Ordinanza n. 57 del 2005

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ORDINANZA N. 57

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio            ONIDA                      Presidente

- Fernanda         CONTRI                    Giudice

- Guido             NEPPI MODONA    "

- Piero Alberto  CAPOTOSTI             "

- Annibale         MARINI                    "

- Franco             BILE                          "

- Giovanni Maria FLICK                     "

- Francesco        AMIRANTE              "

- Ugo                 DE SIERVO              "

- Romano          VACCARELLA        "

- Paolo               MADDALENA         "

- Alfio               FINOCCHIARO       "

- Alfonso           QUARANTA            "

- Franco             GALLO                     "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 438, commi 3 e 5, del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano con ordinanza del 21 marzo 2003 e dal Tribunale di Pistoia con cinque ordinanze del 26 maggio 2003, rispettivamente iscritte ai numeri 487 e da 668 a 672 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32 e n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2003.

    Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

    Ritenuto che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano ha sollevato su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato possa essere esercitata anche dal difensore dell'imputato irreperibile non munito di procura speciale;

    che, quanto alla rilevanza della questione, il rimettente afferma che l'avere escluso la facoltà del difensore non munito di procura speciale di chiedere il giudizio abbreviato impedisce all'imputato, in caso di condanna, di beneficiare della diminuzione di pena di cui all'art. 442, comma 2, cod. proc. pen.;

    che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo conduce un esame preliminare dell'istituto del giudizio abbreviato e delle modifiche introdotte, anche a seguito delle sentenze della Corte costituzionale, dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, che a suo avviso avrebbero accentuato sia «le caratteristiche di giudizio di cognizione piena» sia le differenze rispetto al patteggiamento, che richiede anch'esso che l'imputato manifesti la propria volontà personalmente, ovvero tramite il difensore munito di procura speciale;

    che, in particolare, originariamente il rito abbreviato era concepito come giudizio allo stato degli atti, instaurabile solo previo consenso del pubblico ministero e senza alcuna possibilità di integrazione della prova, e la scelta del rito comportava quindi rinuncia del diritto alla prova e al contraddittorio;

    che pertanto, investendo tale scelta diritti personalissimi e indisponibili, era più che giustificato che la volontà di accedere al rito speciale fosse espressa personalmente dall'imputato o a mezzo di procuratore speciale;

    che, ad avviso del rimettente, la situazione sarebbe profondamente mutata a seguito della legge n. 479 del 1999, atteso che l'odierna disciplina del giudizio abbreviato da un lato non prevede più, come condizione necessaria per l'accesso al rito, il consenso del pubblico ministero e, dall'altro, consente all'imputato di subordinare la richiesta a una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione e al giudice di assumere, anche d'ufficio, gli elementi necessari quando ritiene di non poter decidere allo stato degli atti;

    che in questo mutato quadro normativo, e alla luce dei più ampi margini assegnati alla difesa, come risulta dal titolo VI-bis del libro V del codice di procedura penale, inserito dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397, non sarebbe più giustificata una disciplina che riserva solo all'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, la scelta di accedere al rito abbreviato;

    che, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., per disparità di trattamento tra l'imputato presente ovvero che ha rilasciato procura speciale e l'imputato contumace, irreperibile o latitante; con l'art. 24 Cost., per violazione del diritto di difesa dell'imputato irreperibile, contumace o latitante; con l'art. 111 Cost., per violazione del principio del contraddittorio;

    che, sotto quest'ultimo profilo, il rimettente sostiene in particolare che l'art. 111, terzo comma, Cost. non è altro che «una specificazione del più generale diritto di difesa» e che precludere l'accesso al rito ad iniziativa del difensore non munito di procura speciale «equivarrebbe a frustrare proprio la preparazione della difesa nel senso precisato dal disposto di cui al comma terzo dell'art. 111 Cost.»;

