ORDINANZA N. 252 ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 9 e 10, e dell’art. 11, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), promosso con ordinanza del 17 maggio 2004 dal Tribunale di Rossano, nel procedimento civile vertente tra Umberto Novellis e la OleariaGuinnicelli S.r.l., iscritta al n. 889 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti l’atto di costituzione di Umberto Novellis, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2006 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi l’avvocato Vittorio Angiolini per Umberto Novellis e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che su ricorso proposto da Umberto Novellis nei confronti della S.r.l. Olearia Guinnicelli, alle cui dipendenze il primo aveva prestato lavoro dal 1965 al 2002 con distinti contratti di lavoro a tempo determinato, al fine di ottenere la riassunzione in base all’ art. 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro), il Tribunale di Rossano ha sollevato, con ordinanza del 17 maggio 2004, questione di legittimità costituzionale dell’ art. 10, commi 9 e 10, e dell’art. 11, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), per violazione dell’art. 76 della Costituzione, nella parte in cui tali norme, abrogando la normativa previgente, non riconoscono più il diritto di precedenza nell’assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica, a favore dei lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa a carattere stagionale con contratto a tempo determinato;
che, quanto alla rilevanza della questione, osserva il rimettente che 1’art. 10, commi 9 e 10, del d. lgs. n. 368 del 2001 affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi l’individuazione del predetto diritto di precedenza, con la conseguenza che, in difetto di tale previsione contrattuale, il diritto vantato non è altrimenti operante;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, rileva il Tribunale di Rossano che il decreto indicato, avendo soppresso il diritto di precedenza nell’attuare la delega conferita dalla legge 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizione per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2000) avrebbe violato la clausola di “non regresso” (clausola 8, n. 3) - contenuta nell’accordo quadro trasfuso nella direttiva comunitaria e, quindi, inserita tra i principi direttivi della delega - secondo cui “l’applicazione del presente accordo non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso”;
che, secondo il ricorrente nel giudizio a quo, la clausola di non regresso comporta che la normativa italiana non può essere derogata in pejus dal legislatore successivo, in sede di attuazione della direttiva, nella parte riguardante il trattamento afferente alla generalità dei lavoratori interessati. Ciò è quanto si è verificato nel caso concreto poiché l’art. 10 del d.lgs. n. 368 del 2001, applicabile alla generalità dei lavori stagionali, è norma peggiorativa rispetto al regime previgente;
che, soggiunge il ricorrente, le norme impugnate concretizzerebbero una duplice reformatio in pejus, in quanto condizionano il diritto di precedenza a due condizioni prima inesistenti: a) l’eventuale previsione del diritto da parte del contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile; b) il mancato decorso di un anno dalla cessazione del rapporto a termine;
che al medesimo risultato dovrebbe giungersi - secondo il Tribunale rimettente – ove si operasse una comparazione non già per clausole, ma per istituti, estesa, quindi, al complesso della regolamentazione del lavoro a termine, tra vecchio e nuovo regime certamente meno favorevole al lavoratore;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale invoca il rigetto della questione di legittimità costituzionale, non ravvisando, nelle disposizioni censurate, violazione dei limiti posti dalla legge di delegazione;
che, secondo l’interveniente, occorre valutare il complesso delle disposizioni del d.lgs. n. 368 del 2001 con le quali, in occasione del recepimento della direttiva comunitaria, si è provveduto ad una revisione dell’intero sistema di tutela concernente il rapporto di lavoro a termine;
che, a giudizio dell’Avvocatura dello Stato non è possibile enucleare – nel contesto della direttiva – il riconoscimento specifico di un diritto di precedenza, nell’assunzione, ai lavoratori a termine, diritto, anzi già riconosciuto in specifici comparti seppur con la necessaria mediazione delle parti sociali;
che, in prossimità dell’udienza, entrambe le parti del giudizio hanno depositato memorie;
che, secondo il ricorrente, nel caso in esame il problema della compatibilità delle norme impugnate rispetto all’obbligo comunitario di non regresso «non si pone neppure» poiché le prime - in quanto norme delegate esclusivamente a disciplinare l’attuazione della direttiva europea e dell’accordo quadro - non potrebbero mai andare oltre le esigenze applicative della direttiva medesima se non violando, per altro aspetto, l’art. 76 Cost.;
che l’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione in quanto il rimettente ha escluso, senza motivare sul punto, l’esistenza di una contrattazione collettiva favorevole alla posizione del ricorrente;
che, nel merito, l’interveniente ha rilevato che la legge di delega del 2000, nel dare attuazione alla direttiva comunitaria n. 1999/70 ha inteso regolamentare ex novo l’intera disciplina del lavoro a termine, aggiungendo che le norme impugnate, sia perché la devoluzione alla contrattazione collettiva nazionale dei casi in cui è esercitabile il diritto di precedenza si inserisce in un costante trend normativo che privilegia il rinvio della legge alla disciplina collettiva, sia perché il termine annuale per l’esercizio del diritto di precedenza era implicitamente operante anche per il passato, non introducono modifiche peggiorative della posizione dei lavoratori interessati.
