Ordinanza n. 112 del 2006

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ORDINANZA N. 112

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE              Presidente

- Giovanni Maria        FLICK              Giudice

- Francesco                 AMIRANTE              "

- Ugo                          DE SIERVO              "

- Romano                    VACCARELLA        "

- Paolo                        MADDALENA         "

- Alfio                         FINOCCHIARO       "

- Franco                      GALLO                     "

- Gaetano                    SILVESTRI               "

- Sabino                      CASSESE                  "

- Maria Rita                SAULLE                    "

- Giuseppe                  TESAURO                 "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 512 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 5 ottobre 2004 dal Tribunale di Palermo, nel procedimento penale a carico di G.L. ed altri, iscritta al n. 193 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2005;

            udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2006 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

    Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente la lettura, per impossibilità sopravvenuta, delle dichiarazioni rese al giudice nel corso delle indagini preliminari da soggetto che ha successivamente assunto la veste di “testimone assistito”, ai sensi dell'art. 197-bis cod. proc. pen.;

    che – premesso che identica questione di legittimità costituzionale era già stata sollevata dal medesimo giudice e dichiarata manifestamente inammissibile dalla Corte costituzionale, con ordinanza n. 164 del 2003 − il giudice a quo espone nuovamente quanto evidenziato nell'originario atto di rimessione: vale a dire che, nel gennaio 2001, il Tribunale aveva disposto l'esame di un imputato di reato connesso, per il quale si era proceduto separatamente, che si era avvalso della facoltà di non rispondere, con conseguente acquisizione del verbale utilizzato per le contestazioni, ai sensi dell'art. 513 cod. proc. pen.;

    che nel maggio del 2001 il Tribunale aveva revocato tale acquisizione, affermando – «in applicazione dei principi del giusto processo», nel frattempo entrati in vigore – l'inutilizzabilità delle dichiarazioni in precedenza acquisite; e, in applicazione del novellato art. 197-bis cod. proc. pen., aveva disposto una nuova audizione di detta persona, questa volta, nella qualità di testimone assistito: ciò in quanto costui era stato giudicato con sentenza, divenuta irrevocabile, di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.;

    che – prosegue il giudice a quo − all'udienza fissata per l'audizione il soggetto risultava nel frattempo deceduto; di conseguenza, il pubblico ministero chiedeva darsi lettura delle precedenti dichiarazioni, in forza dell'art. 512 cod. proc. pen., richiesta alla quale il difensore dell'imputato si opponeva, non prevedendo tale articolo la lettura del verbale di dichiarazioni rese, nel corso delle indagini preliminari, al giudice;

    che, a questo punto, il Tribunale sollevava, una prima volta, questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 cod. proc. pen., evidenziando, in punto di rilevanza, l'importante rilievo probatorio delle dichiarazioni ai fini della decisione; e, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, l'impossibilità di acquisizione ed utilizzazione delle stesse, nonostante la sopravvenuta morte del dichiarante;

    che a tale conclusione il giudice a quo perveniva rilevando, innanzitutto, come la figura processuale del c.d. testimone assistito andasse necessariamente «distinta da quella delle persone indicate nell'art. 210 cod. proc. pen.», per non essere, a differenza di queste, titolare di un diritto al silenzio: talché alla situazione processuale in questione non avrebbe potuto applicarsi l'art. 513 cod. proc. pen.;

    che quest'ultima norma, pur disciplinando la lettura delle dichiarazioni, divenute irripetibili, rese nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, risulterebbe applicabile – in esito alle modifiche apportate dalla legge 1° marzo 2001, n. 63, di attuazione del giusto processo – oltre che all'imputato, ai soli dichiaranti indicati nell'art. 210, comma 1, cod. proc. pen.: e ciò per l'espresso richiamo a detto articolo, contenuto nel capoverso dell'art. 513 citato; con conseguente riferibilità di esso soltanto alle dichiarazioni rese dalle persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di testimone;

    che, inoltre, la lettura delle dichiarazioni rese dal “testimone assistito”, in caso di irripetibilità del suo esame, non avrebbe potuto ricondursi neppure all'art. 512 cod. proc. pen.: norma, questa, che consente la lettura, per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, degli «atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private, dal giudice nel corso dell'udienza preliminare», ma non la lettura – secondo il Tribunale rimettente − delle dichiarazioni rese davanti al giudice nel corso delle indagini preliminari;

