Sentenza n. 315 del 2004
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SENTENZA N. 315

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio            ONIDA                    Presidente

- Carlo              MEZZANOTTE          Giudice

- Fernanda         CONTRI                        "

- Guido               NEPPI MODONA         "

- Piero Alberto   CAPOTOSTI                  "

- Annibale         MARINI                        "

- Franco            BILE                              "

- Giovanni Maria FLICK                          "

- Francesco        AMIRANTE                   "

- Ugo                DE SIERVO                   "

- Romano          VACCARELLA              "

- Paolo              MADDALENA               "

- Alfonso           QUARANTA                  "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), e dell’art. 3 della legge 12 giugno 1962, n. 567 (Norme in materia di affitto di fondi rustici), promosso con ordinanza del 13 ottobre 2003 dal Tribunale di Bolzano nel procedimento civile vertente tra Rizzolli Thomas e Clementi Johann ed altro, iscritta al n. 1150 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2004 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

In un giudizio riguardante la determinazione del canone di affitto di un fondo rustico, il Tribunale di Bolzano, sezione specializzata per le controversie agrarie, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), nella parte in cui detta i criteri per la determinazione del canone per i contratti di affitto riguardanti i territori del catasto derivante dall’ex catasto austro-ungarico, e, «occorrendo», dell’art. 3 della legge 12 giugno 1962, n. 567 (Norme in materia di affitto di fondi rustici), in quanto richiamato dalla disposizione censurata in via principale.

Il giudice rimettente muove dalla considerazione che, con sentenza n. 318 del 2002, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982, relativi alla determinazione del canone di affitto dei fondi rustici, ritenendo il meccanismo previsto da tali norme, basato sul reddito dominicale stabilito a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589 (Revisione generale degli estimi dei terreni), «privo, ormai, (…) di qualsiasi razionale giustificazione», sia per l’esistenza di dati catastali più recenti ed attendibili di quelli del 1939, sia, in ogni caso, per l’inidoneità di quel catasto «a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei terreni agricoli» ed essere quindi posto a base «di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia costituzionale della proprietà terriera privata e tale da soddisfare, nello stesso tempo, la finalità della instaurazione di equi rapporti sociali, imposta dall’art. 44 della Costituzione».

Osserva il giudice a quo che, per effetto di tale pronuncia, ed in attesa di un eventuale nuovo intervento del legislatore, il regime del canone di affitto dei fondi rustici risulta allo stato libero su tutto il territorio nazionale, ad eccezione dei territori del catasto derivante dall’ex catasto austro-ungarico, per i quali dispone appunto l’art. 14 della legge n. 203 del 1982, non colpito dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.

L’esistenza di territori nei quali il canone è tuttora predeterminato per legge e di territori ove, invece, esso è lasciato alla libera contrattazione delle parti sarebbe – ad avviso ancora del rimettente – in contrasto con il principio di eguaglianza, non trovando tale differenziazione alcuna ragionevole giustificazione.

Oltre a ciò, la norma di cui all’art. 14 della legge n. 203 del 1982 presenterebbe di per sé vizi di legittimità del tutto analoghi a quelli che hanno portato alla caducazione degli artt. 9 e 62 della stessa legge.

Dispone, infatti, il citato art. 14 che l’equo canone di affitto, nei territori del catasto derivante dall’ex catasto austro-ungarico, debba calcolarsi applicando le «tabelle determinate in base alle disposizioni di cui alla legge 12 giugno 1962, n. 567, vigenti nell’annata agraria anteriore all’entrata in vigore della legge 11 febbraio 1971, n. 11, rivalutate in base al tasso di svalutazione della lira nel frattempo intervenuta», con un abbattimento del 20%. L’art. 3, secondo comma, della legge n. 567 del 1962 prevede dal canto suo che, nella determinazione delle tabelle di cui sopra, debbano prendersi a base «i redditi dominicali determinati a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976», moltiplicati per coefficienti stabiliti dalla commissione tecnica provinciale.

Anche tale meccanismo – ancorché più favorevole per i proprietari di quello previsto dagli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982 – sarebbe dunque basato, in definitiva, sui dati risultanti dal catasto del 1939. E se pure non esistono, per la Provincia autonoma di Bolzano, dati catastali più recenti cui il legislatore potrebbe fare riferimento (come invece esistono per il resto d’Italia), varrebbe comunque il rilievo, contenuto nella sentenza n. 318 del 2002, secondo cui i dati ricavabili dal catasto del 1939 non sono più idonei a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei terreni agricoli e non possono quindi essere posti a base di una disciplina dei contratti agrari rispettosa dei principi costituzionali di cui agli artt. 42 e 44 della Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Tribunale di Bolzano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), nella parte in cui detta i criteri per la determinazione del canone per i contratti di affitto riguardanti i territori del catasto derivante dall’ex catasto austro-ungarico, e («occorrendo») dell’art. 3 della legge 12 giugno 1962, n. 567 (Norme in materia di affitto di fondi rustici), in quanto richiamato dalla disposizione precedentemente indicata.

