Ordinanza n. 463 del 2005

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ORDINANZA N. 463

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Annibale                 MARINI                                            Presidente

- Franco                    BILE                                                  Giudice

- Giovanni Maria      FLICK                                                     "

- Francesco               AMIRANTE                                            "

- Ugo                        DE SIERVO                                            "

- Romano                  VACCARELLA                                      "

- Paolo                      MADDALENA                                       "

- Alfio                       FINOCCHIARO                                     "

- Alfonso                  QUARANTA                                          "

- Franco                    GALLO                                                   "

- Luigi                       MAZZELLA                                           "

- Gaetano                  SILVESTRI                                             "

- Sabino                    CASSESE                                                "

- Maria Rita              SAULLE                                                  "

- Giuseppe                TESAURO                                               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2, e 13, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 26 novembre 2003 dal Tribunale di Vicenza, sul ricorso proposto da L.A.C. contro il Prefetto di Vicenza, iscritta al n. 255 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2004.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 16 novembre 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

 

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Vicenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 2, e 5, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevedono che l’omessa richiesta, da parte dello straniero, del permesso di soggiorno nel termine di otto giorni lavorativi dall’ingresso in Italia, comporti – anche quando l’ingresso sia avvenuto legittimamente e sussistano le condizioni per l’ottenimento del predetto permesso – l’automatica emissione del decreto di espulsione, senza una preventiva valutazione della sussistenza delle condizioni per il rilascio del titolo di soggiorno;

 

che il giudice a quo premette di essere investito del ricorso proposto da un cittadino rumeno avverso il decreto prefettizio di espulsione emesso nei suoi confronti ai sensi dell’art. 13, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 286 del 1998, per non aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine previsto dall’art. 5, comma 2, del medesimo decreto legislativo;

che il rimettente reputa infondato il primo dei motivi di ricorso, afferente all’asserita violazione dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prevede che, contestualmente al rilascio del visto di ingresso, l’autorità consolare debba consegnare allo straniero che sta per recarsi in Italia una comunicazione scritta in lingua conosciuta dall’interessato, recante l’indicazione degli obblighi relativi all’ingresso ed al soggiorno nel territorio nazionale;

che tale disposizione risulterebbe difatti inapplicabile nella specie, posto che i cittadini rumeni possono fare ingresso in Italia, per ragioni di turismo, senza necessità del visto, con conseguente assenza del contatto preventivo tra lo straniero e l’autorità consolare italiana che il citato art. 4, comma 2, presuppone, ai fini della consegna della comunicazione in parola;

che in adesione al secondo motivo di ricorso, il rimettente ritiene, per contro, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), in relazione all’art. 5, comma 2, del d.lgs. suddetto, in quanto, nel caso di specie, il ricorrente, da un lato, avrebbe omesso di presentare la richiesta del permesso di soggiorno prevista dall’art. 5; ma, dall’altro, si troverebbe comunque nelle condizioni per ottenerne il rilascio, avendo fatto ingresso nel territorio dello Stato legittimamente ed essendosi ivi trattenuto per motivi turistici;

che in simile situazione, l’automatica adozione del decreto di espulsione – prefigurata dall’art. 13, comma 2, lettera b), per il caso di mancata richiesta del permesso nel termine prescritto – farebbe sì che lo straniero resti soggetto, per una «violazione meramente formale», alla «gravissima» sanzione del divieto di reingresso in Italia per dieci anni (divieto previsto, nei confronti dello straniero espulso, dai commi 13 e 14 dello stesso art. 13);

che le norme impugnate si porrebbero conseguentemente in contrasto con i doveri di solidarietà cui è riferimento nell’art. 2 Cost., impedendo l’esercizio dei diritti dello straniero nel territorio dello Stato, nel quale egli sia legittimamente entrato e nel quale possa legittimamente restare, essendo in possesso dei prescritti requisiti: contrasto che risulterebbe, d’altra parte, tanto più evidente allorché – come nel caso di specie – a fronte dell’esenzione dal visto di ingresso e della conseguente inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, lo straniero non venga preventivamente informato degli obblighi relativi al soggiorno in Italia, in particolare per quanto attiene ai termini brevi e rigorosi di presentazione della richiesta di permesso di soggiorno;

che le disposizioni denunciate violerebbero, inoltre, l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento dell’ipotesi considerata rispetto a quella, da ritenersi omologa, della ritardata presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno; fattispecie, quest’ultima, nella quale – secondo la giurisprudenza di legittimità – la legge non consente l’espulsione automatica dello straniero qualora sussistano le condizioni sostanziali per la sua permanenza nel territorio dello Stato: condizioni che l’autorità amministrativa è tenuta pertanto a verificare, configurandosi il ritardo nella presentazione della domanda come un mero «indice rivelatore» da valutare nell’ambito della complessiva situazione in cui versa l’interessato;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

Considerato che il Tribunale di Vicenza dubita della legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 2, e 5, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui prevedono l’automatica espulsione dello straniero che – essendo legittimamente entrato nel territorio dello Stato – abbia omesso di richiedere il permesso di soggiorno nel termine prescritto, anziché subordinare l’adozione del provvedimento espulsivo alla previa verifica della insussistenza delle condizioni per il rilascio del permesso: disciplina, questa, che contrasterebbe, in assunto, con gli artt. 2 e 3 Cost.;

