ORDINANZA N. 276 ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), promosso con ordinanze del 22 agosto 2005 dal Magistrato di sorveglianza di Avellino, del 22 novembre 2005 dal Magistrato di sorveglianza di Palermo, del 15 dicembre 2005 dal Magistrato di sorveglianza di Bari e del 20 dicembre 2005 dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari, rispettivamente iscritte al n. 531 del registro ordinanze 2005 e ai nn. 24, 34 e 36 del registro ordinanze 2006, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2005 e nn. 6, 7 e 8 prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che, con ordinanza del 22 agosto 2005, il Tribunale di sorveglianza di Avellino (reg. ord. n. 531 del 2005) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui non prevede, tra le cause ostative all’applicazione del beneficio, la revoca di una misura alternativa;
che il rimettente riferisce che con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Napoli il condannato veniva ammesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare, revocata, in seguito, ex art. 51-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) con ordinanza dello stesso Tribunale di sorveglianza;
che, successivamente, il medesimo condannato ha chiesto di essere ammesso al beneficio della sospensione condizionata della pena ex lege n. 207 del 2003, invocando a sostegno della richiesta la recente sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2005, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003, che precludeva l’accesso al beneficio per coloro i quali erano stati ammessi alla misura alternativa;
che, a seguito della richiamata sentenza della Corte costituzionale, anche i soggetti che, dopo essere stati ammessi ad una misura alternativa, si sono resi destinatari di un provvedimento di revoca ex art. 51-ter della legge n. 354 del 1975 per violazioni di prescrizioni, dimostrandosi immeritevoli della concessione della misura, per di più in concreto, e non sulla base di una semplice prognosi negativa, possono ottenere il beneficio della sospensione condizionata della pena (c.d. indultino) in quanto nessuna disposizione contempla la revoca di una misura alternativa quale causa d’inammissibilità del beneficio;
che la mancata previsione nell’art. 1 della legge n. 207 del 2003 della revoca della misura alternativa tra le cause di inammissibilità, legittimando i soggetti destinatari di un provvedimento ex art. 51-ter della legge n. 354 del 1975 a poter fruire di un regime eventualmente addirittura più favorevole di quello che è stato loro revocato, appare in contrasto sia con il principio rieducativo della pena di cui all’art. 27 della Costituzione, sia con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per l’ingiustificata disparità di trattamento che si determina rispetto a coloro che non hanno commesso violazioni;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata;
che, secondo la difesa erariale, il c.d. indultino ha la finalità di ovviare al sovraffollamento carcerario (che rappresenta un grave ostacolo alla funzione rieducativa), senza però dimenticare il fine del recupero sociale del condannato, dal momento che quest’ultimo vede sostituito un trattamento penale scarsamente significativo (detenzione non superiore a due anni) con un altro trattamento di durata assai più lunga (cinque anni) che ha la funzione di stimolo all’astenersi dall’infrangere ulteriormente la normativa penale;
che, ai sensi della sentenza n. 278 del 2005, rientra nella discrezionalità del legislatore modulare in vario modo i benefici da concedere ai condannati, con l’unico limite della non manifesta irragionevolezza, con la conseguente insussistenza della violazione dell’art. 3 della Costituzione, perché a coloro che non si sono visti revocare una misura alternativa alla detenzione non viene riservato un trattamento deteriore rispetto a quelli attinti da una siffatta revoca e l’ammissione di questi ultimi all’indultino è servente agli scopi di deflazione carceraria (che, a sua volta, si propone lo scopo di permettere la funzione rieducativa della pena);
che, quanto all’art. 27 della Costituzione, l’indultino è istituto servente alla funzione di recupero sociale del condannato, né ha senso il dubbio che ammettere al beneficio tanto i destinatari di revoca di misura alternativa alla detenzione, quanto coloro che non siano stati raggiunti da un simile provvedimento, sia pregiudizievole alla funzione rieducativa della pena, posto che il beneficio si consegue per tutti allorché vi sia l’esito positivo di un esperimento di vita, che fa presumere concretamente raggiunti obiettivi di recupero sociale;
