ORDINANZA N. 368
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2-ter, terzo, quarto e sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), promosso, nell’ambito di un procedimento di prevenzione, dal Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza del 14 maggio 1999, iscritta al n. 1125 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che nel corso di un giudizio per l’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali il Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2-ter, terzo, quarto e sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), nella parte in cui non consente «di disporre la confisca di beni, dei quali si accerti l’illecita provenienza, in caso di rigetto della proposta di applicazione della misura di prevenzione personale per cessazione della pericolosità sociale del proposto successiva all’acquisizione illecita dei beni ed antecedente alla decisione»;
che il rimettente – premesso di essere investito della richiesta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno e della confisca di beni a norma dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 e di avere respinto la richiesta relativa alla misura di prevenzione personale perché la pericolosità sociale poteva ritenersi cessata «quantomeno a partire dalla seconda metà degli anni 80» – osserva che, quanto alla misura patrimoniale, «non è stata fornita allo stato la dimostrazione della legittima provenienza dei mezzi finanziari impiegati per acquistare» nell’aprile del 1981 e nel dicembre del 1985, e cioè prima che a suo avviso la pericolosità sociale fosse venuta meno, «beni immobili di consistente estensione»;
che la confisca di tali beni è peraltro preclusa dal rigetto della richiesta della misura personale sulla base dell’interpretazione giurisprudenziale consolidata e «tale da costituire diritto vivente» dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, secondo cui il rapporto di pregiudizialità fra la misura di prevenzione personale e quella patrimoniale sarebbe derogabile solo nelle ipotesi tassativamente previste dal settimo e dall’ottavo comma del medesimo articolo;
che il rimettente ritiene che la disciplina in esame, non consentendo di applicare la misura di prevenzione patrimoniale a prescindere da quella personale nelle fattispecie caratterizzate «dalla cessazione di pericolosità sociale […] sopravvenuta alla stipulazione di atti di acquisto di alcuni beni», violi in primo luogo l’art. 3 Cost. sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento di situazioni identiche: da un lato quella, rilevante nella specie, nella quale la pericolosità sociale, presente al momento dell’acquisizione dei beni, viene poi a cessare prima della decisione del giudice in ordine alla misura di prevenzione personale; dall’altro quella in cui la pericolosità sociale viene meno dopo l’applicazione da parte del giudice della misura di prevenzione personale;
che il rimettente precisa che il dubbio di costituzionalità non investe il ‘principio’ della pregiudizialità in sé, ma solo il diverso trattamento riservato dalla disciplina censurata a due situazioni identiche «sul piano sostanziale», ma tali da dar luogo, per la circostanza meramente accidentale che la pericolosità cessi prima o dopo la decisione del giudice in ordine alla applicazione della misura di prevenzione personale, alle conseguenze antitetiche del mantenimento della misura patrimoniale nel primo caso come affermato dalla giurisprudenza di legittimità nell’ipotesi di revoca della misura personale e dell’impossibilità di applicare la misura patrimoniale nel secondo;
che ad avviso del rimettente sarebbe ravvisabile un ulteriore profilo di illegittimità in riferimento all’art. 41, secondo comma, Cost., in quanto la disciplina censurata, nella parte in cui non consente la confisca dei beni nell’ipotesi in cui non sia applicabile la misura di prevenzione personale, appresterebbe una tutela della iniziativa economica privata irragionevolmente più attenuata rispetto ad altre situazioni in cui, al pari di quella considerata, vengono in rilievo condotte che costituiscono indici di appartenenza ad associazione di tipo mafioso e che incidono sulla sicurezza, sulla libertà e sulla dignità umana, «valori protetti dal comma secondo dell’art. 41 Cost.»;
che, infine, sarebbe ravvisabile anche la violazione dell’art. 42, secondo comma, Cost. perché la disciplina impugnata, impedendo la confisca di beni di cui non sia provata la legittima provenienza, si pone in contrasto con il principio della funzione sociale della proprietà, che «per ragioni di coerenza e non contraddizione dell’ordinamento» deve valere sia nel caso di revoca della misura di prevenzione personale, sia in caso di «rigetto per il medesimo motivo della proposta personale».
Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2-ter, terzo, quarto e sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), nella parte in cui non consente di disporre la confisca dei beni, di cui non sia provata la legittima provenienza, in caso di contestuale rigetto della proposta di applicazione della misura di prevenzione personale per mancanza del requisito della pericolosità sociale, che era però presente al momento dell’acquisto dei beni;
che la situazione di fatto su cui si innesta la questione di legittimità costituzionale è assai peculiare, posto che il rimettente ritiene di poter accertare, ora per allora, la pericolosità sociale del soggetto con riferimento al momento di acquisto dei beni di cui afferma non essere stata provata la legittima provenienza;
che a tale fine si basa sulla presunzione che, risalendo al 1983 l’ultimo elemento sintomatico della pericolosità sociale, ravvisato nella presenza al funerale del fratello di un noto mafioso, la pericolosità stessa dovrebbe ritenersi persistente «almeno per il triennio successivo», e cioè dovrebbe ‘coprire’ anche l’atto di acquisto del 1985;
che ad avviso del rimettente la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto determina una irragionevole disparità di trattamento rispetto all’ipotesi del tutto analoga di revoca della misura di prevenzione personale per il venir meno della pericolosità sociale, situazione che secondo la giurisprudenza non impone di revocare anche la misura patrimoniale della confisca disposta in precedenza, nonché con gli artt. 41, secondo comma, e 42, secondo comma, Cost., perché violerebbe le esigenze di tutela dell’iniziativa economica privata e la funzione sociale della proprietà;
che con la sentenza n. 335 del 1996, oltre che con l’ordinanza n. 721 del 1988 richiamata dal rimettente, questa Corte ha già preso in esame, dichiarandola inammissibile, una questione, analoga a quella ora sollevata, relativa all’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, censurato nella parte in cui non prevede che il procedimento di prevenzione possa essere iniziato o proseguito anche nel caso di morte del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione personale, ai soli fini dell’applicazione dei provvedimenti patrimoniali del sequestro e della confisca dei beni;
che la Corte, in un contesto in cui parimenti si chiedeva di scindere il nesso di pregiudizialità della misura personale rispetto a quelle patrimoniali, ha rilevato che nel sistema legislativo della prevenzione antimafia le misure patrimoniali normalmente accedono a quelle personali, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge 19 marzo 1990, n. 55, e dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, essendo rivolte a beni che, oltre ad essere di provenienza sospetta, sono nella disponibilità di persone socialmente pericolose in quanto indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso;
che infatti anche nelle situazioni di assenza, residenza o dimora all’estero della persona interessata, per le quali l’art. 2-ter, settimo comma, della legge n. 575 del 1965 consente l’applicazione della confisca a prescindere dalla misura di prevenzione personale, è comunque presupposta una valutazione di pericolosità sociale del soggetto;
che, in definitiva, il vigente sistema legislativo, pur in presenza della tendenza a rendere in alcuni casi le misure di prevenzione patrimoniali autonome rispetto a quelle personali, rimane ancorato al principio che le misure patrimoniali presuppongono necessariamente un rapporto tra beni di cui non sia provata la legittima provenienza e soggetti portatori di pericolosità sociale che ne dispongano, o che siano avvantaggiati dal loro reimpiego, nell’ambito di attività delittuose, essendo la pericolosità del bene «considerata dalla legge derivare dalla pericolosità della persona che ne può disporre» (così sentenza n. 335 del 1996);
che, con particolare riferimento alla confisca, la Corte ha inoltre precisato che tale misura, a differenza del sequestro, «comporta conseguenze ablatorie definitive», in quanto mira a «sottrarre definitivamente il bene al ‘circuito economico’ di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo», sempre che «i presupposti di indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca, da un lato, e di pericolosità del soggetto, dall’altro, siano già stati definitivamente accertati»;
che un intervento, come quello auspicato dal rimettente, volto a rendere possibile l’applicazione della confisca in caso di contestuale rigetto della richiesta di misura di prevenzione personale per mancanza del requisito della pericolosità sociale, si tradurrebbe pertanto in una «innovazione conseguente ad una scelta di politica criminale» che non rientra nei poteri del giudice chiamato a pronunciarsi sulla costituzionalità delle leggi (sentenza n. 335 del 1996 e, in precedenza, ordinanza n. 721 del 1988), ma è di esclusiva spettanza del legislatore;
che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2-ter, terzo, quarto e sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 41, secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2004.