Considerato che il Tribunale di Rossano dubita della legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 9 e 10, e dell’art. 11, commi 1 e 2, del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), nella parte in cui, sopprimendo di fatto il diritto di precedenza nelle assunzioni dei lavoratori agricoli stagionali, già occupati negli anni precedenti con contratti di lavoro a termine, a meno che non sia previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, hanno ridotto il livello di tutela già riservato agli indicati lavoratori dall’art. 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro);
che, secondo il giudice a quo, le disposizioni impugnate collidono con il divieto di non regresso prescritto dalla clausola 8, punto 3 dell’accordo quadro, allegato alla direttiva comunitaria, secondo la quale la trasposizione di tale direttiva «non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso»;
che, per questo verso, le norme impugnate si pongono contro l’art. 2 della legge di delega 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2000), che ha assunto quella clausola tra i principi e criteri direttivi, e, quindi violerebbero l’art. 76 Cost. ;
che, secondo il ricorrente, nel giudizio a quo le norme impugnate concretizzerebbero una duplice reformatio in pejus vietata dalla delega, in quanto subordinano il diritto di precedenza a due condizioni prima inesistenti: a) l’eventuale previsione da parte del contratto collettivo nazionale; b) il mancato decorso di un anno dalla cessazione del rapporto a termine;
che nella sua memoria integrativa il ricorrente, dopo aver ammesso, in ipotesi, che le disposizioni sul diritto di precedenza potrebbero anche non rientrare nell’ambito di operatività della direttiva, osserva che, in ogni caso, le medesime si pongono al di fuori della delega contenuta nella legge n. 422 del 2000 e quindi violano l’art. 76 Cost.;
che tale argomento, in quanto modifica i termini esposti dal giudice rimettente, non può trovare ingresso in questa sede, atteso che l’ambito del giudizio di legittimità costituzionale non può estendersi oltre i limiti fissati dall’ordinanza di rimessione, per comprendere altre norme o diversi profili indicati dalle parti ma che rimangono fuori della questione (sentenza n. 49 del 1999);
che, ad oltre un anno dall’ordinanza di rimessione e dalle rispettive memorie di costituzione delle parti nel giudizio, è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia 22 novembre 2005, in causa n. C-144/04, che, nel fornire una lettura complessiva della direttiva in questione, descrivendone l’ambito di applicazione, ha affermato che «una reformatio in pejus della protezione offerta dalla legislazione nazionale ai lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato non è, in quanto tale, vietata dall’accordo quadro quando non sia in alcun modo collegata con l’applicazione di questo» (punto 52 della motivazione);
che, pertanto è necessario restituire gli atti al rimettente, al precipuo fine di consentirgli la soluzione del problema interpretativo alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia, la quale - in ragione della sua natura - assume nella fattispecie valore di jus superveniens (ordinanze numeri 241 del 2005, 125 del 2004 e 62 del 2003, tra le più recenti).
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Rossano.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2006.