ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2948, numero 4, del codice civile, promosso dalla Corte d'appello di Genova, nei procedimenti civili riuniti vertenti tra la Casa della Pasta di Aragno Mario & C. s.n.c. ed altro e V. S., con ordinanza del 7 luglio 2004, iscritta al n. 849 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto il pagamento di differenze retributive connesse allo svolgimento di due rapporti di lavoro (di cui era stata accertata la durata, con sentenza non definitiva, dal 9 settembre 1988 all'8 luglio 1989 e dal 5 agosto 1991 al 21 aprile 1995), la Corte d'appello di Genova, con ordinanza del 7 luglio 2004, ha sollevato, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2948, numero 4, del codice civile, «nella parte in cui consente che durante il rapporto di lavoro non assistito dalla garanzia di stabilità decorra la prescrizione del diritto alla retribuzione sorto in forza di precedente rapporto di lavoro subordinato intercorso fra le medesime parti»;
che la Corte remittente specifica che l'appellante ha eccepito la prescrizione dei crediti vantati con riferimento al periodo anteriore al 31 marzo 1993 (quinquennio anteriore alla costituzione in mora del 31 marzo 1998) e che tale eccezione, se accolta, condurrebbe a ritenere interamente prescritti i crediti sorti in relazione al primo rapporto lavorativo intercorso fra il 9 settembre 1988 e l'8 luglio 1989;
che il giudice a quo aggiunge che seguendo, invece, la tesi sostenuta dal giudice di primo grado circa la sospensione del decorso della prescrizione dei crediti, maturati in forza del primo rapporto, durante la esecuzione del secondo (essendo pacifico in causa che nessuno dei due rapporti era stato caratterizzato dalla garanzia di stabilità), tale eccezione – riproposta in appello – dovrebbe essere respinta;
che, tuttavia, opina la Corte d'appello di Genova, deve ritenersi principio di “diritto vivente” l'assunto secondo il quale il successivo rapporto di lavoro subordinato non ha alcun effetto sospensivo del decorso della prescrizione dei crediti sorti in virtù di un precedente rapporto di lavoro subordinato fra le stesse parti e cita, in proposito, la sentenza n. 575 del 16 gennaio 2003 delle sezioni unite della Corte di cassazione in cui è stata esclusa ogni efficacia sospensiva degli intervalli temporali intercorrenti tra diversi rapporti di lavoro a termine legittimi ed efficaci che si succedano nel tempo, con la conseguenza che il termine prescrizionale dei crediti retributivi inizia a decorrere per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza e per quelli che vengono a maturazione alla cessazione del rapporto a partire da tale momento;
che, pur riguardando la citata sentenza l'ipotesi della successione di rapporti a termine, il giudice a quo, tenuto conto della relativa motivazione e dei termini del contrasto che essa ha composto, ne ritiene estensibile la ratio (anche sulla base dell'evoluzione della giurisprudenza di legittimità sul punto) alla diversa situazione – attualmente in esame – di successione fra le stesse parti di più contratti a tempo indeterminato;
che, però, tale soluzione appare al giudice remittente, oltre che preclusiva di una diversa interpretazione conforme a Costituzione, in contrasto con l'art. 36 Cost., per gli stessi motivi posti a base della sentenza di questa Corte n. 63 del 1966, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità della disposizione ora censurata, unitamente a quelle degli articoli 2955, numero 2, e 2956, numero 1, cod. civ., nella parte in cui, nei rapporti di lavoro subordinato non caratterizzati dalla «resistenza» tipica del rapporto di impiego pubblico, consentivano il decorso della prescrizione durante l'esecuzione del rapporto di lavoro, in quanto il timore del lavoratore di essere licenziato costituisce un ostacolo materiale (dovuto alla situazione psicologica di sudditanza) che impedisce di far valere il diritto alla retribuzione, creando così una situazione del tutto analoga a quella della rinuncia, la cui invalidità è sancita dall'art. 36 della Costituzione;
che la Corte d'appello di Genova ritiene che la ratio decidendi della citata sentenza è applicabile anche all'ipotesi di cui al giudizio a quo, posto che nel caso di successione fra le stesse parti di più contratti a tempo indeterminato non caratterizzati dalla stabilità del posto di lavoro, la condizione psicologica del lavoratore, durante i contratti successivi, sarebbe caratterizzata dal medesimo metus nei confronti del datore di lavoro a fronte della possibilità di essere licenziato, sia che il lavoratore intenda far valere diritti sorti dal rapporto in corso di esecuzione, sia che intenda far valere diritti sorti in un precedente rapporto di lavoro subordinato e che vengano a maturazione durante la permanenza del vincolo di subordinazione, seppure in forza di un nuovo contratto, non essendo chiaro «come possa sostenersi che il dipendente si trovi, contestualmente, in condizioni di sudditanza psicologica in relazione ai crediti sorti dal rapporto in corso, e non lo sia, viceversa, per i crediti sorti in un precedente rapporto, dato che la fonte del metus, cioè il timore di essere licenziato, è assolutamente identica in entrambe le situazioni»;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità della questione, in quanto la norma che eventualmente non consentirebbe al lavoratore di far valere la propria pretesa non è quella impugnata – che pone il termine prescrizionale breve, che indubitabilmente conserva la propria validità – bensì quella che non ne consente la sospensione, limitandone i casi alle sole ipotesi di cui ai numeri da 1 a 8 dell'art. 2941 cod. civ., sicché più correttamente avrebbe dovuto essere censurata quest'ultima norma, posto che nella fattispecie in esame il termine prescrizionale – se pur sospeso fino alla conclusione del rapporto – ha successivamente iniziato il proprio decorso;
