SENTENZA N. 215
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 26 maggio 2004, n. 15 (Riordinamento normativo dell’anno 2004 per i settori della protezione civile, ambiente, lavori pubblici, pianificazione territoriale, trasporti ed energia), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 23 luglio 2004, depositato in cancelleria il 2 agosto 2004 ed iscritto al n. 77 del registro ricorsi 2004.
Visto l’atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 21 marzo 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso depositato il 2 agosto 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 26 maggio 2004, n. 15 (Riordinamento normativo dell’anno 2004 per i settori della protezione civile, ambiente, lavori pubblici, pianificazione territoriale, trasporti ed energia), nella parte in cui prevede che la Regione provveda agli interventi di bonifica dei siti inquinati di Trieste e della laguna di Marano e Grado mediante delegazione amministrativa rispettivamente all’Ente zona industriale di Trieste ed al Consorzio di sviluppo industriale nella zona Aussa – Corno.
Osserva il ricorrente che la materia rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e che il legislatore nazionale ne ha demandato la regolamentazione a norma subprimaria, secondo la tecnica della delegificazione. In proposito, si richiama la legge 9 dicembre 1998, n. 428 (Nuovi interventi in campo ambientale), che, all’art. 1, comma 3, dispone che «per gli interventi di cui al comma 1 e per la utilizzazione delle relative risorse finanziarie il Ministero dell’ambiente adotta, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, un programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, che individua gli interventi di interesse nazionale, gli interventi prioritari, i soggetti beneficiari, i criteri di finanziamento di singoli interventi e le modalità di trasferimento delle relative risorse» e che «il programma tiene conto dei limiti di accettabilità, delle procedure di riferimento e dei criteri definiti dal decreto ministeriale di cui all’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modificazioni».
In tale contesto normativo, appare al ricorrente incongruo l’uso dello strumento legislativo regionale, che altererebbe il quadro delle fonti di disciplina dei rapporti, ponendosi in contrasto con la competenza esclusiva riservata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
L’uso dello strumento della delegazione amministrativa interferirebbe ancor più gravemente con le competenze comunali e provinciali in materia di bonifica dei siti inquinati, in violazione degli artt. 114 e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto il soggetto individuato dalla Regione vanterebbe nei confronti degli altri soggetti istituzionali che concorrono nell’attività di bonifica una inammissibile posizione di garanzia e/o di inamovibilità derivante dalla esistenza di una legge regionale, utilizzata dalla Regione per sottrarsi al dovere di leale collaborazione con gli altri soggetti istituzionali nella individuazione, attraverso il procedimento stabilito nelle fonti statali, delle modalità attuative dell’intervento di bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale di Trieste e della laguna di Grado e Marano.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Regione Friuli-Venezia Giulia, la quale ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza del ricorso.
Sotto il primo profilo, ha rilevato la Regione che nel ricorso non si argomenta sulla applicazione ad essa dei parametri invocati in luogo delle disposizioni dello statuto speciale, che attribuiscono competenza legislativa primaria alla Regione in materia di bonifica (art. 4, numero 2), e concorrente nelle materie dell’igiene e sanità e delle opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali (art. 5, numero 16 e numero 22). Inoltre, il riferimento alla lettera s) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione dimostrerebbe ulteriormente la inammissibilità del ricorso per la erroneità del parametro, in quanto tale disposizione, proprio in quanto stabilisce una competenza esclusiva dello Stato, non si presterebbe ad essere applicata alla Regione, attraverso il meccanismo previsto per le norme ampliative dell’autonomia delle Regioni a statuto speciale dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
Nel merito, anche a voler prescindere dalla inapplicabilità dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione alla Regione Friuli-Venezia Giulia, si osserva che la competenza statale in materia ambientale non è propriamente esclusiva, potendosi ritenere che il legislatore abbia inteso riservare allo Stato il potere di fissare uno standard di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, laddove la norma invocata si limiterebbe a prevedere un intervento della Regione nell’opera di progettazione e realizzazione delle bonifiche in questione, nel rispetto delle norme statali in materia e senza disconoscere affatto il potere ministeriale di approvazione dei progetti. La Regione avrebbe, in effetti, con la legge n. 15 del 2004, dettato norme rivolte a rendere operativa la disciplina statale, accelerando gli interventi di bonifica a fronte delle rilevate difficoltà degli operatori privati nell’opera di caratterizzazione dei siti. Pertanto, se anche si volesse ravvisare un contrasto con la disciplina statale, si tratterrebbe di contrasto con norme statali di dettaglio, e certamente non con lo standard di tutela di competenza del legislatore statale, e comunque di misure volte a rafforzare la tutela dell’ambiente.
