ORDINANZA N. 96
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), promossi con due ordinanze del 21 gennaio 2004 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, e con ordinanze del 14 gennaio 2004 dal Tribunale di Viterbo, sezione distaccata di Civita Castellana e del 20 febbraio 2004 dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, rispettivamente iscritte ai nn. 259, 260, 297 e 445 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 15 e 16, prima serie speciale, dell’anno 2004 e nella edizione straordinaria del 3 giugno 2004.
Ritenuto che con due ordinanze del 21 gennaio 2004, di contenuto sostanzialmente identico, iscritte ai nn. 259 e 260 del registro ordinanze del 2004, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in via incidentale dell’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, per contrasto con gli articoli 3, 27, terzo comma, 97, primo comma, 117, secondo e terzo comma, 118, primo comma e 120, secondo comma, della Costituzione;
che il rimettente premette di essere chiamato a decidere su un ricorso per l’annullamento di due ordinanze del Comune di Nardò, che disponevano la demolizione di alcune parti di due immobili che risulterebbero realizzati senza concessione edilizia e di avere accolto le istanze cautelari formulate dai ricorrenti. L’accoglimento di tali istanze si sarebbe basato sulla considerazione che è intervenuto l’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, il quale ha previsto la possibilità di sanare una serie di abusi edilizi prorogando al 31 marzo 2003 i termini al riguardo previsti dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), e successive modificazioni e integrazioni (con particolare riguardo all’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724);
che il giudice a quo afferma che la questione di legittimità costituzionale delle norme indicate si porrebbe come una questione pregiudiziale, «un antecedente logico-giuridico necessario per la decisione della causa, ed è pertanto palesemente rilevante nei giudizi in esame»;
che nelle ordinanze di rimessione si rileva come vi sia la violazione dell’art. 3 della Costituzione là dove non viene escluso che del condono possano beneficiare anche coloro che sono già sottoposti a procedimento sanzionatorio per l’accertato abuso; venendo meno il vantaggio dell’auto-denunzia si riscontrerebbe, secondo il rimettente, l’irragionevolezza della norma «per sproporzione rispetto allo scopo perseguito»;
che il succedersi ciclico delle leggi incriminatici e delle sanatorie produrrebbe inoltre, secondo il Tribunale rimettente, un effetto svilente dell’efficacia preventiva delle sanzioni in materia edilizia, in violazione dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione;
che la violazione dell’art. 97 della Costituzione si riscontrerebbe inoltre nella norma oggetto di censura in quanto non prevede che gli oneri di concessione debbano essere comunque uguali o superiori al valore venale dell’immobile abusivamente ampliato o modificato, in quanto permetterebbe a chi ha violato la legge di ottenere un vantaggio economico;
che la normativa censurata, inoltre, violerebbe non solo i principî di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e tutela ambientale, «ma anche le competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto con essa lo Stato, «lungi dal dettare principî generali, imporrebbe invece una eccezione che, in quanto tale, non può costituire principio, dettando, peraltro, disposizioni estremamente precise e dettagliate, senza prevedere il coinvolgimento partecipativo delle Regioni», e senza che ciò possa essere giustificato neanche dall’art. 120, secondo comma, della Costituzione, poiché non sarebbe stato rispettato il relativo procedimento;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata;
che con ordinanza emessa il 14 gennaio 2004, e iscritta al numero 297 del registro ordinanze del 2004, il Tribunale di Viterbo, sezione distaccata di Civita Castellana, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, in legge n. 326 del 2003, per violazione degli articoli 3, 9, secondo comma, 32, primo comma, 97, primo comma e 117, terzo comma, della Costituzione;
che l’ordinanza di rimessione è stata resa nel corso di un giudizio penale, nel quale la difesa dell’imputata ha chiesto che venga dichiarata la sospensione del giudizio, prospettando l’eventualità di fruire del condono, secondo i meccanismi delineati dalle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, richiamate dalla norma censurata;
