Ordinanza n. 402 del 2005

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ORDINANZA N. 402

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Piero Alberto CAPOTOSTI             Presidente

-  Fernanda        CONTRI                      Giudice

-  Guido            NEPPI MODONA                “

-  Annibale        MARINI                                “

-  Franco            BILE                                      “

-  Giovanni Maria FLICK                                “

-  Francesco       AMIRANTE                          “

-  Ugo                DE SIERVO                          “

-  Romano         VACCARELLA                   “

-  Paolo              MADDALENA                     “

-  Alfio              FINOCCHIARO                   “

-  Alfonso          QUARANTA                        “

-  Franco            GALLO                                 “

-  Luigi              MAZZELLA                         “

-  Gaetano         SILVESTRI                           “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, quarto comma, del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, promosso con ordinanza del 6 marzo 1985 dalla Commissione tributaria di primo grado di Napoli, nella controversia vertente tra S.p.a. Commerciale Frattina ed altri e l'Ufficio provinciale IVA di Napoli iscritta al n. 2 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2005.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 28 settembre 2005 il Giudice relatore Franco Gallo.

    Ritenuto che nel corso di un giudizio, promosso da cinque contribuenti avverso il silenzio rifiuto dell'Ufficio provinciale IVA di Napoli, formatosi su altrettante domande di rimborso relative all'imposta sul valore aggiunto dell'anno 1981, la Commissione tributaria di primo grado di Napoli, con ordinanza del 6 marzo 1985, pervenuta a questa Corte solo il 5 gennaio 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, quarto comma, del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, «nella parte in cui prevede la non applicazione per l'anno 1981 ed eventualmente per i precedenti anni, della definizione automatica solo a carico di coloro che hanno presentato la dichiarazione 1981 a credito con richiesta di computazione del credito in detrazione nell'anno successivo e nella parte in cui tale definizione è ammessa qualora in sede di dichiarazione integrativa si rinunzi all'eventuale residuo credito che, in ogni caso deve superare lire 200.000 per periodo di imposta e, se inferiore, deve essere integrato fino alla predetta somma»;

     che la Commissione rimettente premette che i ricorrenti – dopo aver presentato la dichiarazione IVA per il 1981 chiusa a credito con opzione di computo in detrazione nell'anno successivo dell'intera eccedenza – avevano presentato dichiarazione integrativa, volta alla definizione automatica dell'IVA per gli anni dal 1977 al 1981 ai sensi dell'art. 28 del citato d.l. n. 429 del 1982, ed avevano contestualmente rinunciato, in base all'espresso disposto di tale norma, al residuo credito dell'IVA per l'anno 1981 portato in detrazione nel 1982, al netto dell'imposta integrativa dovuta per il condono;

    che gli stessi ricorrenti – prosegue la Commissione tributaria – avevano in seguito inutilmente richiesto al competente Ufficio IVA il rimborso dei crediti rinunciati, deducendo l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., della suddetta norma di condono che impone la rinuncia quale condizione per l'accesso alla definizione automatica dell'imposta;

    che, quanto alla rilevanza della sollevata questione, il giudice rimettente afferma che «le domande proposte non possono essere accolte se non disapplicando il testuale e chiaro disposto dell'art. 28 sopra citato che condiziona la definizione automatica delle pendenze IVA per i contribuenti che abbiano fatto richiesta di computazione dell'intera eccedenza del credito di imposta in detrazione nell'anno successivo, come appunto hanno fatto i ricorrenti, alla rinuncia del loro credito; onde il pagamento delle somme rinunciate non può essere ritenuto spettante ove la remissione del debito operata in corrispettivo del richiesto beneficio fiscale non sia ritenuta priva di causa»;

