impossibile […] verificarne la scadenza e dall’altro lato è procrastinabile a tempo indeterminato dall’organo politico, con evidenti riflessi sulla durata della custodia cautelare dell’estradando»;

 

che la Corte rimettente ribadisce l’assunto secondo cui il silenzio del Ministro non potrebbe essere valorizzato ai fini della decisione, in quanto la norma censurata collega l’effetto estintivo della misura restrittiva alla mancanza della deliberazione, e non a quella della relativa comunicazione all’autorità giudiziaria procedente;

 

che, pertanto, la disposizione in esame, al pari di quella contenuta nell’art. 715, comma 6, cod. proc. pen., sarebbe viziata per l’irragionevolezza della previsione di un termine perentorio la cui scadenza non è verificabile dal giudice senza l’intervento dell’organo politico, sicché la durata della misura cautelare resterebbe priva di limiti temporali o, comunque, sarebbe rimessa alla discrezionalità del Ministro della giustizia;

 

che, infine, il giudice a quo evidenzia come, atteso il tenore delle disposizioni censurate, sarebbe preclusa «ogni interpretazione alternativa che consenta di superare i delineati profili di illegittimità costituzionale» e, per altro verso, come non possano trovare applicazione, nel giudizio principale, i diversi termini di durata delle misure coercitive stabiliti dall’art. 714 cod. proc. pen., «non essendovi la ulteriore procedura giurisdizionale finalizzata alla sentenza di cui all’art. 705 c.p.p.».

 

Considerato che la Corte d’appello di Catanzaro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 715, comma 6, e 708, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui tali norme collegano la maturazione dei termini perentori di durata delle misure privative della libertà personale, disposte provvisoriamente a carico dell’estradando, al mancato verificarsi di eventi «non conoscibili» dal giudice, se non per effetto di comunicazione da parte del Ministro della giustizia;

 

che gli artt. 715, comma 6, e 708, comma 2, cod. proc. pen. fanno dipendere il decorso dei termini perentori in essi previsti: il primo, dall’arrivo al Ministero degli affari esteri o a quello della giustizia della domanda di estradizione; il secondo, dalla ricezione, da parte del Ministro della giustizia, del verbale che dà atto del consenso all’estradizione della persona interessata;

 

che la ritardata od omessa comunicazione da parte del Ministero della giustizia alla Corte di appello competente costituisce – alla stregua della esposizione narrativa del rimettente − una inadempienza del suddetto Ministero, che determina un, seppur grave, inconveniente di fatto;

 

che tale inconveniente di fatto rilevato dal giudice rimettente non è certamente ricollegabile ai termini perentori previsti dalle norme censurate, da ritenersi indispensabili e da applicarsi con il massimo rigore, poiché si versa in materia di restrizioni della libertà personale;

 

che il rimettente, peraltro, non definisce il tipo di intervento richiesto a questa Corte, limitandosi a prospettare una presunta contraddizione tra la perentorietà dei termini previsti dalle norme censurate e l’asserita impossibilità di verifica, da parte dell’autorità giudiziaria competente, del fatto storico da cui dipende la decorrenza dei termini stessi;

 

che, pertanto, il petitum delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente non è precisato né è deducibile dall’atto introduttivo del presente giudizio, giacché non emerge dall’ordinanza di rimessione quale intervento additivo, a parere del giudice a quo, dovrebbe essere effettuato da questa Corte per eliminare gli inconvenienti denunciati;

 

che, in linea astratta, i rimedi potrebbero essere molteplici, derivanti o da una diversa interpretazione delle disposizioni in oggetto o da interventi del legislatore sulle procedure previste dalla legge in tema di libertà personale dell’estradando;

 

che, di conseguenza, manca una soluzione costituzionalmente obbligata del dubbio prospettato dal giudice rimettente.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 708, comma 2, e 715, comma 6, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dalla Corte di appello di Catanzaro, con l’ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2007.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Gaetano SILVESTRI, Redattore

 

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2007.