che il rimettente, in ordine alla rilevanza, evidenzia come il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale;
che il giudice a quo ritiene vi sia violazione degli articoli 3, 9, secondo comma, 32, primo comma e 97, primo comma, della Costituzione, in quanto nella giurisprudenza costituzionale precedente, in relazione alle normative del 1985 e del 1994, era stato riconosciuto il carattere “necessariamente eccezionale” del condono edilizio e in quanto la norma oggetto di censura reintrodurrebbe nell’ordinamento, a distanza di pochi anni, tale meccanismo, prevedendo anche il pagamento di una somma a titolo di oblazione;
che la disciplina impugnata violerebbe anche l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, ed in particolare le competenze da esso assegnate alle Regioni in materia di governo del territorio;
che anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata;
che con ordinanza del 20 febbraio 2004, iscritta al n. 445 del registro ordinanze del 2004, il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, per contrasto con gli articoli 3 e 112 della Costituzione;
che in ordine alla rilevanza della questione il giudice a quo sottolinea come l’art. 32, al comma 36, preveda tra le condizioni per il verificarsi dell’effetto estintivo di alcuni dei reati contestati anche il decorso di trentasei mesi dalla data del suddetto pagamento; l’estinzione dei reati non potrebbe dunque aver luogo prima dell’ottobre 2007, in quanto i trentasei mesi decorrerebbero dalla data del settembre 2004 individuata dalla norma censurata come data ultima possibile per il completamento del versamento della somma dovuta;
che il rimettente ritiene inoltre, alla luce della giurisprudenza costituzionale, che nei precedenti casi di condono edilizio il legislatore aveva ragionevolmente introdotto le norme in presenza di una situazione grave e diffusa di illegalità con la finalità di porvi rimedio attraverso un intervento complesso, ma definitivo, per il quale era necessario anche prevedere la non punibilità di alcuni reati;
che la norma censurata determinerebbe inoltre la violazione dell’art. 112 della Costituzione in quanto sarebbe alterato «il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e della pena nonché l’intero volto del sistema costituzionale in materia penale»;
che con successive memorie l’Avvocatura dello Stato ha chiesto che nei giudizi di cui alle ordinanze n. 260 e n. 297 del registro ordinanze del 2004, analogamente a quanto previsto dall’ordinanza di questa Corte n. 198 del 2004, sia disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente.
Considerato che l’identità della normativa impugnata, la parziale coincidenza delle censure proposte e dei parametri costituzionali invocati, nonché delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di remissione, rendono opportuna la riunione dei giudizi;
che questa Corte, con sentenza n. 196 del 2004, nel pronunciarsi sui ricorsi proposti da diverse Regioni avverso l’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, nonché sul testo del medesimo art. 32 così come risultante ad opera della conversione in legge intervenuta con la legge 24 novembre 2003, n. 326, con cui venivano sollevate questioni in parte analoghe a quelle formulate dai rimettenti, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale parziale della normativa impugnata;
che, pertanto, tale sentenza ha sostanzialmente modificato la disciplina dell’art. 32 sulla quale i giudici rimettenti hanno sollevato le questioni di legittimità costituzionale oggetto del presente giudizio;
che analogamente si è espressa l’ordinanza n. 197 del 2004;
che, inoltre, successivamente il Governo ha adottato il decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 30 luglio 2004, n. 191, il cui articolo 5, dando esecuzione alla sentenza di questa Corte n. 196 del 2004, ha introdotto una serie di modificazioni all’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, così come risultante ad opera della conversione in legge intervenuta con la legge n. 326 del 2003;
che, alla luce delle predette considerazioni, gli atti devono essere restituiti ai giudici rimettenti, per un nuovo esame dei termini delle questioni e della loro rilevanza nei giudizi a quibus.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, al Tribunale di Viterbo, sezione distaccata di Civita Castellana e al Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2005.