 

che, quanto al primo dei parametri evocati, questa Corte ha peraltro già avuto modo di affermare che l’«automatismo espulsivo» – previsto dall’art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, una volta accertati i presupposti ivi indicati – non viola l’indicato precetto costituzionale, in quanto «altro non è che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce anche per gli stranieri presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa» (ordinanze n. 146 e n. 200 del 2002; cfr., altresì, in riferimento alla previgente disciplina, sentenza n. 353 del 1997);

 

che non assume d’altro canto rilievo, in senso contrario, la circostanza che – a fronte dell’eventuale esenzione dal visto d’ingresso e della conseguente inapplicabilità dell’art. 4, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998 – allo straniero non vengano preventivamente illustrati dall’autorità consolare o diplomatica i doveri connessi all’ingresso e al soggiorno in Italia, stante l’obbligo di informazione riguardo a tali doveri che comunque grava su chi intenda recarsi in un paese (per lui) estero;

 

che quanto, poi, all’asserita lesione dell’art. 3 Cost., è evidente come le due situazioni che il giudice a quo pone a raffronto – omessa presentazione della richiesta del permesso di soggiorno, da un lato; tardiva presentazione della domanda di rinnovo del permesso, dall’altro – siano tra loro eterogenee sotto due distinti e concorrenti profili, e come tali non comparabili al fine di desumerne una violazione del principio di eguaglianza;

 

che diversa è, anzitutto, la rilevanza dell’obbligo rimasto inadempiuto: altro essendo l’obbligo di chiedere per la prima volta il permesso di soggiorno; altro quello di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno già ottenuto, posto che nel secondo caso – come rimarca anche l’Avvocatura dello Stato – vi è già stato un esame positivo dell’autorità amministrativa circa la condizione personale dello straniero;

 

che, proprio in correlazione a ciò, il legislatore ha del resto regolato in modo differenziato le due inadempienze; infatti, mentre alla mancata richiesta del permesso di soggiorno nel termine segue senz’altro l’espulsione (art. 13, comma 2, lettera b, del d.lgs. n. 286 del 1998), nel caso, invece, della mancata presentazione dell’istanza di rinnovo – istanza che, ai sensi dell’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, deve essere formulata in anticipo (di regola, trenta giorni) rispetto alla scadenza del permesso – lo stesso art. 13, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 286 del 1998 prevede, invece, un «termine di tolleranza» di sessanta giorni da tale scadenza per consentire all’interessato di porre rimedio alla sua inerzia, prima che venga adottato il provvedimento espulsivo;

 

che le situazioni poste a confronto divergono, per altro verso, anche sotto il profilo del tipo di violazione, posto che nell’un caso si discute della tardiva presentazione della domanda (di rinnovo); nell’altro della totale omissione della richiesta (di permesso);

 

che sotto quest’ultimo aspetto, d’altra parte, la prospettazione del giudice rimettente si espone ad una obiezione dirimente;

 

che in linea di principio, difatti, la previsione normativa in forza della quale lo straniero, pur regolarmente entrato nel territorio nazionale, è abilitato a trattenersi in esso solo ove si munisca di apposito permesso − da richiedere alla competente autorità amministrativa entro un termine perentorio, sotto minaccia di espulsione − rappresenta, di per sé, espressione non irragionevole della discrezionalità che al legislatore compete nella regolamentazione del fenomeno dei flussi migratori;

 

che, ciò posto, è di immediata evidenza come l’accoglimento del petitum del giudice a quo finirebbe per svuotare di significato, non solo la fissazione del termine perentorio, ma addirittura – e più a monte – la stessa previsione dell’obbligo di chiedere il permesso di soggiorno;

 

che ove venisse recepita, infatti, la soluzione auspicata dal giudice a quo, l’autorità amministrativa, una volta accertata l’omessa presentazione della domanda, dovrebbe in pratica comportarsi come se essa fosse stata presentata, verificando se lo straniero sia comunque in possesso dei requisiti per il rilascio del permesso: il che equivarrebbe a completa vanificazione dell’obbligo;

 

che la stessa giurisprudenza di legittimità richiamata dal giudice rimettente ha, del resto, puntualmente evidenziato – con riguardo al distinto e, per quanto detto, meno pregnante obbligo di rinnovo del permesso di soggiorno – l’esigenza di discriminare l’ipotesi della tardiva presentazione della domanda di rinnovo da quella della totale omissione della stessa: e ciò proprio per evitare un corrispondente scardinamento del meccanismo prefigurato dal legislatore;

 

che, in particolare, le Sezioni unite della Corte di cassazione non hanno mancato di sottolineare come l’affermata esclusione dell’automatismo espulsivo, nel caso di spontanea presentazione tardiva della domanda di rinnovo, non implichi alcuna elusione dei termini fissati dalla legge per l’ordinato svolgimento del procedimento di rinnovo del permesso di soggiorno, proprio perché «l’inutile decorso del termine di tolleranza non è privo di effetti ma consente pur sempre l’avvio di ufficio della procedura di espulsione dello straniero che non abbia presentato (la) domanda» (cfr. sentenza 20 maggio 2003, n. 7892);

 

che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 2, e 5, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dal Tribunale di Vicenza con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 14 dicembre 2005.

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Giovanni Maria FLICK, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2005.