che, con ordinanza del 22 novembre 2005, il Tribunale di sorveglianza di Palermo (reg. ord. n. 24 del 2006) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui non prevede l’esclusione del beneficio della sospensione condizionata della pena nei confronti dei soggetti cui è stata revocata una misura alternativa, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 27 della Costituzione;
che, a seguito della sentenza n. 278 del 2005 della Corte costituzionale, è ammissibile il beneficio della sospensione condizionata della pena anche nei confronti di soggetti cui la misura alternativa è stata revocata;
che la concessione di tale beneficio ad un soggetto che si è mostrato "immeritevole" di una misura alternativa (magari di contenuto analogo, come nel caso dell’affidamento in prova al servizio sociale), rispetto al quale l’intervenuta revoca può costituire un indice di accresciuta pericolosità sociale, appare fonte di irragionevole disparità di trattamento in casi simili (si pensi alla disciplina di cui all’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975), causa di possibili gravi pregiudizi ai beni della collettività, esposti al ritorno in libertà di un soggetto in ipotesi più pericoloso, e soprattutto manifestamente contraria al principio rieducativo, cui la pena e la esecuzione della stessa, nelle sue varie forme, deve necessariamente tendere;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle già riferite;
che, con ordinanza del 15 dicembre 2005, il Magistrato di sorveglianza di Bari (reg. ord. n. 34 del 2006) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui non prevede l’esclusione del beneficio della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena nei confronti dei soggetti cui è stata colpevolmente revocata una misura alternativa, per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione;
che, secondo il rimettente, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, l’art. 1 della legge n. 207 del 2003, nell’elencare una serie di requisiti per l’accesso alla sospensione condizionata da parte del condannato che ne avanzi istanza, obbliga il giudice, accertata la sussistenza dei medesimi, ad applicare al condannato, in via automatica, il beneficio richiesto, senza poter effettuare una preventiva valutazione di meritevolezza e di idoneità dell’istante in rapporto al peculiare programma trattamentale extramurario da osservare durante l’esecuzione della misura richiesta; mentre gli articoli 2 e 4 della stessa legge delineano una disciplina secondo cui il condannato, dopo essere stato ammesso al beneficio, deve dimostrare di saper e voler osservare le prescrizioni e gli obblighi contenuti nel programma trattamentale a lui personalizzato;
che dal quadro normativo testé tratteggiato emerge in modo palese che, mentre la concessione della misura costituisce per il magistrato di sorveglianza un atto cd. dovuto – in presenza dei presupposti tassativamente previsti dalla legge –, la fase esecutiva è peculiarmente strutturata come mezzo di recupero sociale del condannato, nel senso che la legge prevede un autentico programma trattamentale e demanda al Tribunale ed al magistrato di sorveglianza di seguirne lo sviluppo e di verificarne l’osservanza da parte della persona beneficiata, monitorandone la condotta e la conformità della stessa alle prescrizioni ed ai divieti stabiliti;
che si tratta di una particolare misura trattamentale volta a creare – per il condannato – un percorso serio ed occasioni reali nella direzione del recupero, dell’allontanamento da mentalità criminose e da circuiti delinquenziali, del reinserimento e dell’integrazione sociale; percorso costantemente verificato dai servizi sociali, dall’autorità di polizia e dalla magistratura di sorveglianza e interrotto nel caso in cui si accerti che il condannato abbia posto in essere condotte inidonee o colpevoli e, cioè, abbia serbato un comportamento sintomatico dell’impraticabilità del trattamento extramurario proprio dell’indultino;
che, alla luce di tali rilievi, il rimettente dubita che la disciplina normativa di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 207 del 2003 sia conforme agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, per la palese contraddittorietà tra la disposizione dell’art. 1, relativa ai requisiti per l’accesso alla misura, e la disciplina positiva degli artt. 2 e 4, relativa all’esecuzione della stessa, perché non si riscontra alcuna coerenza razionale tra i presupposti tassativamente previsti per l’accesso ed i successivi sviluppi della misura;
