Ordinanza n. 299 del 2003

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ORDINANZA N. 299

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

-Valerio ONIDA

-Carlo MEZZANOTTE

-Fernanda CONTRI

-Guido NEPPI MODONA

-Piero Alberto CAPOTOSTI

-Annibale MARINI

-Franco BILE

-Giovanni Maria FLICK

-Ugo DE SIERVO       

-Romano VACCARELLA

-Paolo MADDALENA

-Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 32, comma 2, e 32-bis, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, nel testo introdotto con la legge 6 marzo 2001, n. 60 (Disposizioni in materia di difesa d’ufficio), promosso con ordinanza del 21 gennaio 2002 dal Tribunale di Milano sul ricorso proposto da Ciancia Giuseppe nel procedimento penale contro Kondo Erion, iscritta al n. 564 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 2 luglio 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 21 gennaio 2002 e pervenuta alla Corte l’11 dicembre 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale “degli artt. 32, comma 2, e/o 32-bis” delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, nel testo introdotto dagli artt. 17 e 18 della legge 6 marzo 2001, n. 60 (Disposizioni in materia di difesa d’ufficio), per violazione dell’art. 3 della Costituzione;

che il giudice a quo è investito del ricorso di un difensore nominato d’ufficio avverso il provvedimento di rigetto della sua istanza di liquidazione del compenso, presentata ai sensi dell’art. 32-bis disp. att. cod. proc. pen. e dell’art. 12 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti);

che il rimettente rileva che il ricorrente aveva prestato la propria opera di difensore d’ufficio a favore di un imputato residente all’estero, il quale, pur non essendo stato dichiarato irreperibile, risulta essere tale di fatto, tanto che il decreto di citazione a giudizio, l’avviso del deposito e l’estratto della sentenza erano stati notificati a mani del difensore, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen.;

che secondo il giudice a quo il testo dell’art. 32-bis disp. att. cod. proc. pen. non consente una interpretazione diversa da quella censurata, dal momento che l’irreperibilità dell’imputato deve essere intesa in senso tecnico e presuppone le ricerche e la pronuncia del decreto previsti dall’art. 159 cod. proc. pen.;

che, come osserva ancora il rimettente, non sarebbe possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni censurate, dal momento che l’art. 1, comma 5, della legge n. 217 del 1990 contiene una previsione più ampia in materia di difesa dei minorenni;

che, sempre secondo il Tribunale di Milano, l’emissione di un decreto di irreperibilità ai soli fini di consentire la liquidazione dei compensi al difensore a carico dello Stato costituirebbe una “procedura anomala”, essendo detto provvedimento previsto esclusivamente in relazione ad alcuni specifici atti del processo penale;

che, come si dice nell’ordinanza di rimessione, il difensore d’ufficio, pur essendo tenuto a prestare il patrocinio a favore del suo assistito, non può nel caso di specie recuperare il proprio credito professionale, né ai sensi dell’art. 32-bis, né in applicazione dell’art. 32, comma 2, disp. att. cod. proc. pen., e 633 cod. proc. civ., posto che l’assistito, residente all’estero, si è dichiarato privo di fissa dimora e nei suoi confronti non possono essere esperite le procedure previste per il recupero dei crediti professionali;

che, per tutti questi motivi, il giudice a quo ritiene che la formulazione delle norme impugnate impedisca al professionista di esercitare il diritto alla retribuzione delle prestazioni effettuate, pur trovandosi in una situazione sostanzialmente identica a quella di chi ha prestata la sua opera a favore di imputato dichiarato irreperibile all’esito delle previste ricerche, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile o infondata;

che con una successiva memoria l’Avvocatura ha osservato che la questione, come prospettata dal rimettente, è priva di rilevanza nel giudizio a quo, essendo nel frattempo intervenuta l’abrogazione, ad opera dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), dell’ultimo comma dell’art. 633 del codice di procedura civile, con la conseguente utilizzabilità del decreto ingiuntivo anche nei casi in cui la notifica debba essere fatta fuori dal territorio italiano;

che la difesa erariale ha quindi chiesto alla Corte di voler restituire gli atti al Tribunale di Milano per una nuova valutazione della rilevanza della questione nel giudizio a quo,  alla luce del nuovo quadro normativo.

Considerato che il Tribunale di Milano dubita della legittimità costituzionale “degli artt. 32, comma 2, e/o 32-bis” delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, nel testo introdotto dagli artt. 17 e 18 della legge 6 marzo 2001, n. 60 (Disposizioni in materia di difesa d’ufficio), per violazione dell’art. 3 della Costituzione, poiché creano una disparità di trattamento, quanto al recupero del credito per le prestazioni professionali, tra i difensori d’ufficio di imputati dichiarati irreperibili e quelli di imputati irreperibili solo di fatto, ma tali non dichiarati;

che occorre preliminarmente osservare che le due disposizioni impugnate sono state espressamente abrogate, dopo la pronuncia dell’ordinanza di rimessione, dall’art. 299 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo  unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), essendo peraltro state sostanzialmente riprodotte nel testo degli artt. 116 e 117 del citato testo unico, sui quali la questione va quindi trasferita;

che, come risulta dalla stessa ordinanza di rimessione, le censure svolte dal giudice a quo sono prospettate in modo congiunto ovvero alternativo (“e/o”) su due norme di legge che regolano casi fra loro diversi, quello della liquidazione del compenso al difensore d’ufficio che deve dimostrare di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero del suo credito professionale, e quello della liquidazione al difensore, sempre d’ufficio, della persona irreperibile;

che dal tenore dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità costituzionale non é dato desumere a quale fra le due disposizioni alternativamente indicate il giudice rimettente attribuisca carattere prioritario;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto prospettata in modo ancipite (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 78 e n. 418 del 2000, ordinanza n. 420 del 2001, ordinanza n. 88 del 2002).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 32, comma 2, e 32-bis, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, nel testo introdotto dalla legge 6 marzo 2001, n. 60 (Disposizioni in materia di difesa d’ufficio), ora sostituiti dagli artt. 116 e 117 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo  unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 settembre 2003.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2003.