    che, in proposito, non risulterebbe ammissibile il ricorso ad una interpretazione analogica in ragione della «natura eccezionale della norma citata», né ad un'interpretazione estensiva: quest'ultima sarebbe infatti impedita dalla constatazione che il legislatore ha, nell'analoga materia disciplinata dall'art. 513 cod. proc. pen., «espressamente previsto la lettura delle dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art. 210, comma 1, sia dinnanzi al giudice dell'udienza preliminare, sia davanti al giudice delle indagini preliminari», non esprimendo identica opzione nell'art. 512 cod. proc. pen.;

    che, in ragione di tali premesse, con l'originaria impugnativa di incostituzionalità, il Tribunale aveva ritenuto che la scelta del legislatore – di escludere «la lettura delle dichiarazioni rese dal teste assistito al giudice, nel corso delle indagini preliminari, nonostante la sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell'esame»; e di consentirla, invece, per le dichiarazioni rese, fuori del contraddittorio «ed in assenza di un giudice terzo», alla polizia giudiziaria ed al pubblico ministero, o, anche, per le dichiarazioni rese dai soggetti di cui all'art. 210 cod. proc. pen. − risultasse in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, palesandosi, oltre che irrazionale, lesiva del principio di eguaglianza; e che tale opzione normativa, inoltre, si ponesse in contrasto con i principi «del giusto processo e della non dispersione dei mezzi di prova acquisiti per l'accertamento della verità processuale», in violazione, pertanto, dell'art. 111 della Costituzione;

    che, nell'ordinanza di rimessione all'odierno esame, il Tribunale rileva come, a fronte di tale precedente dubbio di legittimità costituzionale, la Corte, con l'ordinanza n. 164 del 2003, abbia ritenuto manifestamente inammissibile la questione: ciò in ragione dell'impossibilità di desumere, dalla lettura dell'atto di rimessione, se le dichiarazioni successivamente divenute irripetibili «fossero state raccolte nell'ambito di un procedimento cumulativo a carico anche dell'attuale imputato o in un procedimento diverso»; così da rendere impossibile la valutazione della effettiva rilevanza della questione, per la possibile applicazione –  nell'ipotesi di dichiarazioni rese in altro procedimento –  del meccanismo normativo di acquisizione previsto dal comma 3 dell'art. 238 cod. proc. pen.;

    che, in proposito, il giudice a quo rileva come le dichiarazioni in questione siano state indubbiamente rilasciate «nel corso del medesimo procedimento in cui la questione di incostituzionalità della norma è stata sollevata», trattandosi di dichiarazioni compendiate nel verbale di interrogatorio espletato ai sensi dell'art. 294 cod. proc. pen. e relativo a misura cautelare emessa nel procedimento medesimo; e, a conferma, aggiunge che la sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., con la quale era stata definita irrevocabilmente la posizione processuale del dichiarante poi deceduto, recava il medesimo numero di procedimento di quello presente, nel quale costui risultava, in origine, coimputato;

    che, in ragione di tali ulteriori precisazioni, il Tribunale ritiene che, permanendo la rilevanza della questione già sollevata, la stessa «va pertanto nuovamente sottoposta al vaglio della Corte costituzionale per le medesime ragioni, in fatto ed in diritto, già esposte nell'ordinanza […] del 17- 10- 2001».

    Considerato che il Tribunale di Palermo dubita, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 512 del codice di procedura penale, nella parte in cui tale norma non consente di dare lettura, in dibattimento, delle dichiarazioni già rese al giudice per le indagini preliminari da soggetto che, successivamente, abbia assunto la veste di “testimone assistito” ai sensi dell'art. 197-bis cod. proc. pen., e delle quali sia sopravvenuta l'impossibilità di ripetizione;

    che il dubbio prospettato muove dalla ritenuta inapplicabilità, alla fattispecie all'esame del giudice rimettente, dei meccanismi di lettura, per sopravvenuta impossibilità di ripetizione, previsti sia dall'art. 512 cod. proc. pen., norma oggetto della censura, sia dall'art. 513 cod. proc. pen.;

