SENTENZA N. 184
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002 n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), promosso con ordinanza del 6 aprile 2005 dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Cagliari, iscritta al n. 312 del registro delle ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2005.
Udito nella camera di consiglio del 5 aprile il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto
1. − Con ordinanza depositata in data 6 aprile 2005 il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Cagliari ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), nella parte in cui prevede l'eliminazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale al compimento dell'ottantesimo anno di età della persona alla quale si riferiscono, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Il rimettente è chiamato a decidere sull'istanza di applicazione della pena ex art. 444 del codice di procedura penale, avanzata dalle parti in riferimento all'imputazione di violenza sessuale continuata, consumata e tentata, ai sensi degli artt. 56, 81, secondo comma, 609-bis e 609-ter del codice penale, elevata a carico di un soggetto già ultraottantenne alla data del fatto di reato.
Osserva il giudice a quo come, in assenza di notizie riguardanti i precedenti dell'imputato per effetto dell'eliminazione di ogni iscrizione dal casellario giudiziale, le valutazioni previste dall'art. 444, comma 2, cod. proc. pen., in ordine alla correttezza dell'applicazione e comparazione delle circostanze, alla congruità della pena e alla concedibilità della sospensione condizionale della stessa, avverrebbero sulla base di una situazione di incensuratezza apparente, che potrebbe non corrispondere alla realtà della vita pregressa dell'imputato, risultando in tal modo impossibile l'adeguamento del trattamento sanzionatorio alla personalità del predetto.
Risulterebbe evidente, a parere del rimettente, il conflitto tra la ratio delle numerose disposizioni che, a diversi fini, impongono al giudice di valutare i precedenti penali dell'imputato, e la norma impugnata, dalla cui applicazione discende una lacuna di informazioni non rimediabile neppure nei casi, diversi dall'attuale, nei quali il giudice sia dotato di poteri di integrazione istruttoria. Gli accertamenti necessari a ricostruire le vicende personali di un soggetto ultraottantenne imporrebbero, infatti, ricerche complesse da indirizzare verso tutti gli uffici giudiziari del Paese, con esiti incerti e tempi di attesa incompatibili con l'esigenza della rapida definizione dei procedimenti penali.
Sottolinea il giudice a quo come dall'applicazione della norma impugnata derivi anche l'impossibilità di procedere all'iscrizione nel casellario delle condanne riportate da soggetti che abbiano superato la soglia d'età indicata, con la conseguenza che rimane priva di riscontro perfino l'eventuale reiterazione di reati ad opera di persona ultraottantenne, senza che sia dato rinvenire, nella legge penale sostanziale, alcuna disposizione di favore per tale categoria di soggetti.
2. − In riferimento alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente assume che la norma censurata sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto produrrebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti ultraottantenni e infraottantenni, laddove, in assenza di particolare significato riconducibile al raggiungimento della predetta soglia d'età, i primi si avvantaggiano dell'eliminazione dal casellario giudiziale delle iscrizioni a loro carico, risultando da tale momento in avanti del tutto immuni da censure.
Rileva il rimettente come, in conseguenza della eliminazione delle iscrizioni dal casellario, risultino di fatto inapplicabili, ai soggetti ultraottantenni, gli istituti della recidiva e della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza, con conseguenti ricadute sul giudizio di ammissibilità dell'oblazione discrezionale. Allo stesso modo, nei confronti dei predetti soggetti non può trovare applicazione l'istituto della revoca della sospensione condizionale della pena previsto dall'art. 168, comma 3, cod. proc. pen., nel mentre, in senso opposto, diventa automatica l'ammissione degli stessi al c.d. “patteggiamento allargato”, nonostante il disposto dell'art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen., espressamente escluda dall'accesso a tale rito coloro i quali siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, o recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma, cod. pen.
Tali significative conseguenze si produrrebbero, a parere del giudice a quo, in assenza di corrispondenti previsioni penali di favore per gli imputati ultraottantenni, che pure il legislatore avrebbe potuto introdurre così come ha stabilito che i soggetti infraventunenni e ultrasettantenni beneficino del più ampio limite di due anni e sei mesi ai fini della sospensione condizionale della pena.
