SENTENZA N. 217
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 60, comma 1, n. 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), promosso con ordinanza del 10 dicembre 2004 dal Tribunale di Massa, nel procedimento civile vertente tra Bertocchi Luciano ed altri e Bertocchi Marino ed altri, iscritta al n. 180 del registro ordinanze del 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti gli atti di costituzione di Cavellini Clara ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 2 maggio 2006 il Giudice relatore Sabino Cassese;
udito l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio elettorale, il Tribunale di Massa ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 60, comma 1, numero 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), a norma del quale sono ineleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale «i legali rappresentanti e i dirigenti delle società per azioni con capitale maggioritario rispettivamente del comune o della provincia».
Ritenuta rilevante la questione, il Tribunale ha prospettato la violazione degli artt. 2, 3 e 51 della Costituzione.
Con riguardo, in particolare, alla disparità di trattamento, il Tribunale argomenta che, mentre la norma impugnata sancisce l’ineleggibilità alle menzionate cariche elettive dei soggetti in essa indicati (vale a dire dei legali rappresentanti e dei dirigenti delle società per azioni con partecipazione di maggioranza del comune o della provincia), l’art. 63, comma 1, numero 1, del d.lgs. n. 267 del 2000 stabilisce, rispetto alle stesse cariche, soltanto l’incompatibilità (fra gli altri) degli amministratori e dipendenti «con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza rispettivamente da parte del comune o della provincia». Secondo il Tribunale, la circostanza che i soggetti appena indicati siano incompatibili con le menzionate cariche elettive e che i soggetti di cui alla norma impugnata siano, invece, ineleggibili determina un trattamento irragionevolmente difforme a danno di questi ultimi. Non si comprenderebbe, infatti, per quale motivo i soggetti di cui all’art. 63 «possono attendere il risultato elettorale con facoltà di esercitare il diritto di opzione», mentre quelli di cui all’impugnato art. 60 «debbono essere costretti, per candidarsi, a dare le dimissioni dalla carica rivestita prima ancora di conoscere il risultato», «con l’evidente rischio di rimanere privi di qualsiasi occupazione in caso di insuccesso»; il che, oltre a concretare la violazione degli artt. 2 e 3 Cost., «viene a tradursi in un limite all’esercizio del diritto costituzionalmente garantito (art. 51 Cost.) all’accesso alle cariche elettive». Né, secondo il Tribunale, appare decisivo, a giustificare l’ineleggibilità, che l’art. 60, comma 1, numero 10, del d.lgs. n. 267 del 2000 si riferisca specificamente alle società per azioni e non ad altri tipi di società, giacché «è innegabile l’esistenza di enti, istituti e aziende di proporzioni sicuramente maggiori di […] una s.p.a.», rispetto alle quali vale, invece, la regola dell’incompatibilità.
2. – È intervenuto, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
Secondo l’Avvocatura, il d.lgs. n. 267 del 2000 ha del tutto ragionevolmente differenziato la causa di ineleggibilità di cui all’art. 60, comma 1, numero 10, dalla causa di incompatibilità di cui all’art. 63, comma 1, numero 1: la prima essendo intesa a prevenire il pericolo di inquinamento della campagna elettorale e, quindi, a preservare la libera determinazione degli elettori da potenziali suggestioni e aspettative provenienti da chi intende candidarsi (donde la necessità che questi, per essere validamente eletto, si dimetta entro la data di scadenza del termine per la presentazione delle candidature); la seconda essendo finalizzata ad impedire l’insorgere di conflitti d’interesse con l’ente locale (con conseguente necessità che l’eletto rassegni le dimissioni dall’incarico presso l’ente, istituto o azienda vigilati dal comune o dalla provincia, al momento in cui si verifica il cumulo delle cariche).
In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria, nella quale prospetta, in via preliminare, l’inammissibilità della questione, mancando nell’ordinanza di rinvio il riferimento alla fattispecie concreta, con conseguente impossibilità per la Corte di esprimere un giudizio circa la rilevanza della propria pronuncia ai fini della soluzione del giudizio principale.
Nel merito, l’Avvocatura ha ribadito l’infondatezza della questione, in ragione di due differenze di fatto che giustificherebbero la distinta previsione di cui all’art. 60, comma 1, numero 10, del d.lgs. n. 267 del 2000 rispetto a quella di cui all’art. 63, comma 1, numero 1, dello stesso decreto: «la natura del rapporto lavorativo del soggetto entro la società connessa all’ente locale» e «la natura e l’incisività del rapporto tra l’ente locale e la società entro cui il soggetto presta la propria opera».