    che, ad avviso del Tribunale rimettente, l'ipotesi della lettura delle dichiarazioni rese dal “testimone assistito” – quando per fatti o circostanze imprevedibili ne è divenuta impossibile la ripetizione – non sarebbe riconducibile all'art. 512 cod. proc. pen., poiché tale norma si riferisce ai soli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell'udienza preliminare, e non contempla le dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari; né la portata della norma potrebbe essere ampliata con il ricorso ad una interpretazione analogica – da escludersi in ragione della natura eccezionale di essa − ovvero estensiva: infatti, l'indicazione delle sole dichiarazioni rese al giudice dell'udienza preliminare manifesterebbe la precisa volontà legislativa di escludere quelle rese al giudice per le indagini preliminari, come dimostrato dalla diversa modulazione di contenuto dell'art. 513 cod. proc. pen., in analoga materia;

    che, d'altra parte, neppure l'art. 513 cod. proc. pen. sarebbe applicabile a tale situazione, perché la norma – richiamando espressamente, nel comma 2, il comma 1 dell'art. 210 cod. proc. pen., ed il meccanismo delle letture in esso sancito – riguarderebbe le sole dichiarazioni rese dalle persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente  e che non possono assumere l'ufficio di testimone;

    che la ritenuta inapplicabilità di quest'ultima disciplina si fonda, nella sequenza argomentativa del Tribunale rimettente, sul presupposto erroneo che, nell'ipotesi di specie, il dichiarante abbia già assunto la qualità di “testimone assistito”: e ciò, nonostante che la sua  audizione, in realtà, non abbia mai potuto aver luogo per la sopravvenienza della morte;

    che, infatti, la “qualifica” del dichiarante, proprio perché è funzionale alla dichiarazione dibattimentale, risulta meramente ipotetica prima di tale evenienza storica; solo all'atto della dichiarazione si potrà valutare la concreta veste formale rivestita dal soggetto: così da determinare le concrete modalità di svolgimento della prova dichiarativa e la serie degli eventuali e connessi adempimenti formali;

    che, allorquando tale “qualifica” non venga concretamente in rilievo, la mera potenzialità della sua acquisizione – peraltro, nella specie, definitivamente preclusa – non può ritenersi preminente sulla condizione processuale già effettivamente rivestita dal soggetto al momento in cui le dichiarazioni, poi divenute irripetibili, siano state rese: condizione, quest'ultima, nella specie definitivamente cristallizzata dalla morte del soggetto medesimo ed indifferente, pertanto, alla sequenza dei successivi eventi processuali;

    che infatti la qualifica del dichiarante – nella prospettiva del regime delle letture e, quindi, di una utilizzazione processuale estranea al contraddittorio – deve essere riguardata alla stregua della “condizione” processuale rivestita da quel soggetto al momento in cui le dichiarazioni sono state rese, giacché è proprio in funzione di questa condizione soggettiva che gli artt. 512 e 513 cod. proc. pen. hanno rispettivamente calibrato la corrispondente disciplina delle letture: il primo, con riferimento alla condizione delle persone informate sui fatti e che rivestiranno in dibattimento la qualità di testimoni (donde la mancata previsione di dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari nel corso delle indagini); il secondo, con riferimento a quella di soggetti a vario titolo ed in varia forma “compromessi” rispetto al tema del procedimento, e che perciò in sede dibattimentale assumeranno la qualità di dichiaranti diversa da quella del testimone “puro”;

    che, pertanto – poiché, nel caso di specie, al momento in cui le dichiarazioni sono state rese, il soggetto dichiarante era, come ribadito dallo stesso rimettente, coimputato nel medesimo procedimento – la questione all'esame del Tribunale ben può trovare soluzione nell'ambito di disciplina dell'art. 513 cod. proc. pen.: alla evidenziata condizione storica e processuale del dichiarante, in tale momento, non può creare ostacolo una diversa qualità dichiarativa meramente eventuale e mai effettivamente acquisita, atteso che si controverte della utilizzabilità, mediante lettura, di quelle dichiarazioni;

    che, di conseguenza, l'evocazione dell'art. 512 cod. proc. pen. – riferendosi ad un dichiarato di sicura matrice testimoniale –  risulta del tutto inconferente per la soluzione della quaestio all'esame del giudice rimettente; ed è infondato il relativo di dubbio di costituzionalità, logicamente imperniato sull'erroneo presupposto interpretativo della irrilevanza della pregressa qualità già rivestita dal dichiarante e della conseguente inapplicabilità dell'art. 513 cod. proc. pen.;

    che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative peri giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 512 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Palermo con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,  l'8 marzo 2006.

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2006.