     che, quanto alla non manifesta infondatezza, secondo lo stesso giudice a quo la disciplina di cui alla norma censurata, «attraverso la determinazione di una categoria» di contribuenti «classificata sulla base di un elemento del tutto casuale e privo comunque di significato», discriminerebbe irrazionalmente ed ingiustificatamente, nell'accesso alla definizione automatica, i contribuenti, che nella dichiarazione annuale del 1981 chiusa a credito hanno scelto di computare l'importo dell'intera eccedenza in detrazione nell'anno successivo, rispetto a quelli che nella dichiarazione medesima hanno invece optato per il rimborso dell'eccedenza detraibile, subordinando l'accesso alla predetta definizione dei primi all'«onere aggiuntivo», non imposto ai secondi, della rinuncia all'eventuale residuo credito risultante dalla determinazione dell'imposta integrativa;

     che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la dichiarazione di infondatezza della questione;

     che, ad avviso della difesa erariale, il presupposto alla base della sollevata questione sarebbe  erroneo, sia perché anche i contribuenti che avessero optato per il rimborso immediato dell'eccedenza detraibile e deciso di avvalersi del condono si troverebbero nella medesima situazione di perdita del loro credito, in ragione della natura «transattiva» della domanda di condono e dell'effetto di definizione automatica della dichiarazione integrativa, con conseguente estinzione del credito stesso; sia perché l'espresso riferimento della norma denunciata ai soli contribuenti che avessero optato per il riporto dell'intera eccedenza nel 1982 troverebbe giustificazione nel fatto che, con tale opzione, il credito stesso sarebbe entrato a far parte della dichiarazione successiva ai periodi d'imposta interessati dal condono; sicché, al fine di impedire la riscossione del credito dell'IVA relativo al 1981 nell'anno o negli anni successivi, il legislatore avrebbe previsto che il contribuente debba espressamente rinunciarvi.

     Considerato che la Commissione tributaria di primo grado di Napoli dubita, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, della legittimità dell'art. 28, quarto comma (rectius: quarto comma, primo e secondo periodo), del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, «nella parte in cui prevede la non applicazione per l'anno 1981 ed eventualmente per i precedenti anni, della definizione automatica solo a carico di coloro che hanno presentato la dichiarazione 1981 a credito con richiesta di computazione del credito in detrazione nell'anno successivo e nella parte in cui tale definizione è ammessa qualora in sede di dichiarazione integrativa si rinunzi all'eventuale residuo credito che, in ogni caso deve superare lire 200.000 per periodo di imposta e, se inferiore, deve essere integrato fino alla predetta somma»;

     che il denunciato art. 28 del d.l. n. 429 del 1982 disciplina i presupposti e le condizioni della definizione automatica dell'imposta sul valore aggiunto per gli anni dal 1977 al 1981 nell'ipotesi – oggetto del presente giudizio – in cui non siano stati notificati avvisi di accertamento e stabilisce che l'imposta integrativa sia determinata aumentando quella risultante dovuta in base a ciascuna dichiarazione originaria annuale di un importo pari alla somma del 2 per cento (o del 4 per cento per i contribuenti minori) dell'imposta relativa alle operazioni imponibili effettuate in ogni periodo di imposta e del 2 (o del 4) per cento dell'imposta detraibile nel medesimo periodo (secondo comma, prima e seconda proposizione);

     che, in particolare, relativamente al periodo d'imposta 1981 chiuso a credito, la norma censurata subordina, attraverso il combinato disposto del primo e secondo periodo del quarto comma di detto articolo 28, l'accesso alla definizione automatica dei contribuenti che hanno optato per il computo in detrazione nell'anno 1982 dell'intera eccedenza alla condizione che gli stessi rinuncino all'eventuale residuo credito risultante dalla differenza tra l'importo del credito indicato nella dichiarazione annuale e l'ammontare dell'integrazione relativa a tutti i periodi d'imposta definiti;

     che tale condizione non è prevista per l'ipotesi in cui la definizione automatica è chiesta dai contribuenti che hanno optato per il rimborso della predetta eccedenza, ai sensi dell'art. 30, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), nel testo vigente nel 1981;