che tale incoerenza emerge soprattutto nell’ipotesi in cui il condannato, già ammesso ad una delle misure alternative alla detenzione, revocata ex art. 51-ter della legge n. 354 del 1975 per condotta colpevole, chieda di lì a poco l’applicazione della sospensione condizionata in parola; mentre, in tale evenienza, sarebbe stato coerente prevedere nella legge n. 207 del 2003 il divieto per il condannato, che abbia già dato prova negativa dell’impraticabilità del trattamento extramurario, di accedere al cd. indultino;
che, in secondo luogo, la norma censurata appare in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, dal momento che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2005, è ora possibile concedere il c.d. indultino anche a chi usufruisca di misura alternativa alla detenzione in corso;
che, tuttavia, il condannato – in caso di revoca della misura alternativa per condotta colpevole ai sensi dell’art. 51-ter della legge n. 354 del 1975 – deve espiare in regime detentivo la pena residua relativa al titolo in esecuzione e non può accedere nuovamente ad altra misura alternativa nei successivi tre anni in virtù del chiaro disposto ostativo dell’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975; per converso, il medesimo condannato, benché sia stato attinto da provvedimento di revoca di misura alternativa alla detenzione per condotta colpevole, potrebbe accedere al più ampio e favorevole beneficio trattamentale extramurario introdotto dalla legge n. 207 del 2003, perché questa non prevede alcun divieto di concedere la sospensione condizionata nell’ipotesi testé indicata;
che, secondo il giudice a quo, dunque, nel corpus della legge n. 207 del 2003 si rinviene un palese profilo di irragionevolezza, là dove non si è previsto il divieto per il condannato, che ha già dato prova di impraticabilità del trattamento extramurario in virtù della revoca ex art. 51-ter della legge n. 354 del 1975, per condotta colpevole della misura alternativa applicatagli, e che pertanto non può accedere per i successivi tre anni alle misure alternative alla detenzione ai sensi dell’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975, di conseguire la sospensione condizionata ex legge n. 207 del 2003, che è certamente una misura trattamentale extramuraria “meno severa e gravosa”, nonché “ben più ampia, blanda e favorevole” di ogni altra misura alternativa alla detenzione;
che, infine, l’art. 1 della legge n. 207 del 2003 non sarebbe conforme al principio di cui all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, perché, non prevedendo alcun divieto di accesso alla sospensione condizionata per chi sia stato ammesso ad una misura alternativa alla detenzione revocata per condotta colpevole, legittimerebbe la concessione di un beneficio trattamentale extramurario (il c.d. indultino) a chi abbia già dato ampia dimostrazione di non voler intraprendere e portare a termine un programma finalizzato al recupero ed al reinserimento sociale;
che, quanto alla rilevanza della questione, osserva il rimettente che il condannato è stato ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 della legge n. 354 del 1975 in relazione alla pena di anni uno e mesi uno di reclusione (con fine pena in data 2 marzo 2006), e tale misura alternativa gli è stata revocata per condotta colpevole ai sensi dell’art. 51-ter della legge n. 354 del 1975 dal Tribunale di sorveglianza di Bari; che il medesimo condannato ha chiesto la concessione della sospensione condizionata ai sensi della legge n. 207 del 2003 per i reati di furto, che non sono ostativi ai sensi. dell’art. 1 della stessa legge, e che il condannato è in possesso di tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente per l’accesso alla sospensione condizionata ai sensi della legge n. 207 del 2003;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata;
che, secondo la difesa erariale, la questione sarebbe inammissibile perché il giorno di fine pena è il 2 marzo 2006, e, pertanto, sulla domanda del condannato non vi è altro provvedimento da assumere che il non luogo a provvedere;
che, inoltre, non è dimostrata la rilevanza della questione nel procedimento a quo, poiché è solo affermato che il condannato è in possesso di tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente per l’accesso alla sospensione condizionata ai sensi della legge n. 207 del 2003;