Il rimettente evidenzia anche un profilo di irragionevolezza intrinseca della previsione impugnata, la quale non sarebbe più coerente con la ratio ad essa sottesa, considerati i profondi mutamenti intervenuti nella realtà sociale e nell'organizzazione della pubblica amministrazione rispetto all'epoca in cui è stata introdotta nell'ordinamento. A tale proposito si osserva come, in conseguenza dell'innalzamento dell'età media della popolazione, gli ultraottantenni risultino oggi numerosi e sovente ancora attivi nella vita sociale ed economica, di modo che non sarebbe più attuale la presunzione di ridotta pericolosità − connessa alla perdita di efficienza psico-fisica − che giustificava, per il passato, la previsione dell'eliminazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale dopo il raggiungimento della predetta soglia di età. Inoltre, con l'introduzione del sistema informatico nell'organizzazione del casellario giudiziale, sarebbero definitivamente cessate le difficoltà di gestione del cospicuo materiale cartaceo, di cui il legislatore aveva disposto a certe condizioni la distruzione, allo scopo precipuo di alleggerire l'attività dell'amministrazione.
In punto di rilevanza il giudice a quo ribadisce di non poter svolgere attività di integrazione probatoria per rimediare alla lacuna cognitiva riguardante gli eventuali precedenti penali dell'imputato, attesa la natura del rito scelto dalle parti.
Assume, inoltre, il rimettente che, non sussistendo elementi che gli impongano di prosciogliere l'imputato ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., egli deve procedere necessariamente alla verifica dell'accoglibilità della richiesta di applicazione della pena sulla base dei parametri fissati dall'art. 444, comma 2, cod. proc. pen., quindi previa valutazione della comparazione delle circostanze del reato, della congruità della pena richiesta e, infine, della concedibilità del beneficio della sospensione condizionale di questa, alla quale l'imputato ha espressamente condizionato la definizione del procedimento nelle forme del patteggiamento.
Considerato in diritto
1. – Il Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Cagliari solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), nella parte in cui prevede l'eliminazione delle iscrizioni nel casellario giudiziale al compimento dell'ottantesimo anno di età della persona cui si riferiscono. La norma citata violerebbe l'art. 3 della Costituzione, perché, in relazione alla mera anzianità raggiunta dall'interessato (e con riguardo ad una soglia arbitrariamente individuata), il giudice verrebbe irragionevolmente privato del principale – e normalmente unico – strumento di conoscenza di fattori rilevanti per l'applicazione delle norme in materia di circostanze di reato, di recidiva, di abitualità e professionalità nel reato, di quantificazione della pena e di sospensione condizionale della relativa esecuzione, producendo, altresì, una ingiustificata disparità di trattamento tra imputati ultraottantenni ed infraottantenni.
2. – La questione è inammissibile.
2.1. – Occorre premettere che la norma censurata non ha natura processuale, bensì amministrativa, come ha già chiarito questa Corte (sentenza n. 209 del 1987) a proposito della disposizione di identico contenuto di cui all'art. 605 del codice procedura penale del 1930, nel testo modificato dalle leggi 14 marzo 1952, n. 158 (Riordinamento del casellario giudiziale) e 18 giugno 1955, n. 517 (Modificazioni al codice di procedura penale). Ciò si desume dal pacifico e costante orientamento del “diritto vivente” e dalla relazione del Guardasigilli al codice di rito penale del 1930, che legava esplicitamente la disposta eliminazione delle iscrizioni relative agli ottuagenari alla necessità di smaltire una grande mole di materiale cartaceo, allo scopo di guadagnare spazio negli uffici, che mostravano un'insufficiente capienza.
D'altra parte, la durata media della vita umana era, nell'epoca in cui tale disposizione veniva introdotta nell'ordinamento, sensibilmente più breve e la stessa efficienza psico-fisica delle persone che raggiungessero un'età tanto avanzata era ritenuta così bassa «da doversi presumere che non possedessero né sufficiente volontà né adeguata forza fisica per commettere delitti» (sentenza n. 209 del 1987).
