ORDINANZA N. 197
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), e dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 come risultante dalla conversione ad opera della legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), promossi con ordinanza del 20 novembre 2003 dal TAR per l’Emilia-Romagna, sezione staccata di Parma, con 8 ordinanze del 10 dicembre 2003 dal TAR per il Piemonte e con 4 ordinanze del 5 dicembre 2003 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona, rispettivamente iscritte ai numeri 10, da 104 a 109, 241 e 242 e da 246 a 249 del registro ordinanze 2003, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nn. 7, 10 e 14, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2004 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
udito l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che con ordinanza del 20 novembre 2003 (R.O. n. 10 del 2004), il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sezione di Parma, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in via incidentale dell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), per contrasto con gli artt. 3, 9, secondo comma, 32, primo comma, 97, primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione;
che il rimettente premette che, nel corso di un giudizio di ottemperanza proposto in relazione alla sentenza del medesimo Tribunale, con cui era stato disposto l’annullamento di una sanzione pecuniaria per abuso edilizio "in luogo della doverosa misura demolitoria", è intervenuto l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, il quale consente di sanare una serie di abusi edilizi prorogando al 31 marzo 2003 i termini al riguardo previsti dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), e successive modificazioni e integrazioni;
che ad avviso del giudice a quo la normativa appena richiamata sarebbe applicabile al caso sottoposto al suo giudizio e, "nelle more del procedimento di sanatoria e fino alla scadenza dei termini fissati dall’art. 35 della legge n. 47 del 1985 […] dovrebbe operare la sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio e del […] procedimento giurisdizionale", in virtù dell’art. 44 della legge n. 47 del 1985;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, nell’ordinanza di rimessione si richiama la giurisprudenza costituzionale in materia di condono edilizio, la quale avrebbe affermato la inevitabilità di un "giudizio negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abuso edilizio", a causa della irragionevolezza di una "ciclica e ricorrente possibilità di condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunità";
che inoltre, secondo il rimettente, il condono edilizio realizzerebbe un sistema ingiusto e discriminatorio proprio a svantaggio dei cittadini rispettosi delle leggi, che da un lato si vedrebbero "privare di quei beni che anch’essi avrebbero potuto costruire violando le norme", e che dall’altro "sarebbero costretti […] a subire il degrado urbanistico prodotto dall’illegalità edilizia";
che la normativa censurata, inoltre, violerebbe non solo i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e tutela ambientale, "ma anche le competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio" di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto con essa lo Stato, lungi dal dettare principi generali, imporrebbe invece una eccezione che, in quanto tale, non può costituire principio, dettando, peraltro, disposizioni estremamente precise e dettagliate, con ciò violando comunque le competenze regionali;
che con otto ordinanze di identico contenuto, tutte adottate il 10 dicembre 2003 (R.O. numeri 104, 105, 106, 107, 108, 109, 241 e 242 del 2004), il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.;
che le ordinanze di rimessione sono state pronunciate nella fase cautelare di giudizi instaurati a seguito di ricorsi presentati per l’annullamento, previa sospensione, di ordinanze comunali con le quali si dispone la demolizione di opere eseguite abusivamente;
che il rimettente dà atto che i ricorrenti hanno rappresentato l’intenzione di avvalersi della sospensione del procedimento sanzionatorio prevista dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, che richiama, sul punto, l’art. 44 della legge n. 47 del 1985;
che tale norma, secondo le ordinanze di rimessione, pur riferendo la sospensione anche ai procedimenti giurisdizionali, escluderebbe esplicitamente le procedure cautelari, con ciò richiedendo comunque lo svolgimento dei giudizi concernenti la richiesta di sospensione dei provvedimenti impugnati, pur ove essi siano destinati a rimanere sospesi ex lege;
che, in particolare, tale sarebbe la situazione dei giudizi a quibus, cosicché, ove l’effetto della sospensione fosse senz’altro conseguente alla normativa impugnata, al rimettente non resterebbe altro che decidere nel senso della sopravvenuta carenza di interesse;
che, tuttavia, il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 32 citato, poiché ad essere rilevante per i procedimenti a quibus non sarebbe solo la questione concernente la sospensione del procedimento amministrativo, bensì la questione relativa all’intero art. 32, dal momento che "l’esame della concreta entità e sussistenza del pregiudizio addotto dalla ricorrente (che ha dichiarato di volersi avvalere del condono) va condotto alla stregua delle norme che non solo sospendono, ma rendono passibile di cancellazione l’abuso commesso";
