ORDINANZA N. 316
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 1, 2, dal 25 al 28, dal 32 al 37, del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, promossi con n. 5 ordinanze del 14 settembre e n. 2 ordinanze del 15 settembre 2004 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verona rispettivamente iscritte ai nn. da 1083 a 1089 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che, con cinque ordinanze rese in data 14 settembre 2004 (reg. ord. nn. 1083, 1084, 1085, 1086 e 1087 del 2004), e con due ordinanze rese il 15 settembre 2004 (reg. ord. nn. 1088 e 1089 del 2004), di contenuto sostanzialmente identico, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verona ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1, 2, 25, 26, 27, 28, 32-37, della legge 24 novembre 2003, n. 326 (recte: del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), per contrasto con gli artt. 1, 3, 9, secondo comma, 32, primo comma, 54, 79, primo comma, e 112 della Costituzione;
che il rimettente premette che nell’ambito di taluni procedimenti penali nei confronti di soggetti imputati per reati edilizi, il pubblico ministero ha chiesto l’emanazione di decreto penale di condanna, e tale richiesta non appare prima facie infondata, mentre in altri procedimenti concernenti la medesima tipologia di reati, egli ritiene di non dover accogliere la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero;
che, in tutti i casi, si tratterebbe di procedimenti penali per reati edilizi relativi all’esecuzione, non ritualmente assentita, di «opere condonabili» ai sensi della normativa censurata: in alcuni casi (procedimenti di cui alle ordinanze nn. 1084, 1085 e 1087 del 2004), oggetto dell’imputazione sarebbero opere eseguite in «zona vincolata», con conseguente violazione – espressamente indicata nelle ordinanze n. 1084 e n. 1085 – anche dell’art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352);
che, ad avviso del rimettente, i procedimenti dovrebbero essere sospesi per effetto dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, il quale richiama i capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), e dunque anche l’art. 44 di tale legge, che prescrive la sospensione dei procedimenti giurisdizionali in corso, fino alla scadenza del termine per la presentazione della domanda relativa alla definizione dell’illecito edilizio;
che, tuttavia, l’art. 32 citato porrebbe dubbi sulla sua legittimità costituzionale, già peraltro sollevati dal rimettente con alcune ordinanze in data 5 dicembre 2003, rispetto alle quali questa Corte, con l’ordinanza n. 197 del 2004, ha disposto la restituzione degli atti al rimettente, perché valutasse la perdurante rilevanza delle questioni nei giudizi a quibus, a seguito della modificazione della norma censurata conseguente alla sentenza, di parziale accoglimento, n. 196 del 2004;
che il rimettente osserva che la perdurante rilevanza delle questioni sollevate si giustificherebbe in relazione alla circostanza che con la richiamata sentenza n. 196 del 2004 questa Corte non avrebbe deciso sulle specifiche questioni sollevate con le precedenti ordinanze di rimessione del medesimo giudice, in relazione alle quali ha disposto, come ricordato, la restituzione degli atti, ma su questioni diversamente argomentate;
che conseguentemente il rimettente, con le ordinanze in esame, ripropone le questioni già sollevate, riaffermandone la rilevanza pur a seguito della sentenza n. 196 del 2004, che anzi avrebbe inciso su tali questioni rafforzando taluni passaggi argomentativi sui quali le stesse risultano fondate, con particolare riferimento al profilo della ritenuta non eccezionalità della misura;
che le disposizioni censurate contrasterebbero anzitutto con l’art. 79 della Costituzione, che disciplina il potere di amnistia, dal momento che il «condono edilizio» non sarebbe altro che una forma di amnistia condizionata mascherata, adottata in violazione della procedura prevista dalla norma costituzionale;
che, in proposito, non varrebbero le argomentazioni utilizzate dalla Corte nelle decisioni relative ai precedenti condoni (sentenze n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988), basate sull’eccezionalità dell’istituto, dal momento che tale presupposto sarebbe ormai superato in conseguenza del reiterato utilizzo che del condono edilizio è stato fatto nell’ultimo decennio;
che ulteriori dubbi sulla legittimità costituzionale delle norme censurate conseguirebbero al fatto che l’amnistia costituirebbe l’unica ipotesi in cui la Carta costituzionale assegna al Parlamento un potere assolutamente eccezionale «di paralisi dell’azione penale che l’art. 112 Cost. vuole obbligatoria»;
che, secondo il giudice a quo, inoltre, il condono edilizio non sarebbe riconducibile all’istituto dell’oblazione, la quale sarebbe un mezzo di estinzione del reato previsto in via generale ed astratta, collegato al pagamento di una somma di denaro pari ad una quota della pena pecuniaria, e dunque assolverebbe alle stesse finalità proprie della condanna a pena pecuniaria, mentre il condono previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 riguarderebbe solo reati già commessi prima dell’emanazione del provvedimento, e sarebbe condizionato al pagamento di somme di denaro che non sono determinate in relazione all’ammontare della pena pecuniaria;
che le disposizioni censurate violerebbero poi il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., tra cittadini «che hanno rispettato la legge e quelli che non l’hanno rispettata, tra quelli che sono stati condannati con pena di legge e quelli che […] ancora non sono stati condannati a pena di legge e mai lo saranno grazie proprio al ‘condono’»;
che viene inoltre prospettata la violazione dell’art. 9 Cost., che insieme agli artt. 3 e 112 contempla «la necessità della tutela del paesaggio ed ambiente (che come può essere leso dal singolo, così può essere leso dalla Regione o dal Comune che adottino provvedimenti autorizzativi in violazione degli strumenti urbanistici approvati)»;
che, infine, secondo il rimettente le disposizioni censurate contrasterebbero anche con l’art. 54 Cost., dal momento che «la legge di condono tributario si pone invece a premio (come appena osservato) di chi la legge abbia violato, ed addirittura a disincentivazione del cittadino onesto al rispetto per il futuro delle norme di legge»;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto, in tutti i giudizi e ha chiesto che le questioni siano dichiarate «talune non ammissibili e tutte non fondate»;
che la difesa erariale rileva anzitutto come le sette ordinanze di rimessione attengano almeno a tre diverse tipologie di abusi edilizi (opere realizzate in assenza di permesso di costruire; opere realizzate in totale difformità dal permesso di costruire; opere realizzate in zona vincolata in assenza di permesso di costruire e dell’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo): nondimeno, osserva l’Avvocatura dello Stato, «le argomentazioni prospettate nelle sette ordinanze non sono congruamente differenziate, ed i dispositivi di esse sono identici»;
che la difesa erariale ha inoltre eccepito che le ordinanze di rimessione sono state rese anteriormente all’emanazione della legge regionale del Veneto, 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio), «sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale».