che la questione sarebbe inoltre infondata, perché, come risulta dalla relazione al progetto di legge sull’indultino, lo stesso ha la finalità di ovviare al sovraffollamento carcerario (che rappresenta un grave ostacolo alla funzione rieducativa) senza però dimenticare il fine del recupero sociale del condannato, dal momento che quest’ultimo vede sostituito un trattamento penale scarsamente significativo (detenzione non superiore a due anni) con un altro trattamento di durata assai più lunga (cinque anni), che ha la funzione di stimolo all’astenersi dall’infrangere ulteriormente la normativa penale;
che non vi sarebbe alcuna incoerenza logica nel fatto che l’ammissione al beneficio sia atto dovuto e che vi sia sorveglianza circa il rispetto delle prescrizioni imposte al condannato, in quanto, da un lato, si è voluto estendere al massimo l’ammissibilità del beneficio e, dall’altro, si sono volute salvaguardare le esigenze di tutela della collettività e di recupero sociale del condannato;
che, poiché le misure alternative alla detenzione e il c.d. indultino sono misure differenti, non rileva che colui che si sia visto revocare una misura alternativa possa poi essere ammesso all’indultino;
che, peraltro, anche colui che abbia subìto la revoca della misura alternativa alla detenzione ha dovuto fare domanda per accedere all’indultino, così manifestando la propria disponibilità ad intraprendere un percorso extramurario di recupero;
che, con ordinanza del 20 dicembre 2005, il Tribunale di sorveglianza di Cagliari (reg. ord. n. 36 del 2006) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge n. 207 del 1° agosto 2003, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede tra le cause ostative all’applicazione del beneficio la revoca di una misura alternativa;
che, osserva il rimettente, nel procedimento sull’istanza di sospensione condizionata dell’esecuzione della pena introdotto dalla legge n. 207 del 2003, sussistono tutti i requisiti di legittimità previsti dall’art. 1 della legge n. 207 del 2003, in quanto la sospensione della pena era stata rifiutata al richiedente dal magistrato di sorveglianza sulla base dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003, dichiarato illegittimo dalla sentenza n. 278 del 2005 della Corte costituzionale;
che, secondo il giudice a quo, ove si consentisse l’accesso alla misura invocata da parte del detenuto che sia incorso nella revoca colpevole di una precedente misura alternativa, si determinerebbe, per un verso, una vanificazione della funzione rieducativa e di prevenzione speciale propria della sanzione penale (art. 27, terzo comma, della Costituzione), attraverso una chiara incentivazione alla violazione delle prescrizioni della misura alternativa; e, per altro verso, un’evidente disparità di trattamento rispetto a situazioni che, pur essendo simili, riceverebbero una diversa disciplina giuridica (art. 3);
che, da un lato, infatti, è chiaro che, se il condannato in misura alternativa fosse consapevole della possibilità di accedere alla sospensione condizionata, egli avrebbe una forte spinta alla violazione delle prescrizioni della misura alternativa, nella certezza che in ogni caso verrebbe certamente ammesso all’altro beneficio, dal momento che la revoca della misura alternativa alla detenzione non impedirebbe l’accesso ad un beneficio sostanzialmente identico all’affidamento;
che tale irragionevolezza della disciplina sarebbe accentuata, sotto il profilo della disparità di trattamento, dalla circostanza che, mentre nel caso di revoca di misura alternativa per “fatto colpevole” è temporaneamente precluso l’accesso ad un’altra misura in virtù della disciplina dettata dall’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975, viceversa, nel caso esaminato non è prevista alcuna forma di limitazione, nonostante la già rilevata identità sostanziale tra sospensione condizionata e affidamento in prova;
che, quanto alla rilevanza, osserva il giudice a quo che la sanzione di incostituzionalità che dovesse colpire l’art. 1 della legge n. 207 del 2003 renderebbe inapplicabile al condannato il beneficio previsto dall’art. 1 della stessa legge;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata, oltre che alla stregua delle argomentazioni già svolte negli altri giudizi, anche perché la disposizione impugnata non attribuisce al condannato alcun incentivo alla trasgressione della misura alternativa, non avendo il condannato alcun interesse a tornare in carcere, mentre, una volta ammesso all’indultino, o se ne mostrerà meritevole oppure perderà il relativo beneficio.
