SENTENZA N. 470
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 16 e 18, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), promosso dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, sul ricorso proposto da D. G. contro l’Ufficio scolastico regionale ed altro, con ordinanza del 31 agosto 2004, iscritta al n. 1040 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 30 novembre 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di un giudizio promosso da un docente di ruolo della scuola secondaria di secondo grado collocato a riposo avverso il provvedimento di liquidazione del trattamento provvisorio di pensione, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 16 e 18, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica).
Premette in punto di fatto il giudice remittente che il ricorrente aveva presentato le dimissioni in data 12 dicembre 1992, accolte dal Provveditore agli studi di Lecce con provvedimento del 27 ottobre 1993 a decorrere dal 1° settembre 1994. Nel frattempo era entrato in vigore l’art. 11 della legge n. 537 del 1993, i cui commi 16 e 18 stabiliscono alcune decurtazioni a carico delle pensioni di anzianità, già bloccate per effetto dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438. In particolare, il comma 16 dispone che, con effetto dal 1° gennaio 1994, «nei confronti di coloro che conseguono il diritto a pensione anticipata con un’anzianità contributiva inferiore a trentacinque anni, escluse le cause di cessazione dal servizio per invalidità, l’importo del relativo trattamento pensionistico, ivi compresa l’indennità integrativa speciale, è ridotto in proporzione agli anni mancanti al raggiungimento del predetto requisito contributivo, secondo le percentuali di cui alla allegata Tabella A»; il successivo comma 18, nel prevedere l’applicabilità di detta decurtazione ai pubblici dipendenti, esclude espressamente la posizione dei soggetti «la cui domanda di pensionamento sia stata accolta prima del 15 ottobre 1993 dalle competenti amministrazioni». Contestualmente, però, il comma 19 dell’art. 11 fa salva, «per coloro che abbiano presentato domanda di collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992 e che ne facciano domanda entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la possibilità di revocarla ovvero, qualora cessati dal servizio, di essere riammessi con la qualifica e con l’anzianità di servizio maturata all’atto del collocamento a riposo».
A seguito dell’entrata in vigore delle norme ora richiamate, la pensione liquidata in via provvisoria al ricorrente era stata decurtata nella misura del 32 per cento, con conseguente impugnazione del relativo provvedimento da parte dell’interessato.
Il giudice a quo osserva preliminarmente che non sussiste alcun dubbio circa la possibilità di sollevare questioni incidentali di legittimità costituzionale nei giudizi relativi alla liquidazione provvisoria delle pensioni, in quanto la norma ostativa di cui all’art. 64 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 38 del 1972 di questa Corte e la giurisprudenza contabile è ormai nel senso di ammettere il ricorso avverso il provvedimento di liquidazione provvisoria della pensione; nel caso specifico, poi, «deve ritenersi che il gravame proposto si estenda automaticamente al successivo provvedimento di liquidazione definitiva della pensione», che pure mantiene la decurtazione del trattamento imposta dalla normativa impugnata.
Fatte queste premesse, la Corte dei conti rileva che la difesa del ricorrente ha proposto numerose questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 16 e 18, della legge n. 537 del 1993, ma che le stesse – alla luce della sentenza n. 417 del 1996 di questa Corte, seguita dalla successiva ordinanza n. 92 del 1997 – sono da ritenere tutte infondate, siccome già oggetto di scrutinio nei menzionati provvedimenti. A parere del remittente, invece, deve essere sollevata d’ufficio un’ulteriore questione di legittimità costituzionale della norma impugnata che, oltre ad essere rilevante ai fini della decisione, non è stata in precedenza affrontata da questa Corte.
La nuova questione oggi proposta si collega, secondo il ragionamento seguito dal giudice a quo, a quella parte della motivazione della sentenza n. 417 del 1996 nella quale questa Corte – richiamando la facoltà di revoca della domanda di pensione prevista dal comma 19 dell’art. 11 in favore di coloro che abbiano presentato domanda di collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992 e che ne facciano domanda entro sessanta giorni – ha evidenziato che tale facoltà garantisce adeguatamente la posizione del soggetto evitando ogni lesione degli artt. 36 e 38 Cost.; secondo quella pronuncia, infatti, la decurtazione della pensione corrisponde ad una precisa scelta dell’interessato il quale, oltre ad inoltrare la relativa domanda, decide poi liberamente di non revocarla. Nel caso specifico, però, è proprio tale precisazione della sentenza n. 417 del 1996 a dimostrare la non manifesta infondatezza dell’attuale questione; infatti «i dipendenti pubblici che, come il ricorrente, hanno presentato, entro il 31 dicembre 1992, la propria domanda di collocamento a riposo – quindi accolta successivamente al 15 ottobre 1993 – non avevano la possibilità di revocare le dimissioni» ovvero, se cessati dal servizio, di chiedere la riammissione, poiché detta facoltà è prevista solo in favore di coloro i quali avessero inoltrato la domanda successivamente al 31 dicembre 1992. Da tanto consegue, a parere del remittente, che le ragioni che hanno indotto questa Corte a respingere tutti i dubbi di legittimità costituzionale sulla norma impugnata non possono valere per i dipendenti pubblici che si trovano nella condizione del ricorrente, il quale, avendo presentato domanda di pensionamento prima del 31 dicembre 1992, accolta dopo il 15 ottobre 1993, non ha avuto la possibilità di revocare la propria domanda.