    che il giudice a quo sottolinea che tutte le considerazioni che precedono riguardano indistintamente l'imputato contumace, irreperibile o latitante, ma «accentuano la loro rilevanza nei confronti dell'imputato irreperibile» in quanto la irreperibilità è «una situazione di fatto che può anche essere involontaria e incolpevole», mentre «sia la situazione di latitanza che quella di contumacia in qualche modo presuppongono la volontà e comunque l'inerzia difensiva dell'imputato»;

    che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

    che ad avviso dell'Avvocatura la scelta del rito abbreviato comporta l'esercizio di diritti personalissimi che non possono rientrare nei limiti dell'ordinario mandato difensivo in quanto determinano l'utilizzabilità, ai fini della decisione, del materiale probatorio acquisito nel corso delle indagini e la rinuncia all'assunzione delle prove e al contraddittorio;       

    che con cinque ordinanze di identico tenore il Tribunale di Pistoia ha sollevato su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., analoghe questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, commi 3 e 5, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato possa essere esercitata anche dal difensore dell'imputato irreperibile non munito di procura speciale;

    che il rimettente premette che la richiesta del difensore di procedere con il rito abbreviato era stata rigettata «in quanto l'imputato, dichiarato irreperibile, non poteva esprimere personalmente tale volontà e il difensore era privo della necessaria procura speciale»;

    che nel merito il giudice a quo sostiene che la richiesta di procedere con il rito abbreviato deve considerarsi «espressione della difesa tecnica anziché di un diritto personale dell'imputato», soprattutto alla luce delle profonde modifiche apportate all'istituto dalla legge n. 479 del 1999, con particolare riferimento alla eliminazione del consenso del pubblico ministero, e al definitivo superamento del modello di giudizio allo stato degli atti, essendo ora possibile un'integrazione probatoria;

    che ad avviso del rimettente la disciplina censurata si pone pertanto in contrasto con l'art. 3 Cost. per la «discriminazione che si determina tra l'imputato irreperibile (che non ha la possibilità di chiedere personalmente il rito abbreviato o di conferire procura speciale al difensore) e la posizione dell'imputato non irreperibile», nonché con l'art. 24 Cost. per la compressione della difesa tecnica;

    che nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata essendo analoga a quella sollevata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano, recante il numero 487 del registro ordinanze del 2003, al cui atto di intervento si riporta.

    Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano e il Tribunale di Pistoia (quest'ultimo con cinque ordinanze di identico contenuto) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione (parametro quest'ultimo evocato solo dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano), questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, commi 3 e 5, del codice di procedura penale (il comma 5 è richiamato solo dal Tribunale di Pistoia), nella parte in cui non prevede che la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato possa essere esercitata anche dal difensore dell'imputato irreperibile non munito di procura speciale;

    che, avendo tutte le ordinanze per oggetto le medesime questioni, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

    che il Tribunale di Pistoia precisa in tutte le ordinanze che la richiesta di giudizio abbreviato è stata respinta in quanto il difensore dell'imputato irreperibile era privo della procura speciale prevista dall'art. 438, comma 3, cod. proc. pen.;

    che le questioni devono pertanto essere dichiarate manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza, avendo il rimettente già fatto applicazione della disposizione censurata (v., tra le tante, ordinanze numeri 213 del 2004, 215 del 2003, 264 del 2002);

    che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano rileva che la scelta di riservare la richiesta di giudizio abbreviato solo all'imputato o ad un suo procuratore speciale trovava originariamente giustificazione nella peculiare disciplina di questo rito alternativo, caratterizzato dall'essere un giudizio allo stato degli atti, che comportava la rinuncia al diritto alla prova e al contraddittorio;

    che, a seguito delle profonde modifiche apportate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 - per l'accesso al rito non è più richiesto il consenso del pubblico ministero, all'imputato è riconosciuta la facoltà di condizionare la richiesta ad una integrazione probatoria, il giudice ha il potere di assumere, anche d'ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione - il rimettente ritiene che la disciplina censurata si ponga in contrasto con l'art. 3 Cost. per disparità di trattamento tra l'imputato presente, o che ha rilasciato procura speciale, e quello irreperibile; con l'art. 24 Cost. per violazione del diritto di difesa dell'imputato irreperibile; con l'art. 111 Cost. perché l'avere escluso la facoltà del difensore di presentare la richiesta «equivarrebbe a frustrare proprio la preparazione della difesa nel senso precisato dal disposto di cui al comma terzo dell'art. 111 Cost.»;

