ORDINANZA N. 275 ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 3, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze del 20 febbraio, del 18 aprile e del 15 maggio 2003 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, rispettivamente iscritte ai nn. 339, 471 e 550 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24, 28 e 33, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con le tre ordinanze in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato — in riferimento al solo art. 97 della Costituzione, quanto all’ordinanza r.o. n. 339 del 2003; ed in riferimento anche all’art. 15, secondo comma, della Costituzione, quanto alle ordinanze r.o. n. 471 e n. 550 del 2003 — questione di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice — in sede di convalida del decreto del pubblico ministero che dispone le intercettazioni in via d’urgenza, ovvero di prima proroga dell’autorizzazione già data — possa verificare la conformità ai requisiti legali, indicati nella stessa norma, del provvedimento del pubblico ministero che dispone l’esecuzione delle operazioni mediante impianti esterni alla procura della Repubblica;
che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che nell’ambito di un procedimento penale per traffico di sostanze stupefacenti, nel corso del quale erano state avviate anche attività di ricerca di un latitante, il pubblico ministero aveva disposto con decreto, in via d’urgenza, alcune intercettazioni telefoniche, stabilendo che le stesse venissero eseguite mediante apparecchiature esterne alla procura della Repubblica;
che il pubblico ministero aveva quindi chiesto la convalida del decreto, ai sensi dell’art. 267, comma 2, cod. proc. pen.;
che, ad avviso del giudice a quo, i risultati delle intercettazioni oggetto di convalida sarebbero inutilizzabili ai sensi degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, cod. proc. pen., per difetto di adeguata motivazione del provvedimento del pubblico ministero che ne aveva autorizzato l’esecuzione mediante impianti extra moenia;
che in un caso, infatti, il pubblico ministero avrebbe omesso del tutto di dar conto dell’esistenza delle «eccezionali ragioni di urgenza» in presenza delle quali soltanto è possibile, in base alla norma impugnata, avvalersi di impianti diversi da quelli installati nella procura della Repubblica (ordinanza r.o. n. 339 del 2003); mentre negli altri due casi la motivazione sul punto risulterebbe «meramente apparente», perché «generica e non esauriente» (ordinanze r.o. n. 471 e n. 550 del 2003);
che — sempre ad avviso del rimettente — non potrebbe, d’altronde, essere seguito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che ammette la possibilità di una integrazione a posteriori della motivazione del provvedimento in parola;
che tale soluzione potrebbe valere, difatti, solo con riferimento al requisito della insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la procura della Repubblica — in quanto «circostanza di mero fatto» — ma non anche con riferimento al requisito dell’eccezionale urgenza, che si risolve in una situazione «suscettiva di un qualche apprezzamento discrezionale»: profilo sotto il quale la soluzione interpretativa avversata contrasterebbe con l’esigenza che tale apprezzamento formi oggetto di un provvedimento preventivo, suscettibile di controllo, così da evitare possibili abusi connessi ad interventi ‘riparatori’ postumi di pregresse irregolarità;
che, su tali premesse, il giudice dubita quindi della legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede un immediato controllo, da parte del giudice, circa la congruità della motivazione del provvedimento del pubblico ministero che dispone il compimento delle operazioni mediante impianti esterni;
che, allo stato, difatti, il sindacato del giudice — chiamato ad autorizzare le intercettazioni o a convalidare il provvedimento del pubblico ministero che le dispone in via d’urgenza — atterrebbe unicamente alla sussistenza dei presupposti che legittimano le intercettazioni, e non anche alle modalità di esecuzione delle operazioni;
che tale «vuoto normativo» contrasterebbe tuttavia con l’art. 97 Cost., in quanto si risolverebbe a danno del «buon governo» dell’amministrazione della giustizia, consentendo la prosecuzione di un’attività di indagine — spesso lunga e dispendiosa, oltre che foriera di decisivi apporti probatori — i cui risultati sarebbero destinati ad essere dichiarati successivamente inutilizzabili dal giudice chiamato a valutarli a fini cautelari o di merito;
