Ordinanza n. 155 del 2005

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ORDINANZA N. 155

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Guido                     NEPPI MODONA                      Presidente

- Piero Alberto          CAPOTOSTI                              Giudice

- Annibale                 MARINI                                     "

- Franco                    BILE                                           "

- Giovanni Maria      FLICK                                         "

- Francesco               AMIRANTE                               "

- Ugo                        DE SIERVO                               "

- Romano                  VACCARELLA                         "

- Paolo                      MADDALENA                          "

- Alfio                       FINOCCHIARO                        "

- Alfonso                  QUARANTA                              "

- Franco                    GALLO                                       "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 10, lettera c), e comma 14, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), come modificato dall’art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità), convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2003, n. 27, promossi con ordinanze del 2 luglio 2003 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari, dell’8 gennaio 2004 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena e del 23 giugno 2004 dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, rispettivamente iscritte al n. 750 del registro ordinanze 2003 ed ai nn. 236 e 833 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2003 e nn. 14 e 44, prima serie speciale, dell’anno 2004.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

 

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 10, lettera c), ultimo periodo, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), come modificato dall’art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità), aggiunto dalla relativa legge di conversione 21 febbraio 2003, n. 27, il quale stabilisce che l’esclusione della punibilità per i reati indicati nello stesso art. 9, comma 10, lettera c) – conseguente al perfezionamento della procedura di definizione automatica delle imposte per gli anni pregressi – «non si applica in caso di esercizio dell’azione penale della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione per la definizione automatica»;

 

che il giudice a quo riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di due persone imputate del delitto di cui all’art. 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), per avere utilizzato, a fini di evasione dell’imposta sul valore aggiunto – quali soci accomandatari di una società in accomandita semplice – fatture per operazioni inesistenti nelle dichiarazioni relative a tale imposta per gli esercizi 1998 e 1999;

 

che nel corso dell’udienza preliminare, gli imputati avevano fornito prova documentale di essersi avvalsi della procedura di «definizione automatica per gli anni pregressi» (c.d. «condono tombale»), prevista dall’art. 9 della legge n. 289 del 2002, presentando la relativa dichiarazione ed effettuando nei termini i versamenti prescritti: procedura il cui perfezionamento comporta, ai sensi del comma 10, lettera c), del citato articolo, l’esclusione della punibilità per una serie di reati tributari – tra cui quello ascritto ai giudicabili – nonché per taluni reati previsti dal codice penale e dal codice civile, ove commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto;

 

che gli imputati non potrebbero tuttavia godere del beneficio per il disposto della norma impugnata, che configura come causa ostativa alla sua fruizione l’avvenuto esercizio dell’azione penale per i reati in parola, di cui il contribuente abbia avuto «formale conoscenza» entro la data di presentazione della dichiarazione per la definizione automatica: nella specie, difatti, la richiesta di rinvio a giudizio era stata notificata ad entrambi gli imputati alcuni mesi prima della presentazione di detta dichiarazione;

 

che ad avviso del rimettente, peraltro, la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., determinando una ingiustificata disparità di trattamento fra casi identici;

 

che la data della «formale conoscenza» dell’esercizio dell’azione penale dipenderebbe, infatti, da una pluralità di fattori casuali, comprendenti – oltre a situazioni obiettive, quali, ad esempio, l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari, le carenze di organico degli ufficiali giudiziari o le difficoltà di raggiungimento di località isolate – anche le «insindacabili e legittime scelte discrezionali» del complesso di soggetti (pubblico ministero, giudice dell’udienza preliminare, personale di cancelleria, ufficiale giudiziario, impiegati postali, lo stesso imputato) che possono incidere, accelerandolo o rallentandolo, sul procedimento finalizzato a realizzare tale conoscenza;

 

che, con particolare riguardo all’imputato, d’altra parte, la norma censurata verrebbe a premiare irrazionalmente le iniziative dilatorie di chi si renda irreperibile o si trasferisca all’estero – lucrando, così, l’allungamento dei tempi connesso alle necessarie ricerche o all’esecuzione delle notificazioni nelle forme previste dall’art. 169 cod. proc. pen. – rispetto al comportamento leale di chi, anche nell’ambito del medesimo procedimento penale, abbia invece eletto domicilio presso un soggetto agevolmente raggiungibile;

 

che la disposizione impugnata provocherebbe, infine, una irrazionale contrazione o, comunque, una indeterminatezza dei termini per il perfezionamento della procedura di definizione automatica, nei confronti di coloro che siano sottoposti a procedimento penale e non abbiano ancora avuto formale comunicazione dell’esercizio dell’azione penale: tali soggetti, infatti – in previsione della possibile sopravvenienza, in qualunque momento, di detta comunicazione – si troverebbero a disporre, per beneficiare della non punibilità, di un termine più breve rispetto a quello accordato agli altri contribuenti, e comunque incerto;

