ORDINANZA N. 59
ANNO 2005
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 315, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 31 marzo 2003 dalla Corte di appello di Genova sul ricorso proposto da Ennio Olivotto, iscritta al n. 1112 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2004.
udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che, con ordinanza dell'11 aprile 2003, la Corte d'appello di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 315 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione nell'ambito di un procedimento di riparazione per ingiusta detenzione promosso da Olivotto Ennio;
che il rimettente rileva che l'Olivotto era stato arrestato in esecuzione di un mandato provvisorio di arresto del pretore di Sarzana il 6 maggio 1986 per avere adulterato le acque dei pozzi che alimentano l'acquedotto del comune di Bolano, era stato posto agli arresti domiciliari l'8 giugno 1986 ed era stato liberato il 22 giugno 1986;
che, all'esito dell'istruttoria formale, nella quale si procedeva ad alcune perizie chimiche, il giudice istruttore, con sentenza del 22 giugno 1990, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'Olivotto;
che, con richiesta depositata in cancelleria il 29 ottobre 2001, l'Olivotto ha chiesto di essere equamente indennizzato per la detenzione ingiustamente subita, facendo presente di non avere mai avuto notizia, e quindi di non essere venuto a conoscenza, se non di recente, del fatto che il giudizio era stato definito dal giudice istruttore con sentenza di non doversi procedere per non aver commesso il fatto ed osservando che la riparazione per ingiusta detenzione era vigente dal 24 ottobre 1989 e che in quella data il procedimento non era stato ancora definito, onde la riparazione gli competeva, dovendo, per costante giurisprudenza della Corte di cassazione, essere riconosciuta alla sola condizione, necessaria e sufficiente, che il procedimento nell'ambito del quale è stata sofferta l'ingiusta detenzione fosse terminato in data successiva al 24 ottobre 1989, a nulla rilevando l'epoca della privazione della libertà;
che l'interessato ha chiesto che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 315 cod. proc. pen. nella parte in cui prevede che il termine per proporre la richiesta decorre da quando la sentenza di non doversi procedere è divenuta inoppugnabile anziché dal giorno in cui ne è stata effettuata la notifica direttamente alla persona sottoposta alle indagini;
che il giudice a quo ritiene che la questione sia rilevante, perché – escluso che si siano verificate ragioni impeditive all'indennizzo per avere il richiedente dato causa alla detenzione con dolo o colpa grave – se il termine di due anni deve decorrere, come dalla testuale formulazione dell'art. 315 cod. proc. pen., da quando la sentenza di non luogo a procedere (o di non doversi procedere, ex art. 378 cod. proc. pen. del 1930) è diventata inoppugnabile, tale inoppugnabilità si è verificata parecchi anni prima della proposizione della domanda di riparazione formulata dall'Olivotto, domanda che quindi sarebbe inammissibile, perché proposta oltre il termine, laddove se il termine decorresse dalla notifica della sentenza istruttoria, o comunque dalla piena ed effettiva conoscenza della sentenza (che in difetto di prova contraria non potrebbe intendersi antecedente di oltre due anni la proposizione della richiesta, il cui deposito segna l'unica prova inoppugnabile di conoscenza) la domanda del richiedente potrebbe ritenersi ammissibile;
che la questione appare, poi, non manifestamente infondata, perché la vigente normativa, nel caso in cui l'imputato sia stato assolto con sentenza istruttoria emessa sotto la vigenza del codice processuale abrogato, non pone l'interessato in grado di conoscere il momento di decorrenza del termine;
che, per il diritto processuale vigente, invece, a seguito della modifica apportata all'art. 548 cod. proc. pen. dalla Corte costituzionale con sentenza n. 364 del 1993, le sentenze depositate oltre il quindicesimo giorno devono essere comunque notificate alle parti private, anche se non spetta loro il diritto di impugnazione; mentre il termine per proporre domanda di riparazione, di cui all'art. 315 cod. proc. pen., in esito alla sentenza n. 446 del 1997 della stessa Corte costituzionale, non decorre più dalla pronuncia del decreto di archiviazione, ma dal giorno in cui, ricorrendo le condizioni di cui al decreto di archiviazione, è stata effettuata la notifica del provvedimento;
