ORDINANZA N.231
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori Giudici:
- Massimo VARI, Presidente
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, secondo e quarto comma [rectius dell'art. 23, quarto e quinto comma], della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con ordinanze emesse il 5 aprile, l'8, il 22, il 29 marzo 2001 (n. 2 ordinanze), e il 19 aprile 2001 (n. 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Locri, rispettivamente iscritte ai numeri da 475 a 479, 563 e 564 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 25 e 32, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 marzo 2002 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto che con l’ordinanza iscritta al n. 475 r.o. del 2001, il Giudice di pace di Locri ha prospettato - in riferimento agli articoli 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, secondo e quarto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui – nei procedimenti di opposizione all’ordinanza di irrogazione di sanzioni amministrative - non prescriverebbero che "le notificazioni all’opponente" vengano effettuate presso la sua residenza anagrafica;
che la questione é stata sollevata nel corso di un giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, introdotto da Giovanni Zappavigna nei confronti del Comune di Portigliola, avverso un verbale di contestazione elevato dai vigili urbani dello stesso Comune - per una pretesa violazione dell’articolo 142 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), accertata tramite misuratore di velocità - e notificato all’opponente solo successivamente, nell’asserita impossibilità di procedere alla contestazione immediata all’atto dell’accertamento;
che l’opponente si é avvalso della facoltà di stare in giudizio personalmente, a norma dell’art. 23, quarto comma, della legge n. 689 del 1981 ed ha dedotto l’illegittimità del verbale, in difetto dei presupposti per la contestazione successiva e comunque di una valida motivazione circa l’impossibilità di procedere alla contestazione immediata;
che, secondo il rimettente, a seguito del deposito del ricorso in cancelleria, l’udienza di comparizione sarebbe stata fissata al 29 marzo 2001 e <<la notificazione avveniva nelle forme della consegna nell’ufficio di Cancelleria del Giudice adito>> e, <<per conseguenza, il ricorrente non compariva alla prima udienza fissata>>;
che il rimettente in detta udienza si é riservato di decidere e successivamente, sciogliendo la riserva, ha pronunciato l’ordinanza di rimessione, nella quale - richiamata l’ordinanza di questa Corte n. 42 del 1988 e ricordato che essa esaminò la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, terzo comma [rectius quarto], della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui allora poneva l’obbligo dell’opponente che avesse proposto l’opposizione personalmente di eleggere domicilio nel Comune ove aveva sede il pretore - sollecita il riesame della questione, sul rilievo che l’odierna estrema mobilità del cittadino non dovrebbe <<essere cadenzata dall’obbligo di reperire, per ogni dove, il proprio domicilio eletto>> e che l’opponente a sanzione amministrativa con residenza anagrafica nel comune sede dell’ufficio avanti al quale l’opposizione dev’essere proposta <<non avrebbe verun problema, nè economico, nè motorio, non solo per difendersi personalmente, ma anche per vedersi recapitato, a casa propria, ogni atto del procedimento che si celebra dinanzi…>> al giudice adito;
che, ad avviso del rimettente, precludere la notificazione degli atti del giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione presso la residenza dell’opponente contrasterebbe con l’art. 3 della Costituzione, ledendo il principio di eguaglianza; con l’art. 24 della Costituzione <<nella parte in cui non riconosce al cittadino la libera facoltà di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, essendo la difesa inviolabile sempre e dovunque>>; e infine <<con tutto lo spirito etico e morale della carta costituzionale secondo il quale sul destino del cittadino non possono nè devono pesare fatti ed atti da esso non voluti: siano essi la nascita, il suo sito ed il suo nome>>;
che inoltre il rimettente - rammentato che, secondo l’orientamento della Corte di cassazione, il ricorso in opposizione all’ordinanza-ingiunzione deve essere materialmente consegnato al personale dell’ufficio giudiziario e non può essere inviato per posta o con altre forme di trasmissione, come ad esempio il fax, e che <<nel ricorso l’opponente, ove non abbia in loco un suo procuratore …… é obbligato a dichiarare od eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, e a presentarsi alla prima udienza, per evitare la convalida del provvedimento opposto …… a differenza dell’ordinario rito civilistico per quanto riguarda la cancellazione della causa dal ruolo (art. 181 c.p.c.)>> - afferma che questo quadro normativo non garantirebbe <<a chi intende opporsi alla sanzione, che non sia assistito da un legale, la concreta possibilità di difendersi, tenuto conto dei gravami procedurali che vengono a trovarsi sull’iter processuale del ricorrente, in tema, peraltro, di modesta offensività, ed in particolare impone <<di adire il giudice del luogo in cui é stata commessa la presunta violazione, anzichè quello di residenza del ricorrente>>;
che, con le ordinanze di rimessione iscritte ai nn. 476, 477, 478, 479, 563 e 564, lo stesso rimettente - in giudizi di opposizione a sanzione amministrativa promossi nei confronti del Comune di Sant’Ilario dello Jonio, avverso verbali di contestazione non immediatamente notificati, per violazioni dell’art. 142 del d.lgs. n. 285 del 1992 - ha sostanzialmente proposto la stessa questione;
che, in particolare, l’ordinanza n. 564 ha una motivazione assolutamente identica alla n. 475, mentre le altre mancano della parte nella quale questa ordinanza dà atto che a seguito della presentazione del ricorso era stata fissata udienza di comparizione, che la notificazione era avvenuta in cancelleria e che l’opponente non era comparso, nonchè della parte di motivazione successiva all’enunciazione del preteso contrasto con <<tutto lo spirito etico e morale della carta costituzionale>>, di cui sopra si é detto, ed inoltre invocano solo i parametri di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
che é intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memorie, nella quale ha sostenuto che le sollevate questioni sarebbero inammissibili e comunque manifestamente infondate.