 

che con l’ordinanza indicata in epigrafe il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 10, lettera c), e comma 14, lettera b), della legge n. 289 del 2002;

 

che il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di persona imputata del reato previsto dall’art. 4, comma 1, lettera f), del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1982, n. 516, e dall’art. 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, per aver utilizzato, a fini di evasione fiscale, fatture per operazioni inesistenti emesse da terzi nella dichiarazione dei redditi e IVA dell’anno 1998;

 

che, nel corso dell’udienza preliminare, l’imputato aveva dato prova di aver presentato la dichiarazione per la definizione automatica delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 289 del 2002, effettuando nei termini i versamenti prescritti;

 

che l’imputato non poteva tuttavia fruire dell’esclusione della punibilità per il reato contestatogli – pure prevista come conseguenza del perfezionamento della procedura – avendo avuto notizia dell’esercizio dell’azione penale, tramite la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, in data anteriore a quella di presentazione dell’anzidetta dichiarazione;

 

che secondo il rimettente, peraltro, il meccanismo di operatività dell’effetto premiale, delineato dalle disposizioni impugnate, sarebbe irragionevolmente discriminatorio, sotto un duplice profilo;

 

che, in primo luogo, la causa ostativa alla produzione di detto effetto risulterebbe correlata ad una circostanza fattuale «completamente eccentrica rispetto al nucleo significativo del processo penale», quale il perfezionamento dell’attività di notificazione: quest’ultima, infatti, sarebbe soggetta alla variabile incidenza di molteplici fattori, come il funzionamento degli uffici del pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari, l’attività degli ufficiali giudiziari o del sistema postale, e la stessa condotta dell’imputato, il quale potrebbe trarre giovamento dal porsi in una situazione di irreperibilità che gli consenta di lucrare l’intervallo temporale necessario al perfezionamento del meccanismo di conoscenza legale di cui all’art. 159 cod. proc. pen.;

 

che in secondo luogo, poi, il riferimento ad un atto processuale di parte – o, meglio, alla conoscenza o legale conoscibilità di esso – finirebbe per far dipendere gli effetti favorevoli del condono non già da una valutazione di meritevolezza del contribuente, ovvero dalla sua maggiore o minore diligenza nell’adempimento degli oneri previsti dalla procedura, ma dal fatto di un terzo (pubblico ministero o giudice dell’udienza preliminare), che selezionerebbe in definitiva le condotte suscettibili di ottenere il beneficio della non punibilità attraverso l’avvio del procedimento di notifica dell’atto di esercizio dell’azione penale;

 

che con l’ordinanza indicata in epigrafe, emessa nel corso del processo penale nei confronti di persona imputata del reato di cui agli artt. 4, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 429 del 1982 e 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 9, comma 14, della legge n. 289 del 2002;

 

che l’ordinanza riferisce che, con memoria depositata all’udienza dibattimentale, il difensore dell’imputato aveva lamentato che – pur rientrando il reato contestato fra quelli «condonabili» ai sensi dell’art. 9, comma 10, lettera c), della legge n. 289 del 2002 – il proprio assistito non aveva potuto godere del «beneficio fiscale con effetti estintivi dell’illecito penale» a fronte del termine di decadenza previsto dal comma 14 dello stesso art. 9, ancorato alla formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale: termine del quale lo stesso difensore aveva eccepito l’illegittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost., in quanto «iniquo e sperequativo»;

 

che, facendo propri gli assunti della difesa, il rimettente osserva che detto termine non corrisponderebbe, in effetti, ad un criterio oggettivo ed uniforme – quale potrebbe essere, ad esempio, la data di consumazione del reato – ma sarebbe condizionato dalla solerzia soggettiva, e dunque variabile, del singolo pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale, nonché dalla gravità del reato e dalla conseguente complessità delle relative indagini: con la conseguenza paradossale che l’autore di un reato tributario più grave, commesso anche in epoca più remota, potrebbe beneficiare del condono, non essendosi concluse le relative indagini, a differenza dell’autore di un reato meno grave, e magari più recente, che sia già stato attinto dalla richiesta di rinvio a giudizio o dalla citazione diretta;

 

che, in tale ottica, il meccanismo denunciato verrebbe certamente a soddisfare le esigenze di cassa dell’erario, ma al prezzo di sacrificare l’interesse dello Stato a punire anzitutto i fatti criminosi più gravi e di maggiore impatto sociale;

 

che nei giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.