Sotto il primo aspetto, osserva l’Avvocatura che l’art. 60, comma 1, numero 10, del d.lgs. n. 267 del 2000 fa riferimento a “rappresentanti legali” o “dirigenti” delle s.p.a., mentre il successivo art. 63, comma 1, numero 1, tratta di “amministratori” o “dipendenti” con potere di rappresentanza. In tal modo, il legislatore avrebbe valutato che la situazione del rappresentante legale o del dirigente di una società è diversa e distinta da quella di uno dei tanti amministratori o dipendenti che pure abbiano un qualche potere di rappresentanza: «nel primo caso, infatti, si intuisce che gli interessi personali coinvolti saranno maggiori» e altrettanto lo saranno «la visibilità nonché i poteri del soggetto che opera al vertice della società», a differenza dell’ipotesi in cui il soggetto sia amministratore o dipendente.
Sotto il secondo aspetto, l’Avvocatura rileva che, mentre l’art. 60 riguarda società per azioni il cui capitale appartiene per oltre il cinquanta per cento all’ente locale, nel caso di cui all’art. 63 si tratta di enti, aziende o istituti soggetti a vigilanza o sovvenzionati dall’ente locale: «[n]el primo caso, dunque, la società appartiene all’ente locale in massima parte e viene gestita dallo stesso», mentre «[n]el secondo caso, la connessione con l’ente locale esiste ma è meno intensa: l’ente vigila sull’operato della società o concede parziali sovvenzioni (peraltro facoltative), senza potersi inserire nella gestione diretta della società».
L’una e l’altra differenza evidenziano, secondo l’Avvocatura, che la scelta legislativa a favore dell’ineleggibilità nel caso contemplato dall’art. 60, comma 1, numero 10, del d.lgs. n. 267 del 2000 e, rispettivamente, dell’incompatibilità nel caso di cui al successivo art. 63, comma 1, numero 1, risulta sorretta da elementi oggettivi, «non è certamente ingiustificata ed irragionevole e neppure travalica quei limiti di stretta necessità per il soddisfacimento del pubblico interesse, né presenta confini troppo generici ed elastici, generando frequenti incertezze nell’applicazione (Corte cost., sentenza n. 306 del 2003). Al contrario, essa appare finalizzata alla tutela dell’uguaglianza, della libertà di voto e del corretto ed imparziale esercizio delle funzioni pubbliche».
3. – Si sono costituiti gli intervenienti nel giudizio principale, insistendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale in base agli stessi motivi esposti nell’ordinanza di rimessione.
Considerato in diritto
1. – Nel corso di un giudizio elettorale, il Tribunale di Massa ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 60, comma 1, numero 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), a norma del quale sono ineleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale «i legali rappresentanti e i dirigenti delle società per azioni con capitale maggioritario rispettivamente del comune o della provincia».
Il Tribunale prospetta la violazione degli artt. 2, 3 e 51 della Costituzione.
Circa la disparità di trattamento, il Tribunale argomenta che, mentre la norma impugnata sancisce l’ineleggibilità alle menzionate cariche elettive dei soggetti in essa indicati (vale a dire dei legali rappresentanti e dei dirigenti delle società per azioni con partecipazione di maggioranza del comune o della provincia), l’art. 63, comma 1, numero 1, del d.lgs. n. 267 del 2000 stabilisce, rispetto alle stesse cariche, soltanto l’incompatibilità (fra gli altri) degli amministratori e dipendenti «con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza rispettivamente da parte del comune o della provincia». Secondo il Tribunale, la circostanza che i soggetti appena indicati siano incompatibili con le menzionate cariche elettive e che quelli di cui alla norma impugnata siano, invece, ineleggibili, determina un trattamento irragionevolmente difforme a danno di questi ultimi, non comprendendosi per quale motivo i soggetti di cui all’art. 63 «possono attendere il risultato elettorale con facoltà di esercitare il diritto di opzione», mentre i soggetti di cui all’impugnato art. 60 «debbono essere costretti, per candidarsi, a dare le dimissioni dalla carica rivestita prima ancora di conoscere il risultato», «con l’evidente rischio di rimanere privi di qualsiasi occupazione in caso di insuccesso». Il che, oltre a concretare la violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, «viene a tradursi in un limite all’esercizio del diritto costituzionalmente garantito (art. 51 Cost.) all’accesso alle cariche elettive». Né, secondo il Tribunale, appare decisivo, a giustificare l’ineleggibilità, che l’art. 60, comma 1, numero 10, del d.lgs. n. 267 del 2000 si riferisca specificamente alle società per azioni e non ad altri tipi di società, giacché «è innegabile l’esistenza di enti, istituti e aziende di proporzioni sicuramente maggiori di […] una s.p.a.», rispetto alle quali vale, invece, la regola dell’incompatibilità.
