ORDINANZA N. 5
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 82 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), e 330 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 10 ottobre 2005 dalla Corte d’appello di Torino, nel procedimento civile vertente tra Rubiolo Luisa e Beccaria Renato ed altri, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 novembre 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che, con ordinanza del 10 ottobre 2005, la Corte d’appello di Torino, investita di un giudizio di appello proposto da Rubiolo Luisa contro Beccarla Renato e Amparone Antonella, appellati non costituiti, premesso che il giudizio di primo grado era stato instaurato da questi ultimi e il Tribunale di Pinerolo aveva accolto la loro domanda di eliminazione del collegamento di uno scarico con la rete fognaria, ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 82 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), e 330 del codice di procedura civile, nella parte in cui prevedono che l’atto di citazione in appello sia validamente notificato al procuratore costituito di controparte presso la cancelleria del giudice di primo grado, ove quel procuratore, esercente fuori della circoscrizione di quel Tribunale, non abbia eletto domicilio nella sede di causa, per violazione degli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione;
che il giudice rimettente riferisce che avverso la sentenza di primo grado Rubiolo Luisa aveva proposto appello con atto notificato a mani del cancelliere presso il Tribunale di Pinerolo ex art. 58 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, in quanto il procuratore domiciliatario di controparte non aveva eletto domicilio nel circondario del Tribunale di Pinerolo;
che alla prima udienza della causa d’appello le parti appellate non si erano costituite e che la Corte d’appello di Torino aveva fissato udienza di precisazione delle conclusioni in ordine alla validità della notifica dell’atto di citazione, onde decidere in ordine all’eventuale contumacia;
che la parte appellante aveva fatto legittima applicazione del combinato disposto dell’art. 330, comma 1, seconda parte, del codice di procedura civile (che indica il luogo di notifica della citazione di appello a controparte con riferimento al suo procuratore costituito e al domicilio eletto in primo grado) e dell’art. 82 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37;
che il giudice a quo ritiene di dover sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme citate, giacché dalla loro applicazione, secondo il diritto vivente, discenderebbe la dichiarazione di contumacia delle parti appellate e sarebbe sacrificato il reale contraddittorio d’appello;
che, secondo il giudice a quo, nel caso ipotetico che potesse disporsi un ordine di rinnovazione della notificazione (che pure è formalmente valida) solo per la probabilità che essa non abbia di fatto raggiunto il destinatario, si violerebbe l’art. 111 della Costituzione, dandosi luogo all’emanazione di un’ordinanza nulla (perché la notificazione era valida), nullità che si rifletterebbe anche sul provvedimento con il quale dovesse essere sanzionata la mancata ottemperanza all’ordine di rinnovazione;
che le norme censurate sarebbero poi in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, perché, se la filosofia dell’art. 82 impugnato è quella di esonerare la parte dai maggiori oneri connessi all’esecuzione di una notifica fuori del circondario e, più in generale, di stabilire un ordine territoriale tra l’ufficio giudiziario ed il procuratore che esercita il suo ministero davanti ad esso, per favorire l’efficienza e la funzionalità del rito, l’interesse della parte notificante andrebbe coordinato con quello della parte notificata;
che la tutela del facile esercizio del diritto d’azione (e d’impugnazione) dovrebbe pur sempre contemperarsi con la salvaguardia dell’altrettanto garantito e rilevante diritto di difesa di chi subisce l’impugnazione;
che, in concreto, il lieve peso o la scomodità di una notifica fuori circondario dovrebbero ragionevolmente commisurarsi con il rischio di una rinuncia al fondamentale obiettivo che il diritto di difesa possa esprimersi in maniera effettiva in tutte le fasi e i gradi del giudizio;
che la domiciliazione di cui sopra – secondo il rimettente - non risulterebbe giustificata o ragionevole neanche se intesa come «sanzione» all’inosservanza di un legittimo precetto rivolto all’avvocato dall’art. 82 impugnato, dal momento che tale sanzione sembrerebbe eccessiva nei suoi probabili esiti pratici di ignoranza della esistenza di un’impugnazione e soprattutto irragionevolmente punitiva nei confronti non del legale, ma direttamente della parte;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria, nella quale ha sostenuto l’inammissibilità della questione, per non essere stata l’ordinanza di rimessione notificata alla parte appellata nel giudizio a quo, e, comunque, la sua infondatezza, attesa la ragionevolezza della previsione ispirata ad un’esigenza di celerità e facilità delle comunicazioni e notificazioni.