Considerato che i giudizi promossi dalle ordinanze in epigrafe, proponendo sostanzialmente la stessa questione, devono essere riuniti;
che dal coordinamento fra la motivazione delle ordinanze di rimessione ed il tenore del loro dispositivo, che impugna espressamente il disposto degli articoli 22, terzo comma, e 23 quarto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) <<nella parte in cui non prescrive, al comma secondo del medesimo art. 23, la notifica all’opponente presso la sua residenza anagrafica>>, si evince che la lamentata lesione della Costituzione é ravvisata dal rimettente esclusivamente nella circostanza che l’opponente, il quale proponga l’opposizione a sanzione amministrativa con esercizio della facoltà di difesa personale e senza fare dichiarazione di residenza o elezione di domicilio nel comune ove ha sede il giudice adito, debba ricevere tutte le notificazioni presso la cancelleria del giudice adito;
che, invece, dall’esame coordinato della motivazione e del dispositivo, emerge che nessuna questione il rimettente propone in ordine alla regola di competenza territoriale per cui le opposizioni a sanzione amministrativa si propongono al giudice del luogo della commessa violazione, ed in particolare ai correlativi effetti sul diritto di azione, anche in relazione agli oneri di partecipazione personale dell’opponente alle udienze;
che, peraltro, la norma alla quale si correla l’unica questione proposta non é contenuta nei commi dell’art. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, evocati dal rimettente, ma si ricava dal combinato disposto dell’art. 22, quarto e quinto comma, onde la questione va evidentemente riferita a questi due commi, così correggendosi la palese erroneità dell’indicazione normativa, in cui é incorsa l’ordinanza;
che inesattamente il rimettente assume che la questione così proposta comporterebbe il riesame di quella considerata da questa Corte con l’ordinanza n. 42 del 1988, la quale, invece, concerneva la mancata previsione di una dichiarazione di residenza o elezione di domicilio della parte opponente in un Comune sito nel circondario del giudice adito (allora il pretore), piuttosto che nel Comune sede di quel giudice;
che, a differenza di tale questione (peraltro riesaminata dalla Corte anche con la successiva sentenza n. 431 del 1992, di cui il rimettente non tiene conto), la questione ora prospettata concerne la mancata previsione del diritto della parte opponente, che si difenda personalmente, di ricevere le notificazioni nella sua residenza anagrafica, si trovi essa o meno nell’ambito territoriale della giurisdizione del giudice adito;
che, così come prospettata, la questione é manifestamente infondata;
che le ordinanze non contengono alcuna specificazione circa le ragioni della non manifesta infondatezza della questione quanto ai parametri costituzionali dell’art. 3 e dell’art. 111, secondo comma, Cost., i quali risultano invocati del tutto apoditticamente;
che in ordine all’unico parametro costituzionale riguardo al quale é specificata una motivazione di non manifesta infondatezza (cioé l’art. 24 Cost., con riferimento alla garanzia del diritto di agire in giudizio) la lesione di esso risulta esclusa dalla stessa prospettazione del rimettente, secondo cui l’opponente che agisca personalmente incontrerebbe difficoltà ad esercitare il proprio diritto di azione, perchè costretto a dichiarare la residenza o a eleggere domicilio nella giurisdizione del giudice adito, senza poter ricevere le notificazioni nella propria residenza anagrafica;
che l’incongruità di tale prospettazione é resa palese dal rilievo che l’onere di indicare la residenza o di eleggere domicilio deve essere inquadrato in un sistema che impone all’opponente di proporre l’opposizione a sanzione amministrativa (e, quindi, di svolgere il momento iniziale del suo diritto di azione) avanti al giudice del luogo in cui é stata commessa la violazione, con assoluta indifferenza rispetto al luogo della sua residenza ed in particolare all’eventualità che egli risieda al di fuori del Comune sede del giudice adito;
che infatti - una volta esclusa la contrarietà a Costituzione di questa regola di competenza territoriale, nonostante gli oneri di partecipazione allo svolgimento processuale connessi alla presentazione in udienza - la prescrizione dell’onere di indicazione della residenza o dell’elezione di domicilio nel Comune sede del giudice adito, con i sacrifici che ad essa si correlano, non solo esprime una scelta discrezionale del legislatore (non diversamente da quanto questa Corte ha già rilevato nella sentenza n. 431 del 1992), ma risulta ragionevole e non lesiva del diritto di azione, in quanto funzionale a un più immediato ed agevole espletamento delle formalità della notificazione (che, con norma di favore per l’esercizio del diritto di azione, sono poste a carico dell’ufficio, come emerge dall’art. 23, nono comma, della legge n. 689 del 1981);
che, pertanto, la questione sollevata dalle ordinanze in epigrafe, nei termini in cui é stata proposta, deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, terzo comma, e 23, secondo e quarto comma [rectius dell’art. 23, quarto e quinto comma], della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata dal Giudice di pace di Locri, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione con tutte le ordinanze in epigrafe ed anche in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, con le sole ordinanze iscritte ai nn. 475 e 564 r.o. del 2001.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2002.
Massimo VARI, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2002.