Nella medesima pronuncia questa Corte ha osservato che la irragionevole disparità di trattamento tra imputati, lesiva del principio di eguaglianza, segnalata dal giudice rimettente di quel giudizio e riproposta da quello attuale, si pone «come effetto perverso e occasionale della disposizione amministrativa». Difatti, proprio la natura amministrativa della norma in questione esclude che l'eliminazione dell'iscrizione nel casellario determini la cessazione degli effetti penali delle eventuali condanne anteriormente riportate dal soggetto ultraottantenne, con la conseguenza che il giudice, ove venga a conoscenza dei precedenti da fonti diverse, ben può utilizzare i dati acquisiti, purché certi, ai fini delle proprie valutazioni nell'ambito del processo.
La valutazione dei precedenti dell'imputato finisce così per dipendere dal mero caso, non potendosi ipotizzare una ricerca sistematica e completa degli stessi da parte del giudice o del pubblico ministero, che dovrebbero acquisire notizie da tutti gli uffici giudiziari d'Italia, con esiti comunque incerti e grave pregiudizio del principio di ragionevole durata del processo.
Sul presupposto che la norma censurata non sia stata dettata dall'intento di favorire una categoria di soggetti, gli ultraottantenni, ma solo da ragioni organizzative, questa Corte ha negato, nella pronuncia citata, che essa arrechi ingiusto svantaggio a coloro i cui precedenti vengono comunque a conoscenza del giudice – come sosteneva invece il giudice rimettente − ed ha affermato che «è semmai proprio colui, i cui precedenti vengono sottaciuti a causa dell'eliminazione, ad avvantaggiarsi ingiustamente della situazione e contro la volontà del legislatore».
La Corte ha concluso, in quel giudizio, per l'inammissibilità della questione perché, nella fattispecie, il giudice risultava in possesso dei precedenti penali ed era perciò in grado di procedere prescindendo dalla risoluzione della questione sollevata.
2.2. – La questione oggi sottoposta al vaglio di questa Corte è opposta e simmetrica rispetto a quella oggetto della precedente pronuncia. Mentre in quel caso veniva invocata dal giudice a quo una sentenza additiva che dichiarasse l'illegittimità costituzionale della norma censurata nella parte in cui non vieta ai giudici di tener conto dei precedenti penali dell'imputato ultraottantenne comunque risultanti dagli atti, nel presente giudizio, al contrario, si chiede alla Corte di emanare una sentenza puramente caducatoria, che espunga dall'ordinamento la disposizione che prescrive l'eliminazione dal casellario giudiziale delle iscrizioni relative ai soggetti che abbiano compiuto l'ottantesimo anno di età.
La richiesta dell'odierno rimettente si aggancia a quanto detto incidentalmente nella più volte citata sentenza n. 209 del 1987: «Se si dovesse […] pervenire ad una declaratoria di illegittimità, questa dovrebbe essere semplicemente ablativa della disposizione denunziata: tanto più che attualmente, a seguito della computerizzazione dei servizi, l'eliminazione della scheda ha perduto l'importanza che aveva negli anni '30».
In altre parole, vi sarebbe stata una profonda alterazione del contesto fattuale, con innegabili ricadute sul bilanciamento tra opposte esigenze operato dal legislatore in tempi passati. È appena il caso di rilevare, infatti, che tutti gli elementi presi tradizionalmente in considerazione dal legislatore sono mutati: le schede cartacee sono state sostituite da archivi informatizzati che hanno risolto il problema dello spazio materiale per la conservazione dei dati; la durata media della vita umana si è allungata notevolmente; le condizioni di efficienza psico-fisiche delle persone si mantengono buone in età avanzata in un numero elevato di casi.
2.3. – Osservato quanto sopra, pur auspicando che il legislatore riprenda in considerazione la norma oggetto del presente giudizio, per valutarne l'adeguatezza rispetto alla situazione di fatto attuale, deve tuttavia concludersi che la questione sollevata è inammissibile per difetto di rilevanza, giacché in ogni caso il giudice rimettente non potrebbe avvalersi, nel processo a quo, di una eventuale pronuncia di questa Corte, a causa della già avvenuta eliminazione dal casellario giudiziale dei dati riguardanti il soggetto sottoposto al giudizio. Si è prodotta, in altre parole, una situazione di fatto irreversibile, su cui una declaratoria di illegittimità costituzionale non avrebbe alcun effetto, rimanendo in tal modo priva dell'incidenza nel processo principale imposta dal vigente sistema di giustizia costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Cagliari con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2006.