Considerato che il Tribunale di sorveglianza di Avellino dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui non prevede come causa ostativa al beneficio della sospensione condizionale della pena la revoca di una misura alternativa, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti che si sono dimostrati meritevoli di una misura alternativa e ne hanno osservato correttamente le prescrizioni e coloro che hanno subìto la revoca della misura; nonché per violazione dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, per contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena;
che il Tribunale di sorveglianza di Palermo dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui non prevede, come causa ostativa al beneficio della sospensione condizionata della pena, la revoca di una misura alternativa, per violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, per l’irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti che hanno subìto la revoca di una misura alternativa alla detenzione e usufruiscono di questo beneficio e quelli che parimenti hanno subìto la revoca di una misura alternativa, che non possono, ex art. 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), essere assegnati al lavoro esterno, usufruire di permessi premio, della detenzione domiciliare o della semilibertà o essere affidati in prova ai servizi sociali, nonché per violazione dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, per violazione del principio della funzione rieducativi della pena;
che il Magistrato di sorveglianza di Bari dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui non prevede che la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena non debba essere concessa a chi ha già beneficiato di una misura alternativa alla detenzione revocata – per condotta colpevole – ai sensi dell’art. 51-ter della legge n. 354 del 1975, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevole contrasto tra la fase della concessione del beneficio – durante la quale la concessione della misura costituisce un atto dovuto in presenza dei presupposti tassativamente previsti dalla legge – e la fase esecutiva – che è strutturata come mezzo di recupero sociale del condannato, nel senso che la legge prevede un autentico programma trattamentale e demanda al magistrato di sorveglianza di seguirne lo sviluppo e di verificarne l’osservanza da parte della persona beneficiata; nonché, sempre per irragionevolezza, là dove non sia previsto il divieto per il condannato – che abbia già dato prova di impraticabilità della misura alternativa applicatagli – di conseguire la sospensione condizionata ex legge n. 207 del 2003, che è certamente una misura più favorevole di ogni altra misura alternativa alla detenzione; e, inoltre, per violazione dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, perché la pena non avrebbe alcuna funzione rieducativa, in quanto il beneficio è concesso anche a chi abbia già dato ampia dimostrazione di non voler intraprendere e portare a termine un programma all’esterno finalizzato al recupero ed al reinserimento sociale;
che il Tribunale di sorveglianza di Cagliari dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui non prevede l’esclusione del beneficio della sospensione condizionata della pena nei confronti dei soggetti cui è stata revocata una misura alternativa, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento, dal momento che mentre, nel caso di revoca di misura alternativa per “fatto colpevole”, è temporaneamente precluso l’accesso ad un’altra misura in virtù della disciplina dettata dall’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975, nel caso della norma impugnata non è prevista alcuna forma di limitazione; nonché per violazione dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione, perché si determinerebbe, per un verso, una vanificazione della funzione rieducativa e di prevenzione speciale propria della sanzione penale, attraverso una chiara incentivazione alla violazione delle prescrizioni della misura alternativa, in quanto il condannato in misura alternativa, consapevole della possibilità di accedere alla sospensione condizionata, avrebbe una forte spinta alla violazione delle prescrizioni della misura alternativa, nella certezza che in ogni caso verrebbe certamente ammesso all’altro beneficio;
che le ordinanze di rimessione sollevano questioni di legittimità costituzionale della stessa disposizione di legge con motivazioni che sono in parte identiche ed in parte analoghe, sicché i relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con unico provvedimento;
che, successivamente alla proposizione delle varie questioni, questa Corte, con sentenza n. 255 del 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva al condannato sulla base di un giudizio di non meritevolezza del beneficio, per il fatto che l’automatismo che si rinviene nella norma denunciata è sicuramente in contrasto con i principi di proporzionalità e individualizzazione della pena;
che, pertanto, va ordinata la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, al fine di una nuova valutazione della rilevanza delle questioni proposte, alla luce della predetta sopravvenuta sentenza di questa Corte n. 255 del 2006 (negli stessi termini, v., ex plurimis, ordinanze numeri 346, 229, 206 del 2005).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti ai giudici a quibus.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2006.