     che, secondo la Commissione rimettente, tale differenziata disciplina discriminerebbe in modo «del tutto casuale e privo [...] di significato» i contribuenti che nella dichiarazione annuale del 1981 chiusa a credito hanno scelto di computare in detrazione nell'anno successivo l'importo dell'intera eccedenza, rispetto a quelli che nella dichiarazione medesima hanno invece optato per il rimborso, e ciò ancorché ambedue le categorie di contribuenti abbiano l'identica posizione di creditori verso l'erario;

     che la questione è manifestamente infondata, perché, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, la denunciata disparità di trattamento trova giustificazione nella diversità delle situazioni poste a raffronto dal rimettente, avuto riguardo alle differenti modalità di realizzazione del credito del contribuente ed alla loro diversa influenza sul perseguimento delle finalità proprie del condono c. d. “tombale” di cui al citato art. 28 del d. l. n. 429 del 1982;

     che, nel caso di opzione per il rimborso del credito dell'IVA relativo al 1981, il legislatore, nella sua discrezionalità, ha scelto di non subordinare il condono alla rinuncia del credito e di tener fermo il potere di accertamento, e ciò in ragione sia della non implausibile previsione della minor frequenza di tale tipo di opzione (di regola meno favorevole al contribuente, perché comportante un non immediato soddisfacimento del credito), sia del fatto che l'esercizio del suddetto potere si inserisce, anche nell'ipotesi di intervenuto condono, nell'àmbito di un distinto procedimento promosso ad iniziativa del contribuente (art. 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo all'epoca vigente) ed è pertanto necessariamente funzionale al riconoscimento od al diniego del richiesto rimborso (il potere di accertamento è riconosciuto dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 6429 del 1996 e n. 9646 del 1994, proprio con riguardo a fattispecie di rimborso regolate dalla disposizione censurata, ed è stato ribadito da questa Corte con l'ordinanza n. 340 del 2005, con riferimento alla particolare ipotesi di richiesta di rimborso di un credito derivante da operazioni inesistenti, in relazione al condono di cui all'art. 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003»);

     che invece, nel caso di opzione per il computo nell'anno 1982 dell'intera eccedenza, lo stesso legislatore del condono ha ritenuto di escludere in radice l'esercizio del potere di accertare la sussistenza del credito portato in detrazione, e ciò perché, a differenza dell'ipotesi di richiesta di rimborso, tale esercizio avrebbe riguardato la correttezza dell'immediata estinzione satisfattiva del credito medesimo, conseguente all'operare del peculiare meccanismo automatico della compensazione, ed avrebbe richiesto, quindi, una onerosa e più diffusa attività di controllo;

    che tale attività avrebbe frustrato la finalità, propria del condono “tombale” in esame, di definizione semplificata, spedita e globale delle pendenze tributarie (in tal senso, sulle finalità dei condoni fiscali, v., ex plurimis, le sentenze n. 33 del 1981, n. 172 del 1986 e n. 321 del 1995; nonché le ordinanze n. 361 del 1992 e n. 550 del 2000);

    che, pertanto, non è irragionevole né arbitrario che il legislatore, intendendo prioritariamente perseguire questa finalità, abbia preferito in quest'ultimo caso condizionare l'accesso al condono alla rinunzia al credito dell'IVA del 1981, piuttosto che riconoscere il credito stesso previa puntuale verifica della sua sussistenza o, addirittura, senza alcuna verifica;

    che, infine, l'evocazione dell'art. 53, primo comma, Cost. è palesemente non pertinente, perché tale parametro concerne la disciplina sostanziale dei tributi, mentre la denunciata normativa sul condono riguarda la disciplina della definizione delle pendenze tributarie (v., ex plurimis, la sentenza n. 172 del 1986, già citata).

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, quarto comma, primo e secondo periodo, del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Napoli con l'ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2005.