Il sistema normativo in tal modo strutturato – oltre a violare gli artt. 36 e 38 Cost. a causa della negativa incidenza sul trattamento di pensione, oggetto di tutela costituzionale – sembra alla Corte dei conti in contrasto anche con l’art. 3 Cost. per due ordini di ragioni: da un lato, per palese irragionevolezza, poiché la disciplina, incidendo retroattivamente sui diritti degli interessati, ne lede il legittimo affidamento in ordine all’entità della pensione che essi si attendevano di conseguire; da un altro lato, perché in questo modo vengono equiparate, ai fini della decurtazione del trattamento di quiescenza, due situazioni evidentemente diverse, ossia quella di chi era ammesso alla revoca della propria domanda di pensionamento (in quanto presentata successivamente al 31 dicembre 1992) e quella di chi, al contrario, tale facoltà non poteva esercitare.
Il giudice remittente, pertanto, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 16 e 18, della legge n. 537 del 1993, nella parte relativa alla previsione della riduzione del trattamento di pensione «anche nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni che, avendo presentato domanda di collocamento in pensione entro il 31 dicembre 1992, non si sono conseguentemente potuti avvalere della facoltà di revocare le dimissioni (ovvero di chiedere la riammissione in servizio) prevista dal comma 19 dello stesso articolo».
In ordine alla rilevanza, il giudice a quo precisa che il ricorso può essere accolto – con conseguente ripristino della pensione senza alcuna decurtazione – soltanto qualora la presente questione di legittimità costituzionale venga dichiarata fondata, sicché sussiste il necessario carattere pregiudiziale del dubbio prospettato a questa Corte.
2.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.
Alla prima conclusione dovrebbe pervenirsi in quanto ogni eventuale lesione del principio di uguaglianza potrebbe, casomai, derivare dalle disposizioni del comma 19 dell’art. 11 della legge in esame – che è quello che limita la facoltà di revoca della domanda di pensione a coloro i quali hanno inoltrato la relativa domanda dopo il 31 dicembre 1992 – il quale, però, non è stato impugnato dal remittente.
Nel merito, peraltro, i dubbi prospettati dalla Corte dei conti sarebbero privi di fondamento alla luce della sentenza n. 417 del 1996 di questa Corte, nella quale è stato chiarito che il legislatore può legittimamente ridurre un trattamento pensionistico in precedenza previsto qualora ciò si renda necessario per esigenze di contenimento della spesa pubblica. Quanto, poi, alla limitazione temporale della facoltà di revoca della domanda di pensionamento – punto sul quale si focalizza l’attenzione del giudice remittente – l’Avvocatura dello Stato rileva che anche in questo caso non sussiste alcuna discriminazione, perché l’art. 11, comma 19, della legge n. 537 del 1993 è norma aggiuntiva rispetto a quelle, generali, che regolano l’istituto delle dimissioni. Ed in questa materia la giurisprudenza amministrativa già da tempo ha chiarito che, qualora il rapporto di impiego sia ancora in corso, l’accettazione delle dimissioni da parte dell’amministrazione non preclude l’eventuale successivo riesame delle medesime, qualora l’interessato intenda revocarle.
Considerato in diritto
1.— La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, in composizione monocratica, dubita, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 16 e 18, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), «nella parte in cui prevedono (rectius: non escludono) che la riduzione del trattamento pensionistico di cui alla tabella “A” allegata alla stessa legge si applichi nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni che hanno presentato domanda di collocamento in pensione entro il 31 dicembre 1992».
La remittente premette che il giudizio di cui si tratta è stato promosso da un insegnante – il quale il 12 dicembre 1992 aveva chiesto il collocamento anticipato in quiescenza ed aveva visto accogliere le sue dimissioni soltanto il 27 ottobre 1993, con decorrenza dal 1° settembre 1994 – avverso i provvedimenti con i quali è stata disposta nei suoi confronti la liquidazione, prima in via provvisoria e poi in via definitiva, della pensione di anzianità, facendo applicazione della decurtazione prevista dalle disposizioni censurate.