La disciplina impugnata – ad avviso del rimettente – violerebbe il principio di eguaglianza, atteso che la contrattazione in materia di affitto di fondi rustici, per effetto della sentenza n. 318 del 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982, è ormai libera in tutto il territorio nazionale, ad eccezione appunto dei territori del catasto derivante dall’ex catasto austro-ungarico.

La medesima disciplina, in ogni caso, in quanto anch’essa basata  sui dati risultanti dal catasto del 1939, presenterebbe, in riferimento agli artt. 42 e 44 della Costituzione, i medesimi vizi di costituzionalità da cui erano affette le norme della stessa legge già dichiarate illegittime.

 

2.– La questione relativa all’art. 3 della legge n. 567 del 1962 è inammissibile, non solo in quanto prospettata («occorrendo») in maniera perplessa (si vedano, tra le tante, la sentenza n. 446 del 2002 e l’ordinanza n. 342 del 2002), ma anche perché il primo capoverso del suddetto art. 3, in quanto sostituito dall’art. 9, primo comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203, è già stato dichiarato illegittimo con la citata sentenza n. 318 del 2002, con la conseguenza che l’intero articolo – i cui successivi commi sono strettamente dipendenti dal primo – risulta ormai insuscettibile di ulteriore autonoma applicazione.

 

3.– La questione proposta con riferimento all’art. 14 della legge n. 203 del 1982 è invece fondata.

3.1.– La premessa da cui muove il rimettente, e cioè che la norma impugnata non sia stata in alcun modo colpita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 318 del 2002, è corretta.

L’art. 14 della legge n. 203 del 1982 non era, infatti, oggetto di impugnativa in quel giudizio e, d’altro canto, il meccanismo di determinazione dell’equo canone previsto da detta norma per i territori del catasto derivante dall’ex catasto austro-ungarico è diverso da quello contemplato in via generale dagli artt. 9 e 62 della stessa legge, sui quali appunto verteva il giudizio di legittimità costituzionale.

E’ pur vero che il citato art. 14 prevede, come base di calcolo, l’applicazione delle tabelle determinate in base all’art. 3 della legge n. 567 del 1962, vigenti nell’annata agraria anteriore all’entrata in vigore della legge 11 febbraio 1971, n. 11, e che la norma richiamata è stata dichiarata illegittima, quanto al primo capoverso, e risulta di conseguenza inapplicabile per il resto.

Avendo, tuttavia, il rinvio all’art. 3 della legge n. 567 del 1962 carattere ricettizio, in quanto il contenuto di tale norma è divenuto parte del contenuto della norma richiamante, le vicende della norma richiamata restano prive di effetto ai fini dell’esistenza ed efficacia della norma richiamante.

 3.2.– Siffatto meccanismo di determinazione dell’equo canone, pur se diverso nel suo sviluppo da quello già previsto per tutti gli altri territori dagli artt. 9 e 62 della legge, al pari di quello si fonda – come si è detto – sulle tabelle di cui alla legge n. 567 del 1962, che sono formate «prendendo a base i redditi dominicali determinati a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976» (art. 3, secondo comma, della legge n. 567 del 1962).

Ma questa Corte, proprio dichiarando l’illegittimità costituzionale dei citati artt. 9 e 62, ha osservato che «a distanza di oltre un sessantennio dal suo impianto, quel catasto ha perso qualsiasi idoneità a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei terreni agricoli, cosicché non può sicuramente essere posto a base di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia costituzionale della proprietà terriera privata e tale da soddisfare, nello stesso tempo, la finalità della instaurazione di equi rapporti sociali, imposta dall’art. 44 della Costituzione» (sentenza n. 318 del 2002).

D’altra parte, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982, il regime di equo canone dei fondi rustici è venuto meno su tutto il territorio nazionale, ad eccezione dei territori del catasto derivante dall’ex catasto austro-ungarico, cui appunto continua ad applicarsi l’art. 14 della stessa legge. Dal che deriva, dunque, una ingiustificata disparità di trattamento in danno dei proprietari dei fondi rustici situati in quei territori.

3.3.– Ne consegue, pertanto, che anche l’art. 14, secondo comma, della legge 3 maggio 1982, n. 203, va dichiarato in parte qua illegittimo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, secondo comma, secondo e terzo periodo, della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari);

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 12 giugno 1962, n. 567 (Norme in materia di affitto di fondi rustici), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione, dal Tribunale di Bolzano, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2004.