che il sistema processuale vigente sembra dunque regolare situazioni analoghe in maniera diversa, dal momento che, con il codice attuale, è sempre garantita la conoscenza dell'atto (sentenza o decreto di archiviazione) dal quale ci si può rendere conto dell'insorgenza del proprio diritto al ristoro per l'ingiusta privazione della libertà; mentre diversa è la situazione in esame, la cui disciplina è regolata dal codice di procedura penale del 1930, che non prevede la notifica alle parti private nel caso di proscioglimento perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, formula questa adottata nella sentenza istruttoria che ha concluso il giudizio nei confronti del richiedente;
che, poiché chi ha subito un'ingiusta detenzione sotto il vigore del codice del 1930 potrebbe non venire a conoscenza della sentenza di proscioglimento, il termine per la proposizione della domanda di riparazione per ingiusta detenzione comincia a decorrere all'insaputa del titolare; onde si verificherebbe una situazione analoga a quella affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 446 del 1997 per l'omessa notifica del decreto di archiviazione;
che la situazione che si delinea nella fattispecie, e in particolare l'omessa previsione da parte dell'art. 151 del codice del 1930 della necessità di notifica alle parti private della sentenza di non luogo a procedere, dà luogo alla decorrenza del termine per la domanda di cui all'art. 314 cod. proc. pen. all'insaputa dell'interessato (che nella specie ha affermato di aver cercato di venire a conoscenza dell'esito del procedimento, ma con scarso successo a causa del disordine dell'ufficio giudiziario che aveva proceduto, circostanza più che verosimile attese le difficoltà incontrate dallo stesso giudice a quo per ottenere in visione gli atti processuali) e pare dunque in contrasto con l'art. 24, primo e quarto comma, della Costituzione, perché lega la stessa possibilità di chiedere la riparazione per ingiusta detenzione ad un onere di informarsi che implica un livello di diligenza che appare eccessivo, e con l'art. 3 della Costituzione, perché crea un'ingiustificata disparità di trattamento per chi, prosciolto in esito a procedimento retto dalle norme del codice abrogato, non viene informato dell'atto che può dar vita al diritto alla riparazione per ingiusta detenzione subita, come invece accade ex art. 548 cod. proc. pen. vigente, modificato dalla sentenza n. 364 del 1993 della Corte costituzionale.
Considerato che la Corte d'appello di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 315 cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il termine per proporre la richiesta di riparazione per l'ingiusta detenzione prevista dall'art. 314 cod. proc. pen. decorra da quando la sentenza di non doversi procedere di cui all'art. 378 cod. proc. pen. del 1930 è divenuta inoppugnabile anziché dal giorno in cui ne è stata effettuata la notifica direttamente alla persona sottoposta alle indagini o da quando questi ne ha avuto effettiva conoscenza, potendo dare luogo alla decorrenza di detto termine all'insaputa dell'interessato, per violazione dell'art. 3 Cost., perché crea un'ingiustificata disparità di trattamento tra chi, prosciolto in esito a un procedimento retto dalle norme del codice abrogato, non venga informato dell'atto che può dar vita al diritto alla riparazione per ingiusta detenzione e chi invece abbia subito quest'ultima sotto la vigenza del nuovo codice, sempre informato, e per violazione dell'art. 24 Cost., perché lega la possibilità di far valere in giudizio il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione ad un onere di informarsi che implica un livello di diligenza eccessivo;
che l'art. 314 cod. proc. pen. riconosce a chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato il diritto ad un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave, aggiungendo che la precedente disposizione si applica, alle medesime condizioni, a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento di archiviazione;
che il successivo art. 315 stabilisce che “la domanda di riparazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato a norma del comma 3 dell'art. 314”;