L’ordinanza di rimessione rileva che il comma 18 in oggetto stabilisce che le riduzioni delle pensioni di anzianità si applicano a coloro le cui dimissioni siano state accolte successivamente al 15 ottobre 1993, mentre il comma 19 dello stesso articolo attribuisce a coloro che si siano dimessi successivamente al 31 dicembre 1992 la facoltà di revocare il recesso anche nell’ipotesi in cui il rapporto si sia risolto a seguito dell’intervenuta accettazione delle dimissioni. Ne consegue, secondo il giudice a quo, che coloro i quali – come il ricorrente – abbiano presentato le dimissioni anteriormente al 31 dicembre 1992 e se le siano viste accogliere dopo il 15 ottobre 1993, sono costretti a subire la riduzione dell’importo della prestazione previdenziale, senza godere della facoltà di revocare il recesso alla stregua di una valutazione della normativa comportante effetti pregiudizievoli, intervenuta successivamente alla domanda di collocamento anticipato in quiescenza.
Alla luce di tali considerazioni la Corte dei conti sostiene la irragionevolezza del suindicato sistema normativo e quindi la violazione dell’art. 3 nonché degli artt. 36 e 38 della Costituzione.
2.— La questione è inammissibile.
La remittente è consapevole che le norme che essa censura sono state già sottoposte allo scrutinio di questa Corte, la quale ha dichiarato infondata la questione all’epoca sollevata in riferimento agli stessi parametri ora evocati (anche se sotto profili in parte diversi), nonché in riferimento all’art. 97 Cost. (sentenza n. 417 del 1996 e ordinanza n. 92 del 1997). Nell’ordinanza di rimessione si dà quindi atto che questa Corte ha ritenuto non irragionevole aver delimitato l’arco temporale di applicazione delle disposizioni prevedenti la riduzione delle pensioni di anzianità con riguardo alla data di accettazione delle dimissioni, atteso il carattere costitutivo di questa, e tuttavia si chiede una sentenza additiva che riconosca efficacia alla data di presentazione della domanda qualora essa sia anteriore al 31 dicembre 1992.
A tale scopo la remittente vorrebbe che, ad evitare le conseguenze della lentezza dell'amministrazione nel procedere all’accettazione delle dimissioni, si stabilisse che la riduzione della pensione non si applichi non soltanto a coloro le cui dimissioni siano state accettate prima del 15 ottobre 1993, ma anche ai dipendenti che abbiano presentato domanda prima del 31 dicembre 1992.
Tale data non è scelta a caso dal giudice a quo; essa, infatti, come si è detto, è stabilita nel comma 19 dell’art. 11 della legge n. 537 del 1993, il quale riconosce la facoltà di revoca della domanda di collocamento anticipato in pensione soltanto a favore di coloro che ne abbiano fatto richiesta in epoca successiva alla data indicata.
Secondo la ricorrente, quindi, soltanto nei confronti dei dipendenti cui è attribuita la suddetta facoltà di revoca può essere considerata legittima l’applicazione della riduzione della pensione liquidata a seguito di domanda risalente ad un momento precedente l’emanazione delle norme che l’hanno prevista.
Ora, a parte ogni possibile considerazione sull’infondatezza di tale tesi – sulla cui proposizione, del resto, influisce una lettura non corretta della sentenza n. 417 del 1996, con la quale la disciplina della revoca delle dimissioni, contenuta nel citato comma 19 dell’articolo 11 citato, fu ritenuta sufficiente ma non necessaria per negare l’illegittimità delle norme prevedenti la riduzione della pensione in quanto applicabili a seguito di domande precedenti la loro emanazione – la questione postula una sentenza additiva dal contenuto non costituzionalmente obbligato, tale da comportare l’introduzione di un elemento estraneo all’impianto normativo esistente e che perciò presuppone l’esercizio di valutazioni discrezionali che esulano dalle funzioni di questa Corte (v. ex plurimis, sentenza n. 109 del 2005 e ordinanze n. 260 e n. 273 del 2005).
A tal proposito si deve osservare che le disposizioni contenute nei commi 16 e 18 dell’art. 11 della legge n. 537 del 1993 e quella del comma 19 dello stesso articolo concernono istituti diversi. Le prime si riferiscono alla liquidazione della pensione di anzianità a favore di coloro che non abbiano raggiunto i trentacinque anni di contribuzione e ne circoscrivono l’ambito temporale di applicazione con riguardo alla completa realizzazione della fattispecie presupposta di risoluzione del rapporto di lavoro. Il comma 19 riguarda, invece, la facoltà di revoca della domanda di collocamento in quiescenza e quindi un atto che, negando la risoluzione del rapporto, esclude l’esistenza del presupposto per procedere alla liquidazione della pensione.
Dare rilievo, con riguardo all’applicazione delle norme sulla liquidazione della pensione, alla data di presentazione della domanda significa quindi introdurre un elemento estraneo alle modalità di liquidazione della prestazione previdenziale e proprio di altro istituto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 16 e 18, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2005.
Annibale MARINI, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2005.