che inoltre il giudice a quo avrebbe prospettato la questione sulla base di un'interpretazione della norma che non sarebbe l'unica possibile, essendone perfettamente ipotizzabile altra (in ipotesi) conforme al dettato costituzionale;
che sostiene, altresì, l'Autorità intervenuta che l'orientamento, ormai consolidato, è relativo alla diversa questione della efficacia sospensiva sulla prescrizione degli intervalli di tempo intercorrenti tra un rapporto lavorativo e quello successivo, questione diversa da quella in esame, «che attiene invece all'eventuale apertura di un nuovo ed ulteriore periodo parentetico nel decorso della prescrizione all'atto della costituzione di un nuovo rapporto e per tutta la durata dello stesso», sulla quale «non consta che ad oggi si sia formato un orientamento consolidato»;
che, inoltre secondo l'Avvocatura, la Corte remittente non si darebbe dovutamente carico del problema se, nel caso di specie, si sia effettivamente in presenza di un rapporto non assistito dalle garanzie della stabilità, presupposto indispensabile affinché la questione, per come prospettata, assuma il requisito della rilevanza;
che nel merito, poi, la questione sarebbe infondata, atteso che non sembra ravvisabile un automatico parallelismo tra il metus vissuto dal lavoratore nel corso di un unico rapporto e la situazione psicologica vissuta dal medesimo dipendente riassunto, che può avere le più varie connotazioni.
Considerato che la Corte d'appello di Genova, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 2948, numero 4, del codice civile, «nella parte in cui consente che durante il rapporto di lavoro subordinato non assistito dalla garanzia di stabilità decorra la prescrizione del diritto alla retribuzione sorto in forza di precedente rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le medesime parti»;
che la Corte remittente espone che davanti ad essa pende giudizio civile avente ad oggetto, tra l'altro, la pretesa di un soggetto a crediti retributivi insorti in un rapporto a tempo indeterminato intrattenuto nei confronti dello stesso datore di lavoro con il quale ha successivamente instaurato altro rapporto sempre a tempo indeterminato;
che il giudice a quo afferma che la prescrizione sarebbe compiuta qualora si ammettesse il suo decorso durante lo svolgimento del secondo rapporto di lavoro;
che la motivazione sulla rilevanza è pertanto plausibile e che la questione è ammissibile;
che, per sostenerne la fondatezza, la Corte genovese adduce l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, da considerare quindi “diritto vivente”, secondo il quale la norma della non decorrenza della prescrizione relativa a crediti retributivi nati in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato privo della garanzia della stabilità (cfr. sentenza n. 63 del 1966), nel perdurare dello stesso rapporto, non si applica alla diversa ipotesi di fatto della possibile decorrenza del tempo di prescrizione dei crediti retributivi concernenti un rapporto di lavoro non stabile e a tempo indeterminato durante lo svolgimento di altro rapporto tra le stesse parti avente le medesime caratteristiche del primo;
che la Corte remittente considera “diritto vivente” il principio affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 575 del 2003 e dalla successiva giurisprudenza formatasi in aderenza ad essa;
che, contrariamente a quanto ritiene l'ordinanza di rimessione, le sezioni unite hanno enunciato il principio cui essa si riferisce componendo un contrasto che si era verificato in giurisprudenza nella ipotesi di successione di contratti stagionali e quindi non a tempo indeterminato;
che il principio enunciato dalle sezioni unite si fonda proprio sulle peculiarità della situazione in cui erano nate le controversie e con specifico riferimento ad esse;
che del tutto irrilevante è il fatto che nell'esposizione storica dei precedenti le sezioni unite abbiano incluso anche casi di pluralità di rapporti a tempo indeterminato, perché l'effettivo contenuto di un orientamento giurisprudenziale non va individuato dando rilievo ad ininfluenti circostanze marginali, bensì all'effettiva ragione del decidere identificata alla stregua degli specifici termini della controversia;
che nella giurisprudenza successiva alla pronuncia citata delle sezioni unite si rinvengono anche sentenze le quali, in ipotesi di successione di rapporti a tempo indeterminato tra le stesse parti, hanno fatto applicazione del diverso principio, la cui affermazione è auspicata dal giudice a quo;
che la tesi di quest'ultimo è quindi viziata da errore nella ricognizione del “diritto vivente” e quindi sul presupposto interpretativo;
che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2948, numero 4, del codice civile, sollevata, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2005.