ORDINANZA N. 262
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), promosso con ordinanza del 14 marzo 2005 dal Giudice di pace di Gragnano, nel procedimento civile vertente tra Antonio Inserra e la s.p.a. G.O.R.I., iscritta al n. 507 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti l’atto di costituzione della s.p.a. G.O.R.I., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2006 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza e Ferdinando Pinto per la s.p.a. G.O.R.I. e l’Avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio civile, il Giudice di pace di Gragnano – con ordinanza del 14 marzo 2005 – ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 41 [recte: 53] e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nella parte in cui prevede, nella formulazione originaria, che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi;che il rimettente, premesso che oggetto del giudizio principale è la domanda proposta da Antonio Inserra nei confronti della s.p.a. G.O.R.I. affinché sia accertata e dichiarata «non dovuta la quota riferita alla depurazione di acque reflue», osserva che, in forza dell’art. 24 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128), il canone di depurazione «ha perso la propria natura tributaria e rappresenta il parziale corrispettivo di una prestazione complessa correlata all’approvvigionamento idrico, civilisticamente ricollegabile alla disciplina del contratto di somministrazione regolato dall’art. 1559 c.c.»;che, ad avviso del rimettente, «il rapporto sinallagmatico prevede necessariamente la corrispettività delle prestazioni ed in mancanza, il contratto, ai sensi dell’art. 1463 c.c., è nullo per impossibilità originaria o sopravvenuta dell’oggetto e, quindi, il somministrato ha diritto alla ripetizione di quanto già corrisposto oltre al risarcimento del danno»;che il giudice a quo aggiunge che «il soggetto che non è in grado di eseguire la prestazione dovuta non può richiedere la controprestazione (nel caso di specie invio fattura per la fornitura del servizio) e deve restituire quella che ha ricevuto» e che «il canone di depurazione presuppone, in forza del vincolo sinallagmatico […], l’effettiva fruizione del servizio»;che il rimettente riferisce che la società convenuta «non contesta l’assenza di qualsivoglia impianto di depurazione anche se […] sostiene […] che l’esistenza della condotta fognaria e di una griglia di intercettazione costituirebbe di per sé un impianto di depurazione» e resiste in giudizio fondando le proprie ragioni sull’art. 14, comma 1, della legge n. 36 del 1994, in quanto da tale norma deriverebbe l’inderogabilità dell’obbligazione di pagamento del canone, «indipendentemente dalla sussistenza o meno di un servizio corrispettivo, proprio in virtù della natura pubblicistica»;che il giudice a quo precisa che, secondo tale disposizione, «la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. I relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato e sono destinati esclusivamente alla realizzazione ed alla gestione delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione»;che, in punto di non manifesta infondatezza della questione, lo stesso rimettente afferma che «il tenore dell’art. 14 legge n. 36/1994 (Legge Galli), peraltro non modificato in maniera rilevante ai fini che qui interessano dall’art. 28 legge 31 luglio 2003 [recte: 2002] n. 179, appare […] indubbiamente sospetto ai fini della legittimità costituzionale» ed aggiunge che «la natura di tributo nel periodo interessato e la lettera della norma in questione non consentirebbe ai cittadini in alcun modo di sottrarsi ad esso»;che il citato art. 14, comma 1, violerebbe, pertanto: a) l’art. 2 Cost., perché deteriorerebbe «le garanzie giuridiche immanenti nell’art. 2 Cost., visto che soppianta le irrinunciabili virtù connesse al proprio stato di cittadino e quindi, di soggetto di diritto, in favore del suddito vessato dai poteri autoritari, in quanto subordinato, come nel caso di specie, ad una imposizione iniqua, intesa ad attingere indebitamente risorse», senza la corrispondente fruizione del servizio di depurazione, e perché non fisserebbe un limite di tempo «oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio», determinando «la perpetua esposizione della persona, non più definibile “soggetto di diritto”, ad un indebito prelievo, la cui cessazione è sostanzialmente rimessa alla mera discrezionalità dell’ente impositore»; b) l’art. 3 Cost., perché determinerebbe «una discriminazione dei cittadini che versano il tributo senza usufruire del servizio di depurazione ed inquinando, loro malgrado, l’ambiente rispetto a coloro che versano il tributo e si