ORDINANZA N. 45
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 148, comma 16, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo modificato dall’art. 3, comma 4, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, promosso con ordinanza del 10 novembre 2005 (pervenuta alla Corte costituzionale il 15 luglio 2006) dal Giudice di pace di Amandola, nel procedimento civile vertente tra Soletti Nazzareno e la Prefettura di Ascoli Piceno, iscritta al n. 316 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di Amandola ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 1, 3, 4 e 35 della Costituzione – dell’articolo 148, comma 16, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo modificato dall’art. 3, comma 4, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214;
che il giudice a quo – nel premettere, in fatto, di essere stato adito da un ricorrente che «svolge attività lavorativa di agente di commercio» (nulla, pertanto, precisando sulla natura e l’oggetto del giudizio pendente innanzi ad esso) – deduce l’illegittimità costituzionale della suddetta disposizione, nella parte in cui prevede, per l’infrazione contemplata dal medesimo art. 148 del codice della strada, la sanzione accessoria della sospensione della patente, senza però stabilire «limitazioni, riduzioni della sanzione, o altre cautele, nei casi in cui il trasgressore svolge attività lavorativa, consistente nella guida di autoveicolo»;
che la norma censurata violerebbe, in ragione di tale omessa previsione, innanzitutto gli articoli 1, 3 e 4 della Costituzione, secondo i quali la Repubblica «è fondata sul lavoro, promuove le condizioni che lo rendono effettivo e lo tutela», attribuendogli, inoltre, «rango primario rispetto ad altri valori od interessi»;
che essa, inoltre, contrasterebbe, sempre secondo il rimettente, con l’art. 35 della Carta fondamentale, «che dispone l’eguaglianza tra i cittadini», giacché parifica al «caso del normale utente della strada» che per effetto della sospensione della patente subisce «soltanto un disagio», quello del soggetto per il quale «la sospensione della patente costituisce preclusione dell’attività lavorativa con conseguenti effetti sconvolgenti l’economia propria e familiare»;
che, su tali basi, e non senza osservare che il giudizio devoluto al suo esame «non può essere definito» indipendentemente dalla soluzione di tale questione, il rimettente chiede la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo, in via pregiudiziale, l’inammissibilità della questione, «perché l’ordinanza omette completamente di illustrare i fatti della vicenda processuale e non consente di operare nessuna valutazione sulla rilevanza del prospettato incidente di costituzionalità», e richiamando, sul punto, numerose decisioni di questa Corte, ed in particolare l’ordinanza n. 396 del 2005, relativa alla medesima norma oggi censurata;
che, nel merito, la difesa erariale esclude la violazione del principio di eguaglianza, atteso che il predetto art. 148, comma 16, del codice della strada «prevede un identico trattamento sanzionatorio per identiche trasgressioni ed in presenza di eguali situazioni di recidiva»;
che, per contro, tale principio – osserva l’Avvocatura generale dello Stato – sarebbe invece violato proprio accogliendo la tesi del giudice a quo, e cioè «introducendo sanzioni differenziate per le stesse violazioni» in base a considerazioni di carattere puramente soggettivo, «inerenti alle condizioni personali del trasgressore ed alla natura dell’attività da lui esercitata»;
che, infine, tale differenziazione non è neppure «imposta da esigenze di tutela del lavoro, a favore di soggetti che conducono automezzi nell’esercizio della propria attività», atteso che la norma censurata – conclude la difesa erariale – risulta «finalizzata a salvaguardare i beni della vita, della sicurezza e dell’incolumità pubblica, e tende quindi a tutelare diritti e valori che per la loro assolutezza non possono essere sacrificati in nome di concorrenti esigenze personali del trasgressore».
Considerato che il Giudice di pace di Amandola ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 1, 3, 4 e 35 della Costituzione – dell’articolo 148, comma 16, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo modificato dall’art. 3, comma 4, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214;
che – indipendentemente dalla constatazione che questa Corte, in relazione all’applicazione della misura della sospensione della patente, seppure con riferimento alla materia della sicurezza pubblica, ha già avuto modo di affermare che né l’art. 3, secondo comma, né l’art. 4, né l’art. 35 Cost. escludono che il legislatore possa, per l’esercizio di determinate attività, imporre modalità e limiti a tutela di interessi ed esigenze di evidente rilievo costituzionale – deve rilevarsi come l’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo comporti la manifesta inammissibilità della questione sollevata dal rimettente;
che, difatti, quando risulti «carente la descrizione della fattispecie oggetto dei giudizi a quibus», e dunque allorché «dalle ordinanze di rimessione non si comprende con chiarezza quale sia l’oggetto di tali giudizi e, in particolare, in cosa si identifichi la pretesa sostanziale dei ricorrenti» (evenienze che sussistono, entrambe, nel caso in esame), da ciò deriva «l’impossibilità di vagliare l’effettiva applicabilità della norma censurata ai casi dedotti», e con essa la manifesta inammissibilità delle relative questioni di legittimità costituzionale (così, e con specifico riferimento ad un incidente di costituzionalità avente ad oggetto proprio la norma oggi censurata, l’ordinanza n. 396 del 2005);
che alla stregua di tali rilievi va, dunque, dichiarata la manifesta inammissibilità della questione sollevata dal Giudice di pace di Amandola.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 148, comma 16, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo modificato dall’art. 3, comma 4, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, sollevata – in riferimento agli articoli 1, 3, 4 e 35 della Costituzione – dal Giudice di pace di Amandola, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 2007.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2007.