Considerato che l’identità della normativa impugnata, la coincidenza delle censure proposte e dei parametri costituzionali invocati, nonché delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione, rendono opportuna la riunione dei giudizi;
che questa Corte, con sentenza n. 196 del 2004, nell’ambito di taluni giudizi in via principale, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dei commi 14, 25, 26, 33, 37, 38 e 49-ter, dell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, nonché dell’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003;
che, per tale ragione, la Corte, con ordinanza n. 197 del 2004 – pronunciata nell’ambito di taluni giudizi incidentali proposti, tra gli altri, dall’odierno rimettente, aventi ad oggetto, anch’essi, l’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 – aveva disposto la restituzione degli atti affinché i giudici rimettenti procedessero ad «nuovo esame delle questioni e della loro perdurante rilevanza nei giudizi a quibus»;
che il rimettente, nel sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 (sia nell’ambito dei giudizi nei quali era già stata precedentemente prospettata – reg. ord. nn. 1084, 1085, 1086, 1087, 1089 del 2004 – sia nell’ambito di giudizi diversi – reg. ord. nn. 1083 e 1088 del 2004), non ha tenuto conto del fatto che talune delle disposizioni censurate sono già state dichiarate parzialmente incostituzionali e che la sentenza di questa Corte n. 196 del 2004 ha inciso in modo sostanziale sulla disciplina del citato art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003;
che, inoltre, il giudice a quo, non ha verificato la perdurante rilevanza delle questioni prospettate nei procedimenti sottoposti al suo esame, dal momento che ha omesso di valutare se e quali effetti la citata sentenza n. 196 del 2004 abbia prodotto sulla disciplina che egli è chiamato ad applicare nei giudizi a quibus;
che, oltre a non aver adeguatamente valutato, sul piano formale, l’effetto dispositivo della sentenza n. 196 del 2004, sul piano sostanziale il rimettente ha comunque riproposto questioni già decise da questa Corte con la pronuncia ricordata;
che, in particolare, la censura principale prospettata dal GIP presso il Tribunale di Verona, cui si collegano sul piano argomentativo anche le questioni concernenti gli altri parametri di costituzionalità indicati, riguarda l’asserita violazione dell’art. 79 Cost.;
che questa specifica questione è stata dichiarata non fondata da questa Corte, nella citata sentenza n. 196 del 2004, la quale, richiamando la propria precedente giurisprudenza, ha ribadito che il condono edilizio non ha natura di amnistia impropria, in ragione della «complessa fattispecie estintiva del reato», che produce, di regola, sia effetti amministrativi costitutivi, sia effetti penali estintivi, e «nella quale la non punibilità si produce soltanto a seguito delle manifestazioni concrete di volontà degli interessati e dell’autorità amministrativa»;
che la medesima pronuncia ha espressamente escluso che la previsione di un nuovo condono edilizio abbia determinato la perdita del suo carattere eccezionale, ed anzi ha ritenuto che esso non presenti caratteri di irragionevolezza, tenuto conto sia della «recente entrata in vigore del testo unico in materia edilizia», il quale, tra l’altro, «disciplina analiticamente la vigilanza sull’attività urbanistico edilizia e le relative responsabilità e sanzioni», sia dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della seconda Parte della Costituzione, «che consolida ulteriormente nelle Regioni e negli enti locali la politica di gestione del territorio»;
che la richiamata sentenza n. 196 del 2004 ha altresì rigettato le censure sollevate in relazione all’art. 9 Cost., affermando che il condono edilizio non contrasta con la primarietà dei valori della tutela dei beni ambientali e paesaggistici;
che le censure sollevate in relazione ai parametri di cui agli artt. 1 e 32, primo comma, Cost., non sono in alcun modo motivate;
che, infine, sul piano della descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, talune delle ordinanze di rimessione risultano carenti, dal momento che, pur affermando che nei procedimenti penali cui esse si riferiscono si fa questione di reati edilizi commessi in «zona vincolata», non viene in alcun modo indicata la natura del vincolo concorrente con gli strumenti di governo del territorio;
che, pertanto, le questioni sollevate con le ordinanze in esame devono essere dichiarate manifestamente inammissibili, per i plurimi motivi sopra evidenziati.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1, 2, 25, 26, 27, 28, 32-37, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, sollevate, in relazione agli artt. 1, 3, 9, secondo comma, 32, primo comma, 54, 79, primo comma, e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verona con le ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2005.