giovano invece del servizio»; c) l’art. 32 Cost., perché incoraggerebbe «il lassismo degli enti locali a spese della salute dei cittadini e delle future generazioni danneggiate dall’inquinamento che ne scaturisce»; d) l’art. 41 [recte: 53] Cost., perché «la pubblica amministrazione non può pretendere alcuna prestazione impositiva senza alcun collegamento con la capacità di contribuzione di cui all’art. 53 Cost.»; e) l’art. 97 Cost., perché consentirebbe alla pubblica amministrazione «d’imporre ai cittadini una sorta di tassa sine titulo la cui finalizzazione ad una futura esecuzione degli impianti appare generica ed astratta»;che, in punto di rilevanza, il rimettente si limita ad osservare che «il giudizio non può essere deciso indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità, che costituisce una vera e propria questione risolutiva nel merito»;che si è costituita la s.p.a. G.O.R.I., eccependo preliminarmente la manifesta inammissibilità della questione, «in quanto diretta a sindacare una scelta discrezionale del legislatore», il quale – prevedendo che il canone sia dovuto anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, e che i relativi proventi affluiscano in un fondo a disposizione dei gestori del servizio idrico integrato la cui utilizzazione è vincolata all’attuazione del piano d’ambito – avrebbe legittimamente scisso la prestazione del pagamento del canone dalla controprestazione dell’erogazione del servizio di depurazione, collocandole in due diversi momenti;che, nel merito, la società G.O.R.I. chiede che la questione sia dichiarata manifestamente infondata: a) in riferimento all’art. 2 Cost., perché l’obbligo del pagamento del canone di depurazione delle acque reflue si inquadra tra i doveri del cittadino verso la comunità, fissati dallo stesso art. 2 Cost., senza che in contrario rilevi la circostanza che il Comune non abbia preventivamente fissato un termine per lo svolgimento dei lavori di realizzazione dell’impianto di depurazione; b) in riferimento all’art. 3 Cost., perché la norma censurata, essendo diretta a «rendere concreto, anche se solo in una prima fase, attraverso la raccolta dei fondi con vincolo di destinazione, il diritto dei cittadini a godere di un servizio di depurazione delle acque reflue», realizza così effettive condizioni di parità ed uguaglianza dei cittadini; c) in riferimento all’art. 32 Cost., perché la censura sarebbe generica, in quanto «il diritto alla salute invocato dal Giudice di pace di certo non verrebbe tutelato dal mancato pagamento del canone di depurazione da parte dei cittadini privi di tale servizio»; d) in riferimento all’art. 53 Cost., perché non si applicherebbero i «princìpi fissati in tema di universalità dell’imposta e capacità contributiva», in quanto il canone di depurazione è stato trasformato da tributo in tariffa; e) in riferimento, infine, all’art. 97 Cost., perché l’obbligo di pagamento del canone è previsto indistintamente per tutti i cittadini e perché l’amministrazione deve utilizzare quanto riscosso per la realizzazione degli impianti di depurazione nei Comuni che ne sono sprovvisti;che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità o comunque per la manifesta infondatezza della questione;che l’Avvocatura generale sostiene, in particolare: a) che il canone di depurazione delle acque reflue ha natura tributaria, perché esso costituisce una prestazione patrimoniale imposta di cui all’art. 23 Cost., «non ricollegabile ad una immediata prestazione del relativo servizio» e non soggetta al principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., il quale, in ogni caso, non sarebbe violato, perché il comma 3 dell’art. 14 della legge n. 36 del 1994 «stabilisce che la determinazione della quota tariffaria sia strettamente correlata all’utilizzazione e dunque al volume d’acqua scaricata»; b) che non sussiste la violazione dell’art. 2 Cost. lamentata dal rimettente, in quanto «la norma in questione lungi dal mortificare la persona umana come soggetto di diritti, viceversa ne esalta la soggettività giuridica favorendo la prestazione di un servizio pubblico irrinunciabile, quale è la depurazione delle acque reflue»; c) che non sussiste la violazione dell’art. 3 Cost., perché l’eventuale disparità di trattamento fra chi usufruisce e chi non usufruisce del servizio di depurazione non discende dalla norma, ma al più dalle modalità della sua applicazione; d) che non sussiste la violazione dell’art. 32 Cost., in quanto il prelievo censurato è destinato a finanziare opere ed impianti di depurazione e ha la funzione di supplire ad eventuali carenze di fondi dei Comuni; e) che non sussiste la violazione dell’art. 97 Cost., in quanto