Né si potrebbe configurare un contrasto con gli artt. 114 e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, anzitutto perché dette norme non trovano applicazione alle Regioni a statuto speciale, ed inoltre perché nel ricorso non vengono neanche indicate le competenze degli enti locali che sarebbero violate dalla norma impugnata, atteso che i poteri amministrativi concernenti gli interventi di interesse nazionale – quali quelli di cui si tratta – spettano al Ministro dell’ambiente d’intesa con la Regione.
Infine, quanto alla denunciata violazione del dovere di leale collaborazione, rileva la Regione che nel ricorso non viene indicata la fonte di tale dovere. La collaborazione con gli enti locali, nel caso in questione – in cui la Regione ha previsto con legge di compiere attività che avrebbero dovuto compiere i soggetti operanti nei siti inquinati e responsabili dell’inquinamento, nel rispetto dei criteri, fissati dallo Stato, regolanti le attività di caratterizzazione e bonifica –, avrebbe determinato la violazione della disciplina statale ed avrebbe rallentato il soddisfacimento dell’interesse della tutela ambientale e degli interessi degli operatori.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 26 maggio 2004, n. 15 (Riordinamento normativo dell’anno 2004 per i settori della protezione civile, ambiente, lavori pubblici, pianificazione territoriale, trasporti ed energia), nella parte in cui prevede che la Regione provveda agli interventi di bonifica dei siti inquinati di Trieste e della laguna di Marano e Grado mediante delegazione amministrativa rispettivamente all’Ente zona industriale di Trieste ed al Consorzio di sviluppo industriale nella zona Aussa–Corno, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente, essendo stato utilizzato lo strumento legislativo in modo da alterare il quadro delle fonti di disciplina dei rapporti, avendo il legislatore nazionale demandato la regolamentazione della materia a norma subprimaria, secondo la tecnica della delegificazione; nonché degli artt. 114 e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, interferendo sulle competenze comunali e provinciali in materia di bonifica dei siti inquinati; nonché per violazione del dovere di leale collaborazione con gli altri soggetti istituzionali nella individuazione, attraverso il procedimento stabilito nelle fonti statali, delle modalità attuative dell’intervento di bonifica dei siti inquinati di cui si tratta.
2.1. – Il ricorso è inammissibile stante la genericità delle censure in esso contenute.
2.2. – Secondo la costante giurisprudenza della Corte, anche nei ricorsi in via principale ogni questione di legittimità costituzionale deve essere definita nei suoi precisi termini e deve essere adeguatamente motivata, al fine di rendere possibile la inequivoca determinazione dell’oggetto del giudizio e di consentire la verifica della eventuale pretestuosità o astrattezza dei dubbi di illegittimità costituzionale sollevati nonché il vaglio, in limine litis, attraverso l’esame della motivazione e del suo contenuto, della sussistenza in concreto dello specifico interesse a ricorrere in relazione alle disposizioni impugnate (v., tra le altre, le sentenze n. 450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003, n. 384 del 1999, n. 261 del 1995).
2.3. – Nella specie, il ricorso appare meramente assertivo, risolvendosi in censure affatto generiche. Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia dell’ambiente, nonché degli artt. 114 e 118 della Costituzione, ma non chiarisce in quale modo la Regione – la quale, peraltro, a norma degli artt. 4, n. 2, e 5, n. 16 e n. 22, dello statuto speciale, è dotata di potestà legislativa rispettivamente primaria nella materia “bonifiche” e concorrente nelle materie “igiene e sanità” e “opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali” – avrebbe inciso, con la censurata previsione legislativa, sul potere statale in materia; né indica quali siano esattamente le competenze degli enti locali che si assumono violate dalla norma impugnata.
Inoltre, risulta denunciata dal ricorrente la violazione del principio di leale collaborazione, senza che venga precisato in quali attività si sarebbe dovuto, nella specie, concretare detto principio, invero invocato in modo del tutto astratto, ed a prescindere da qualsivoglia indicazione sia degli elementi che fonderebbero la sussistenza di un dovere in tal senso, sia dei soggetti nei cui confronti esso specificamente si configurerebbe.
Le carenze sopra evidenziate viziano l’impugnazione formulata e determinano l’inammissibilità della questione di costituzionalità proposta.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 26 maggio 2004, n. 15 (Riordinamento normativo dell’anno 2004 per i settori della protezione civile, ambiente, lavori pubblici, pianificazione territoriale, trasporti ed energia), sollevata, in riferimento agli articoli 114, 117, secondo comma, lettera s), e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, nonché per violazione del dovere di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria l’1 giugno 2006.