Considerato che la Corte d’appello di Torino dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 82 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1993, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), e dell’art. 330 del codice di procedura civile, nella parte in cui prevedono che l’atto di citazione in appello sia validamente notificato al procuratore costituito di controparte presso la cancelleria del giudice di primo grado, ove quel procuratore, esercente fuori della circoscrizione di quel Tribunale, non abbia eletto domicilio nella sede di causa;
che, ad avviso del Collegio rimettente, sarebbero violati: l’articolo 3 della Costituzione, per l’irragionevolezza della domiciliazione presso la cancelleria, anche se intesa come «sanzione» all’inosservanza di un legittimo precetto rivolto al procuratore dall’art. 82 impugnato, perché tale sanzione sarebbe eccessiva nei suoi probabili esiti pratici di ignoranza dell’esistenza di un’impugnazione e soprattutto irragionevolmente punitiva nei confronti non del legale, ma direttamente della parte, alla quale un’eventuale azione risarcitoria nei confronti del difensore potrebbe non offrire adeguato ristoro; l’articolo 24 della Costituzione, perché la tutela del facile esercizio del diritto d’azione e d’impugnazione dovrebbe pur sempre contemperarsi con la salvaguardia dell’altrettanto garantito e rilevante diritto di difesa di chi subisce l’impugnazione, dal momento che il lieve peso di una notifica fuori circondario dovrebbe ragionevolmente commisurarsi con il rischio che il diritto di difesa non possa esercitarsi in appello; l’articolo 111 della Costituzione, per l’illegittimità di un’eventuale ordinanza di rinnovazione della notificazione;
che non sussiste l’inammissibilità denunciata dalla difesa erariale dal momento che l’ordinanza di remissione è stata notificata a tutte le parti in causa, compresa quella non costituita;
che la prescrizione dell’onere di indicazione della residenza o dell’elezione di domicilio nel Comune sede del giudice adito, con i sacrifici che ad essa si correlano, esprime una scelta ragionevole e quindi non lesiva del diritto di azione, in quanto funzionale a un più immediato ed agevole espletamento delle formalità della notificazione (si veda l’ordinanza n. 231 del 2002, con riferimento alla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689); mentre tale mancata elezione di domicilio non impedisce nè rende particolarmente gravoso il diritto di difesa, in quanto il difensore ben può con l’ordinaria diligenza informarsi presso il cancelliere, ritirare l’atto e provvedere così alla sua difesa, in quanto detta forma di notificazione, fra l’altro, consegue al mancato adempimento dell’onere imposto al difensore dalle norme impugnate e quindi è a lui imputabile (si veda l’ordinanza n. 62 del 1985, con riferimento alla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 480, terzo comma, del codice di procedura civile nella parte in cui dispone che, ove il precetto non contenga la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio della parte istante, le notificazioni si eseguono presso la cancelleria del giudice stesso ed il cancelliere non è tenuto a darne notizia alla parte interessata);
che l’art. 111 della Costituzione è inammissibilmente invocato in quanto la sua violazione deriverebbe non già dalle norme censurate, ma dall’eventuale emanazione di una ordinanza di rinnovazione della notificazione disposta solo per la probabilità che la prima notificazione, pur valida, non abbia di fatto raggiunto il destinatario;
che la lesione dei parametri costituzionali evocati non sussiste poiché l’operatività della domiciliazione nella cancelleria deriva da una scelta volontaria del difensore, il quale, pur essendo consapevole di esercitare fuori dal circondario in cui è iscritto, ha omesso l’elezione di domicilio;
che, contrariamente all’assunto del rimettente, la parte ha sempre il diritto di chiedere al proprio difensore il risarcimento integrale dei danni patiti, in ragione dell’agire non diligente di quest’ultimo, che non sia venuto a conoscenza del processo di appello e che non abbia conseguentemente apprestato una difesa;
che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 82 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del R.D.L. 27 novembre 1993, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore) e dell’art. 330 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte di appello di Torino, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 2007.
Franco BILE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2007.