2. – Dev’essere, anzitutto, rigettata l’eccezione di inammissibilità, sollevata dall’Avvocatura dello Stato sul presupposto della mancata descrizione della fattispecie da parte del giudice remittente.
Il contesto dell’ordinanza rende, infatti, sufficientemente evidente che il giudizio elettorale verte sull’eleggibilità del convenuto ad una delle cariche elettive (sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale) indicate dall’art. 60, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, per essere egli titolare, in una società per azioni con capitale maggioritario dell’ente locale, di una delle funzioni (legale rappresentante o dirigente) previste dal numero 10 dello stesso art. 60, comma 1.
3. – La questione è, peraltro, infondata.
L’art. 60, comma 1, numero 10, del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel testo vigente prima delle modifiche ad esso apportate dall’art. 14-decies del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, recante “Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione. Disposizioni in materia di organico del personale della carriera diplomatica, delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2000/53/CE in materia di veicoli fuori uso e proroghe di termini per l’esercizio di deleghe legislative”; modifiche non rilevanti nel giudizio a quo) stabilisce che sono ineleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale «i legali rappresentanti e i dirigenti delle società per azioni con capitale maggioritario rispettivamente del comune o della provincia».
L’art. 63, comma 1, numero 1, del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel testo vigente prima delle modifiche ad esso apportate dal menzionato art. 14-decies del decreto-legge n. 115 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 168 del 2005) prevede, invece, rispetto alle stesse cariche, soltanto l’incompatibilità (fra gli altri) degli amministratori e dipendenti «con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza rispettivamente da parte del comune o della provincia», ovvero che dagli stessi riceva, in via continuativa, «una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell’anno il dieci per cento del totale delle entrate dell’ente».
La disciplina legislativa è, quindi, diversa e con effetti sostanziali rilevanti (ineleggibilità o incompatibilità) a seconda che si tratti di rappresentanti legali o dirigenti delle società con capitale maggioritario di un ente locale, ovvero di amministratori o dipendenti di organismi (enti, istituti o aziende, comprese, secondo la giurisprudenza, le società per azioni) sottoposti a vigilanza dell’ente stesso o da questo (in via “facoltativa”) finanziati. I primi sono titolari di compiti in persone giuridiche delle quali l’ente locale contribuisce a formare la volontà, tramite la partecipazione azionaria maggioritaria. I secondi sono titolari di compiti in organismi che, invece, sono solo controllati dall’esterno dall’ente locale, tramite la vigilanza o la concessione di sovvenzioni.
Nel primo caso, l’ente locale controlla la società dall’interno; quindi, la norma prescrive una conseguenza giuridica (l’ineleggibilità) intesa a prevenire l’eventualità che il candidato ponga in essere, mediante l’esercizio dei poteri (anche “di influenza”) connessi alla sua carica nella società, indebite pressioni sugli elettori. Nel secondo caso, il controllo dell’ente locale (attraverso la vigilanza o il sovvenzionamento) riguarda solo l’attività e non la riguarda neppure necessariamente nella sua interezza; donde una conseguenza giuridica meno grave (l’incompatibilità), che ha lo scopo di evitare conflitti d’interesse tra gli amministratori o dipendenti dell’ente, istituto o azienda, da una parte, e, dall’altra, l’ente locale che su tali organismi esercita il controllo.
Ne risulta la non comparabilità delle fattispecie normative poste a raffronto dal giudice remittente.
Restano assorbite, stante la loro dipendenza logica dalla prima, le altre censure di illegittimità formulate nell’ordinanza di rimessione.
Per questi motivi
La Corte costituzionale
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 60, comma 1, numero 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 51 della Costituzione, dal Tribunale di Massa, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2006.
F.to:
Annibale MARINI, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’1 giugno 2006.