ORDINANZA N. 62
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 438 e 442, comma 1-bis, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 13 ottobre 2004 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Sassari nel procedimento penale a carico di F. G. F., iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con l’ordinanza in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Sassari ha sollevato, in riferimento all’art. 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 438 e 442, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui non escludono che il difensore possa depositare il fascicolo delle indagini difensive, «di cui all’art. 391 cod. proc. pen.» (recte: art. 391-octies, comma 3, cod. proc. pen.), e chiedere «contestualmente il giudizio abbreviato»; o, in alternativa, nella parte in cui non consentono al giudice «di dichiarare inutilizzabili gli atti contenuti nel fascicolo del difensore nel caso sia domandato il giudizio abbreviato»; oppure, infine, nella parte in cui non consentono al pubblico ministero, nel caso considerato, di chiedere l’ammissione di prova contraria;
che il giudice a quo – investito della richiesta di rinvio a giudizio di persona imputata dei reati di maltrattamenti in famiglia, minaccia, favoreggiamento e truffa – riferisce, in punto di fatto, che il difensore aveva depositato il fascicolo delle investigazioni difensive (contenente una «deposizione testimoniale e documentazione concernente la causa»), formulando contestualmente richiesta di giudizio abbreviato, non subordinata ad una integrazione probatoria;
che, aderendo all’eccezione formulata dal pubblico ministero, il rimettente – sul presupposto che gli atti di investigazione difensiva entrino a far parte del materiale utilizzabile dal giudice ai fini della decisione da assumere all’esito del giudizio abbreviato – dubita della compatibilità delle disposizioni censurate con l’art. 111 Cost., in particolare sotto il profilo del rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova, di cui al quarto comma del citato articolo;
che, alla stregua di tale norma costituzionale, infatti, il contraddittorio nella formazione della prova costituisce modalità «ordinaria» di svolgimento del processo, cui può derogarsi – in forza del successivo quinto comma del medesimo art. 111 Cost. – in via eccezionale e solo nelle ipotesi previste dalla legge, per consenso dell’imputato;
che la prevista deroga al principio del contraddittorio in caso di consenso dell’imputato, e non (anche) del pubblico ministero, si giustificherebbe nell’ottica del favor rei, rispondendo essenzialmente a ragioni di riequilibrio delle posizioni processuali delle parti a fronte della «sperequazione dei mezzi investigativi» di cui le parti stesse dispongono;
che, con particolare riguardo alla disciplina del giudizio abbreviato, l’evidenziata ratio della deroga risulterebbe rispettata, tuttavia, solo nei casi in cui il «materiale probatorio» venga «integralmente fornito dal pubblico ministero»;
che, in tale ipotesi, l’imputato è infatti libero di valutare, secondo la propria strategia processuale, se sia conveniente chiedere il rito alternativo, consentendo al giudice di porre a base della sua decisione il materiale probatorio formato dalla parte pubblica; o accedere invece al giudizio ordinario, nel corso del quale le prove unilateralmente raccolte dal pubblico ministero potranno essere confutate attraverso il contraddittorio;
che ben diversa sarebbe, tuttavia, la situazione allorché – come nella specie – gli atti di indagine presentati al giudice dell’udienza preliminare provengano dallo stesso imputato, essendo il frutto delle investigazioni difensive disciplinate dagli artt. 391-bis e seguenti del codice di rito;
che, in simile situazione, infatti, la «posizione di vantaggio», riconosciuta all’imputato, risulterebbe ampliata oltre il limite della ragionevolezza, giacché all’imputato medesimo verrebbe accordata la facoltà di «consentire alla deroga al contraddittorio sulle prove da lui stesso prodotte sostituendosi nella manifestazione di volontà addirittura al pubblico ministero»;
che l’«anomalia» di siffatto regime apparirebbe ancor più evidente ove si consideri che l’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. consente all’imputato di formulare richiesta di giudizio abbreviato subordinata all’ammissione di una prova, necessaria ai fini della decisione: richiesta che, tuttavia, è sottoposta ad un vaglio di ammissibilità da parte del giudice, al quale è condizionata la stessa possibilità di accesso al rito;
che il difensore – proprio per evitare una decisione di segno negativo - potrebbe essere quindi indotto a presentare il fascicolo delle indagini difensive (contenente, ad esempio, una testimonianza) e a formulare contestualmente richiesta di giudizio abbreviato, non condizionato: conseguendo così, ad un tempo, «la trasformazione automatica del rito» e l’altrettanto automatica acquisizione come prova della testimonianza in parola, senza che il pubblico ministero possa in alcun modo interloquire;
che non varrebbe difatti evocare, al riguardo, la facoltà, accordata all’organo dell’accusa dall’art. 438, comma 5, cod. proc. pen., di chiedere l’ammissione di prova contraria: e ciò in quanto tale facoltà è limitata al solo caso di richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria;
che neppure gioverebbe opporre che il pubblico ministero può comunque sollecitare il giudice alla citazione del teste esaminato dal difensore nelle indagini difensive: giacché, da un lato, il giudice potrebbe non provvedere nel senso richiesto; e, dall’altro lato, anche qualora la sollecitazione fosse accolta, potrebbe comunque permanere un contrasto tra ciò che ha riferito il teste al difensore e quanto da lui dichiarato davanti al giudice nel corso del giudizio abbreviato, rimanendo «entrambi gli atti […] vere e proprie prove»;
che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, perché basata su un erroneo presupposto interpretativo;
che, infatti, secondo l’Avvocatura, il disposto dell’art. 442, comma 1-bis, cod. proc. pen. – nel far riferimento unicamente agli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416, comma 2, alla documentazione di cui all’art. 419, comma 3, e alle prove assunte nell’udienza – non consentirebbe di ritenere utilizzabili ai fini della decisione, nel giudizio abbreviato, gli atti di investigazione difensiva.
Considerato che il giudice a quo – sul presupposto che gli atti di investigazione difensiva entrino a far parte, al pari di quelli del pubblico ministero, del materiale utilizzabile dal giudice ai fini della decisione da assumere all’esito del giudizio abbreviato – dubita, in riferimento all’art. 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 438 e 442, comma 1-bis, del codice di procedura penale;
che, secondo il rimettente, l’inclusione degli atti di indagine difensiva fra il materiale probatorio utilizzabile dal giudice si porrebbe in contrasto – nell’ipotesi in cui la richiesta di giudizio abbreviato risulti contestuale al deposito del fascicolo del difensore, e non subordinata ad una integrazione probatoria – con il principio del contraddittorio nella formazione della prova: e ciò per l’impossibilità di ricondurre la disciplina censurata alla previsione derogatoria di cui all’art. 111, quinto comma, Cost. – concernente i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato – essendo tale consenso riferibile solo al materiale di indagine proveniente dal pubblico ministero;
che, tuttavia, onde porre rimedio alla denunciata incostituzionalità, il rimettente prospetta tre diverse soluzioni in rapporto di alternatività irrisolta, invocando una pronuncia che vieti al difensore di depositare il fascicolo delle investigazioni difensive e chiedere contestualmente il giudizio abbreviato; ovvero che consenta al giudice, nel caso di richiesta del rito alternativo, di dichiarare inutilizzabili gli atti contenuti nel fascicolo del difensore; ovvero, ancora, che permetta al pubblico ministero, nell’ipotesi considerata, di chiedere l’ammissione della prova contraria;
che, pertanto – in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte – la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto prospettata in forma ancipite (ex plurimis, ordinanze n. 363 del 2005, n. 192 del 2004, n. 299 e n. 128 del 2003).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 438 e 442, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 111 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Sassari con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2007.