 

Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano analoghe questioni, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione;

 

che i rimettenti dubitano della compatibilità con gli artt. 3 e 24 della Costituzione dell’art. 9, comma 10, lettera c), e comma 14, lettera b), della legge 27 dicembre 2002, n. 289, come modificato dall’art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2003, n. 27, il quale esclude che il condono tributario ivi disciplinato («definizione automatica per gli anni pregressi»: comma 14, lettera b, dell’art. 9) – e, conseguentemente, anche il beneficio della non punibilità per determinati reati, che conseguirebbe al perfezionamento della procedura (ultimo periodo del comma 10, lettera c) – si applichino nel caso di avvenuto esercizio dell’azione penale per gli anzidetti reati, «della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione per la definizione»;

 

che l’ordinanza di rimessione del Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, risulta peraltro carente in punto di descrizione della fattispecie concreta oggetto di giudizio, non specificando né a quale periodo di imposta si riferisca il reato contestato all’imputato e, in particolare, se esso rientri tra quelli suscettibili di sanatoria in base al citato art. 9; né se l’imputato abbia in concreto presentato la dichiarazione di definizione, perfezionando nei termini la procedura; né in quale data – se, cioè, prima o dopo la scadenza dei termini per la presentazione – egli abbia avuto «formale conoscenza» dell’esercizio dell’azione penale;

 

che, conseguentemente, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di adeguata motivazione sulla rilevanza;

 

che, quanto alle residue ordinanze, questa Corte ha reiteratamente affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore, una volta individuata una causa estintiva del reato, stabilire gli effetti ed i limiti temporali di essa, in relazione allo stato dell’azione penale (cfr. sentenza n. 85 del 1998; ordinanze n. 219 del 1997; n. 137 e n. 294 del 1996);

 

che il principio risulta evidentemente estensibile anche alle cause sopravvenute di non punibilità legate a condotte lato sensu riparatorie, ove si dovesse qualificare in tali termini – secondo una diffusa opinione – l’«esclusione della punibilità» contemplata dalla norma impugnata: valendo anche in tal caso il rilievo che si tratta di una non punibilità dovuta a ragioni di politica criminale – per di più, nel caso del condono, a carattere contingente – e non certo conseguente alla caduta dell’antigiuridicità per cause intrinseche attinenti al nucleo sostanziale dell’illecito (cfr. ordinanza n. 137 del 1996);

 

che, in particolare, la scelta di porre come limite preclusivo l’esercizio dell’azione penale – scelta attuata con la norma di modifica di cui all’art. 5-bis del decreto-legge n. 282 dal 2002, aggiunto dalla legge di conversione n. 27 del 2003, essendo la preclusione originariamente connessa al semplice «avvio» del procedimento penale – appare espressiva dell’intento di negare la possibilità di una sottrazione “a basso costo” alla responsabilità penale, per coloro che abbiano commesso reati non soltanto già scoperti dall’autorità giudiziaria, ma in ordine ai quali siano stati altresì già acquisiti elementi sufficienti a giustificare l’instaurazione della fase processuale: e ciò in linea con la concezione del condono tributario come beneficio applicabile solo a contribuenti che non versino in situazioni già “compromesse” sul piano dell’accertamento;

 

che tale scelta, pertanto – a prescindere da valutazioni di politica criminale, estranee alla sfera del sindacato di costituzionalità – non può ritenersi, di per sé, manifestazione irrazionale ed arbitraria;

 

che quanto, poi, all’ulteriore elemento integrativo della preclusione, rappresentato dalla «formale conoscenza» dell’esercizio dell’azione penale da parte del contribuente prima della presentazione della dichiarazione per la definizione, la relativa ratio risiede essenzialmente – come rimarcato anche dall’Avvocatura dello Stato – in una esigenza di garanzia: quella, cioè, di evitare che il contribuente, non avendo avuto notizia della causa ostativa in atto, perfezioni un condono destinato all’inefficacia;

 

che, in tale ottica, le disparità di trattamento denunciate dai giudici rimettenti – legate al gioco dei molteplici fattori che possono rendere più o meno celere, nei singoli casi concreti, l’esercizio dell’azione penale e la sua rituale comunicazione al contribuente – si risolvono in disparità di mero fatto, inidonee come tali, per costante giurisprudenza di questa Corte, a fondare un giudizio di violazione del principio di eguaglianza (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 173 del 2003; n. 311 e n. 481 del 2002);

 

che quanto, infine, alla violazione dell’art. 24 Cost. ventilata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena, la censura si presenta sfornita di qualsiasi supporto argomentativo;

 

che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente infondate.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 14, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), come modificato dall’art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità), convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2003, n. 27, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

 

b) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 10, lettera c), e comma 14, lettera b), della citata legge n. 289 del 2002, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2005.

Guido NEPPI MODONA, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2005.