che nella specie si è presenza di procedimento pendente alla data di entrata in vigore del codice di procedura penale, conclusosi nel vigore del nuovo codice di rito con sentenza di non doversi procedere per non avere l'imputato commesso il fatto;
che il diritto all'equa riparazione, nel sistema creato dagli articoli 314 e 315 cod. proc. pen., è applicabile, in virtù della norma transitoria di cui all'art. 245 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), anche ai procedimenti già pendenti alla data del 24 ottobre 1989 e destinati a proseguire nell'osservanza della normativa precedente;
che, in applicazione di tale normativa (art. 372 cod. proc. pen. del 1930), il giudice doveva fare notificare, a cura del cancelliere, avviso dell'avvenuto deposito degli atti e dei documenti del processo ai difensori dell'imputato per consentire agli stessi, nel termine di cinque giorni dall'avviso stesso – prorogabile per una sola volta – di prendere visione di ogni cosa, di estrarre copia degli atti e dei documenti e di presentare le istanze e le memorie ritenute opportune, con obbligo per il giudice, alla scadenza del termine, di provvedere entro quindici giorni ad adottare i provvedimenti conseguenti necessari, ivi compresa la sentenza di proscioglimento di cui al successivo art. 378;
che quest'ultima sentenza non doveva essere notificata alle parti private non essendo la stessa soggetta ad impugnazione (art. 151 cod. proc. pen. del 1930);
che, invece, la normativa vigente prevede che “quando la sentenza non è depositata entro il trentesimo giorno o entro il diverso termine indicato dal giudice a norma dell'articolo 544, comma 3, l'avviso di deposito è comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private cui spetta il diritto di impugnazione. E' notificato altresì a chi risulta difensore dell'imputato al momento del deposito della sentenza” (art. 548, comma 2), aggiungendo che “l'avviso di deposito con l'estratto della sentenza è in ogni caso notificato all'imputato contumace” (art. 548, comma 3);
che la diversità di disciplina applicabile, a seconda che si tratti di procedimento soggetto alla normativa del codice di rito vigente o a quella del codice di rito del 1930, non evidenzia alcun contrasto con le norme costituzionali invocate dal momento che, sulla base dell'art. 372 cod. proc. pen. del 1930, la parte avente diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, è posta nelle condizioni – con l'impiego della normale diligenza – di venire a conoscenza del momento in cui il giudice effettua il deposito della sentenza – anche se questi non osserva il termine, pacificamente ordinatorio, per tale deposito – ed è quindi nelle condizioni di osservare il termine di due anni di cui all'art. 315 cod. proc. pen. per la proposizione dell'istanza, con la conseguenza che la mancata previsione dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 548 cod. proc. pen. non è irragionevole né viola il diritto di difesa della parte, dal momento che, una volta stabilito un termine di decadenza, l'interessato è posto in condizione di conoscerne la decorrenza iniziale senza l'imposizione di oneri eccedenti la normale diligenza;
che la situazione denunciata non è assimilabile a quella che ha dato luogo alla declaratoria di incostituzionalità del comma 1 dell'art. 315 cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il termine per proporre la domanda di riparazione decorre dalla pronuncia del provvedimento di archiviazione, anziché dal giorno in cui, ricorrendo le condizioni previste dall'art. 314, comma 2, dello stesso codice, è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti detto provvedimento è stato pronunciato (sentenza n. 446 del 1997), perché, in tema di archiviazione, la parte non era posta nelle condizioni di conoscere con tempestività il momento in cui il diritto all'equa riparazione è sorto ed è azionabile, sicché l'unico mezzo per acquisire tale conoscenza è la notificazione del provvedimento stesso, laddove in presenza di emanazione di sentenza di non doversi procedere, la parte, sulla base del disposto dell'art. 372 cod. proc. pen. del 1930, può, con la normale diligenza, venire a conoscenza del deposito di tale sentenza, pur in difetto di notifica;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 315 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Genova, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.
Valerio ONIDA, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2005.