che, in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, la disciplina impugnata violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., ed in particolare le competenze da esso assegnate alle Regioni in materia di governo del territorio, in quanto non conterrebbe "principi fondamentali, ma disposizioni che minutamente stabiliscono termini, modalità e limiti della sanatoria degli abusi", oltre che disposizioni le quali, prevedendo la sanabilità degli abusi, sono eccezionali e come tali non potrebbero costituire principi generali;
che sarebbe violato anche l’art. 118 Cost., in quanto la normativa censurata non sarebbe giustificata neppure in forza del principio di sussidiarietà, ed in quanto l’ordinario riparto di competenza tra Stato e Regioni potrebbe essere derogato solo se ciò superi il vaglio di ragionevolezza e proporzionalità e sia oggetto di un accordo con le Regioni stesse, mentre l’art. 32 non prevederebbe alcuna concertazione, o intesa, con le Regioni, né assumerebbe rilevanza il rinvio alla disciplina regionale, alla quale sarebbero lasciati limitatissimi margini di operatività;
che a conclusioni diverse non potrebbe condurre la dichiarata temporaneità delle norme, giacché la normativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), al cui adeguamento da parte delle Regioni si fa rinvio, non sembra pertinente al caso de quo e, inoltre, certamente non transitorio sarebbe l’effetto prodotto dalla sanatoria di opere già edificate;
che con quattro ordinanze rese in data 5 dicembre 2003 (R.O. numeri 246, 247, 248 e 249 del 2004), di contenuto sostanzialmente identico, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1, 2, 25, 26, 27, 28, 32-37, del d.l. n. 269 del 2003, per contrasto con gli artt. 1, 2, 9, secondo comma, 32, primo comma, 79, primo comma, 97, primo comma, 111, secondo comma, 112, 117, terzo comma, 118, secondo comma e 120 Cost., e con il principio di uguaglianza;
che il rimettente premette che nell’ambito di taluni procedimenti penali nei confronti di soggetti imputati per reati edilizi, il pubblico ministero ha chiesto l’emanazione di decreto penale di condanna e tale richiesta non appare prima facie infondata, mentre in un altro procedimento concernente la medesima tipologia di reati, egli ritiene di non dover accogliere la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero;
che i procedimenti dovrebbero essere sospesi per effetto dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 il quale richiama i capi IV e V della legge n. 47 del 1985, e dunque anche l’art. 44 di tale legge, che prescrive la sospensione dei procedimenti giurisdizionali in corso, fino alla scadenza del termine per la presentazione della domanda relativa alla definizione dell’illecito edilizio;
che tuttavia, ad avviso del giudice a quo, l’art. 32 citato porrebbe dubbi sulla sua legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 79 Cost. che disciplina il potere di amnistia, dal momento che il "condono edilizio" non sarebbe altro che una forma di amnistia condizionata mascherata, adottata in violazione della procedura prevista dalla norma costituzionale;
che non varrebbero le argomentazioni utilizzate da questa Corte nelle decisioni relative ai precedenti condoni (sentenze n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988), basate sull’eccezionalità dell’istituto, dal momento che tale presupposto sarebbe ormai superato in conseguenza del reiterato utilizzo che del condono edilizio è stato fatto nell’ultimo decennio;
che dubbi ulteriori sulla legittimità costituzionale della norma censurata conseguirebbero al fatto che l’amnistia costituirebbe l’unica ipotesi in cui la Carta costituzionale assegna al Parlamento un potere "assolutamente eccezionale di paralisi dell’azione penale che l’art. 112 Cost. vuole obbligatoria";
che inoltre, sostiene il giudice a quo, il condono edilizio non sarebbe riconducibile all’istituto dell’oblazione, la quale sarebbe un mezzo di estinzione del reato previsto in via generale ed astratta, collegato al pagamento di una somma di denaro pari ad una quota della pena pecuniaria e che dunque assolverebbe alle stesse finalità proprie della condanna a pena pecuniaria, mentre il condono previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 riguarderebbe solo reati già commessi prima dell’emanazione del provvedimento e sarebbe condizionato al pagamento di somme di denaro che non sono determinate in relazione all’ammontare della pena pecuniaria;
che la norma censurata violerebbe inoltre il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., tra cittadini "che hanno rispettato la legge e quelli che non l’hanno rispettata, tra quelli che sono stati condannati con pena di legge e quelli che […] ancora non sono stati condannati a pena di legge e mai lo saranno grazie proprio al ‘condono’";