    che, in via generale, va rilevato che la richiesta del rito abbreviato - giudizio che consente di definire il procedimento utilizzando come prova il risultato della attività di indagine compiuta unilateralmente dalle parti - rientra tra gli atti così detti personalissimi, che il legislatore ha riservato in via esclusiva all'imputato, in quanto determina effetti particolarmente incisivi sulla sfera giuridica del soggetto, sia sul terreno sostanziale che su quello processuale;

    che tale scelta è stata operata dal legislatore anche con riferimento a situazioni affini a quella oggetto della presente questione di costituzionalità, quali l'applicazione della pena su richiesta (art. 446 cod. proc. pen.) e la rinuncia all'udienza preliminare (art. 419, comma 5, cod. proc. pen.), nonché in relazione ad altre iniziative processuali che parimenti determinano effetti particolarmente incisivi per il richiedente (v. artt. 38, 46, 315, 589, 625-bis, 645 cod. proc. pen.);

    che questa Corte, chiamata a pronunciarsi sull'art. 446, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente al difensore dell'imputato irreperibile non munito di procura speciale di presentare richiesta di applicazione della pena, ha ritenuto infondate le censure di illegittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., affermando che «si tratta di un istituto la cui scelta determina una non reversibile disposizione di fondamentali diritti», e che la concorrente attribuzione al difensore della richiesta di patteggiamento potrebbe determinare scelte tali da compromettere irrimediabilmente la posizione dell'imputato;

    che analoghe considerazioni valgono per la disciplina del giudizio abbreviato, che allo stesso modo prevede che la volontà dell'imputato di richiedere il rito sia espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale, posto che anche in tale ipotesi la scelta determina una non reversibile disposizione di diritti fondamentali;

    che in particolare, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 479 del 1999, carattere essenziale di tale rito continua ad essere l'utilizzazione probatoria degli atti assunti unilateralmente nel corso delle indagini preliminari (v. sentenza n. 115 del 2001);

    che in quest'ottica non è senza rilievo che anche all'eventuale integrazione probatoria, chiesta dall'imputato o disposta d'ufficio dal giudice, debba procedersi con le forme previste dall'art. 422, commi 2, 3 e 4, cod. proc. pen., e non alla stregua delle regole dettate per il dibattimento, sicché l'imputato rinuncia comunque alla garanzia della formazione della prova in contraddittorio;

    che la richiesta di giudizio abbreviato può inoltre comportare la rinuncia ad essere giudicato dall'organo collegiale, e di regola implica la sottoposizione al giudizio del giudice dell'udienza preliminare;

    che il rito abbreviato continua perciò a costituire un modello alternativo al dibattimento che, da un lato, si fonda sull'intero materiale raccolto nel corso delle indagini preliminari e, dall'altro, consente una limitata acquisizione di elementi meramente integrativi, sì da mantenere la configurazione di rito 'a prova contratta' (v. ordinanza n. 182 del 2001);

    che i caratteri di fondo del giudizio abbreviato non sono contraddetti dalla maggiore incidenza riservata alle investigazioni difensive dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397, in quanto anche tali atti possono essere utilizzati nel corso del giudizio abbreviato al pari degli atti raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari;

    che non è pertanto privo di ragionevolezza che il legislatore, nel modificare l'istituto del giudizio abbreviato, abbia mantenuto la precedente disciplina secondo cui l'imputato deve manifestare personalmente, ovvero a mezzo di procuratore speciale, la volontà di accedere a tale rito.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, commi 3 e 5, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Pistoia, con le ordinanze in epigrafe;

    dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano, con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.

    Valerio ONIDA, Presidente

    Guido NEPPI MODONA, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2005.