la norma realizza l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, «mediante la predisposizione di una copertura finanziaria per l’erogazione di un servizio pubblico irrinunciabile»;che, con successiva memoria depositata in prossimità dell’udienza, la s.p.a. G.O.R.I. ha prospettato, quali ulteriori profili di inammissibilità della questione: a) la contraddizione nella quale incorre l’ordinanza di rimessione, laddove qualifica il canone di depurazione prima come «corrispettivo di una prestazione complessa collegata all’approvvigionamento idrico» e dopo come «tributo»; b) la carente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, in relazione al periodo cui si riferiscono i canoni di depurazione oggetto di causa, in quanto tale lacuna non consentirebbe alla Corte costituzionale la verifica né della normativa applicabile ratione temporis né della sussistenza della giurisdizione del giudice a quo; c) la mancata motivazione circa la sussistenza della giurisdizione del giudice a quo, tanto più in quanto il canone di depurazione venga qualificato come tributo; d) l’omessa valutazione, in punto di fatto, se l’esistenza «di una condotta fognaria e di una griglia di intercettazione» affermata dalla s.p.a. G.O.R.I. nella sue difese costituisca, anche solo in parte, adempimento della prestazione pubblica relativa al servizio di fognatura; e) la carente descrizione e valutazione delle circostanze di fatto relative al limite di tempo oltre il quale non sia possibile procedere alla riscossione del canone di depurazione in assenza del servizio;che la stessa società ha sostanzialmente ribadito nel merito quanto già sostenuto nell’atto di intervento, osservando che le censure formulate dal giudice a quo presuppongono la natura tributaria del canone di depurazione.Considerato che il rimettente solleva, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 53 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nella sua formulazione originaria, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti indipendentemente dalla sussistenza di un servizio corrispettivo, e cioè anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi;che la questione è manifestamente inammissibile, per insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo;che il rimettente si limita ad esporre che il contribuente ha proposto nei confronti della s.p.a. G.O.R.I. azione di accertamento negativo del credito per la «quota riferita alla depurazione di acque reflue»;che, pertanto, lo stesso rimettente omette di precisare il periodo in riferimento al quale è dovuta la “quota” di tariffa in questione, senza tenere conto che tale precisazione sarebbe stata necessaria in ragione dei ripetuti mutamenti subiti nel tempo dalla disciplina legislativa dei canoni di depurazione delle acque reflue;che, in particolare, l’art 14, comma 1, nel censurato testo originario, trova applicazione nel solo periodo compreso tra il 3 ottobre 2000 e il 27 agosto 2002, perché la materia dei canoni di depurazione delle acque reflue è disciplinata: a) fino al 2 ottobre 2000, dagli articoli 16 e 17 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento), mantenuti in vigore per tale periodo dall’art. 62, commi 5 e 6, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole); b) dal 28 agosto 2002 fino al 28 aprile 2006, dal nuovo testo del citato art. 14, comma 1, introdotto dall’art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), e abrogato dall’art. 175, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), con decorrenza dal 29 aprile 2006;
che l’individuazione del periodo cui i canoni oggetto del giudizio principale si riferiscono sarebbe stata necessaria anche per consentire il riscontro della sussistenza della giurisdizione del giudice rimettente, in quanto, come affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, fino al 2 ottobre 2000 il canone di depurazione aveva la natura di tributo e le controversie ad esso relative erano, perciò, attribuite alla giurisdizione tributaria e non a quella ordinaria (ex plurimis: Cassazione, n. 14314 del 2005; n. 3078 del 2005; sezioni unite, n. 6418 del 2005);
che, pertanto, tali lacune, non consentendo il controllo di questa Corte sull’individuazione della norma applicabile nel giudizio a quo e sulla sussistenza della giurisdizione del rimettente, si risolvono in un difetto di motivazione sulla rilevanza (v., ex plurimis, ordinanze n. 396 del 2005 e n. 55 del 2006);
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 53 e 97 della Costituzione, dal Giudice di pace di Gragnano, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.
F.to:
Annibale MARINI, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2006.