che il rimettente ritiene inoltre che la norma impugnata, nella parte in cui consente il rilascio di un titolo abilitativo edilizio in sanatoria anche nel caso di opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, contrasti con gli artt. 118 e 120 Cost., in quanto non ricorrerebbero i presupposti eccezionali, tipicamente predeterminati dall’art. 120 Cost., che consentono allo Stato l’esercizio di poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali, titolari delle funzioni amministrative concernenti l’adozione degli strumenti urbanistici e il rilascio dei titoli abilitativi alla realizzazione delle opere edilizie;
che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona dichiara di condividere le argomentazioni svolte dal TAR per l’Emilia-Romagna, nell’ordinanza del 20 novembre 2003, che vengono integralmente richiamate e riprodotte;
che, infine, in ordine alla rilevanza della questione, il rimettente osserva che egli sarebbe costretto a sospendere l’esercizio dei suoi poteri e doveri giurisdizionali, "con nocumento del principio della obbligatorietà dell’azione penale […], nonché di quello della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost.";
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio incidentale promosso dal TAR per l’Emilia-Romagna e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, in quanto l’ordinanza di rimessione non chiarirebbe se per le opere oggetto del giudizio a quo sia stata presentata istanza di condono, né si soffermerebbe sulla condonabilità degli abusi accertati con sentenza passata in giudicato, né, infine, indicherebbe quali delle numerose norme contenute nell’art. 32 siano oggetto del dubbio di legittimità costituzionale;
che il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto anche nei giudizi incidentali promossi dal TAR del Piemonte, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata, in quanto il rimettente non avrebbe indicato quali delle norme contenute nell’art. 32 siano censurate;
che le questioni, ad avviso della difesa erariale, sarebbero inoltre analoghe a quelle già prospettate dalle Regioni nei propri ricorsi avverso il medesimo art. 32, e tuttavia le censure mosse dal giudice a quo sarebbero generiche e dunque non ammissibili;
che il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto altresì nei giudizi incidentali promossi dal GIP presso il Tribunale di Verona, chiedendo che le questioni siano dichiarate "talune non ammissibili e tutte non fondate", dal momento che alcune di esse sarebbero già sollevate nei ricorsi proposti dalle Regioni avverso l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 ed inoltre in quanto le ordinanze di rimessione non terrebbero conto dei precedenti insegnamenti della Corte ed in particolare della fondamentale sentenza n. 369 del 1988;
che, in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria nei giudizi promossi dal TAR del Piemonte, nella quale sostiene che dall’ambito della questione sollevata dal giudice dovrebbero essere esclusi i casi in cui vi sia un provvedimento amministrativo definitivo o una sentenza penale o amministrativa di condanna passata in giudicato, giacché, in tali ipotesi, sarebbe dubbio che possa trovare applicazione la disciplina del condono;
che inoltre, sempre secondo l’Avvocatura, dovrebbero escludersi i casi in cui il procedimento penale non sia ancora iniziato o l’ordinanza di demolizione non sia stata ancora emessa, e nei quali peraltro il condono sarebbe ammissibile, di talché – così delimitato l’ambito della questione – quest’ultima sarebbe in sostanza identica a quelle proposte dalle Regioni avverso l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003;
che, in prossimità dell’udienza, l’Avvocatura ha depositato una memoria anche nel giudizio proposto dal TAR per l’Emilia-Romagna, nella quale sostiene che alla vicenda oggetto del giudizio a quo non si applicherebbe la disciplina del condono, ed inoltre che i parametri evocati da tale giudice (artt. 9, 32 e 97 Cost.) non sarebbero pertinenti alla vertenza al suo esame, la quale concernerebbe solo una violazione di modestissima entità.
che questa Corte, con sentenza n. 196 resa in data odierna, nel pronunciarsi sui ricorsi proposti da diverse Regioni avverso l’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), nonché sul testo del medesimo art. 32 così come risultante ad opera della conversione in legge intervenuta con la legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), con cui venivano sollevate questioni in parte analoghe a quelle formulate dai rimettenti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale della normativa impugnata;
che, pertanto, tale sentenza ha sostanzialmente modificato la disciplina dell’art. 32 sul quale i giudici rimettenti hanno sollevato le questioni di legittimità costituzionale oggetto del presente giudizio, rendendo necessario, conseguentemente, un nuovo esame dei termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza nei giudizi a quibus (si vedano, analogamente, ordinanze n. 184 del 2003 e n. 67 del 2002);
che, alla luce delle predette considerazioni, gli atti devono essere restituiti ai giudici rimettenti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sezione di Parma, al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte e al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2004.
F.to:
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2004.
Il Cancelliere
F.to: FRUSCELLA