che, secondo le ordinanze r.o. n. 471 e n. 550 del 2003, sarebbe altresì compromesso l’art. 15, secondo comma, Cost., che impone al legislatore di adottare un sistema di garanzie per la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni;
che, infatti, a fronte della previsione di un adeguato controllo giurisdizionale sull’effettuazione delle intercettazioni, mancherebbe un rimedio parimenti adeguato in rapporto alle violazioni inerenti alle modalità di esecuzione: giacché per tutto il tempo intercorrente tra l’inizio delle operazioni e la verifica dell’utilizzabilità dei relativi risultati non sarebbe riconosciuta all’interessato alcuna possibilità di ricondurre — indirettamente, tramite il controllo giurisdizionale — le attività in corso nell’alveo della legalità;
che tale assetto normativo non si giustificherebbe in alcun modo, stante l’identità della sanzione di inutilizzabilità prevista dall’art. 271, comma 1, cod. proc. pen. per la violazione tanto dell’art. 267 che dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen.: e ciò a dimostrazione della «pari dignità garantista» sia dei requisiti di legittimità dei provvedimenti che dispongono le intercettazioni, sia di quelli inerenti alle loro modalità esecutive;
che — onde evitare il denunciato vulnus dei parametri costituzionali — sarebbe necessario dunque prefigurare un intervento del giudice, immediatamente successivo o più prossimo possibile al provvedimento del pubblico ministero in tema di modalità esecutive: intervento che andrebbe collocato, in tale ottica, o al momento della convalida del decreto che dispone le intercettazioni in via d’urgenza; ovvero — nel caso di intercettazioni preventivamente autorizzate dal giudice — al momento della prima proroga del relativo termine di durata;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano analoghe questioni, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione;
che, per quanto concerne l’asserita violazione dell’art. 97 Cost., è costante giurisprudenza di questa Corte che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, pur essendo riferibile anche agli organi dell’amministrazione della giustizia, attiene esclusivamente alle leggi concernenti l’ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo; mentre è estraneo all’esercizio della funzione giurisdizionale, che nel frangente viene in rilievo (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 225 del 2003; n. 204 e n. 408 del 2001);
che, riguardo al preteso contrasto della norma impugnata con l’art. 15, secondo comma, Cost., il giudice a quo richiede a questa Corte di introdurre, in via additiva, uno specifico meccanismo di controllo giurisdizionale sulle modalità di esecuzione delle operazioni di intercettazione, in particolare per quanto attiene alla congruità della motivazione del provvedimento del pubblico ministero che autorizza l’impiego di impianti diversi da quelli installati presso la procura della Repubblica;
che l’intervento richiesto, peraltro, non solo implica una manipolazione del vigente sistema processuale a carattere marcatamente ‘creativo’, ma si presenta, altresì, palesemente inadeguato rispetto allo stesso obiettivo che il rimettente intende raggiungere;
che nel vigente sistema processuale, difatti, mentre la decisione circa l’effettuazione delle intercettazioni è di competenza del giudice — tramite lo strumento dell’autorizzazione preventiva o della convalida del provvedimento d’urgenza del pubblico ministero — la determinazione delle modalità di esecuzione delle operazioni è rimessa al pubblico ministero (art. 267, comma 3, primo periodo, cod. proc. pen.);
che, in quest’ottica, il controllo sulla congruità della motivazione del provvedimento del pubblico ministero in tema di utilizzazione di impianti esterni, che il rimettente vorrebbe introdurre, si rivela del tutto ‘eccentrico’ rispetto alle linee del sistema;
che in via di principio, infatti, il sindacato sulla motivazione di un atto probatorio è tipicamente devoluto o all’organo dell’impugnazione, ovvero a quello destinato a fruire del mezzo probatorio cui la motivazione si riferisce: funzioni, queste, entrambe estranee a quelle che il giudice della convalida o della proroga delle intercettazioni è chiamato ad esercitare;
che in ogni caso, poi, l’ipotetica introduzione di un controllo del giudice sul provvedimento de quo nel momento della convalida del decreto d’urgenza del pubblico ministero o della prima proroga dell’autorizzazione già concessa, da un lato, lascerebbe irrazionalmente ‘scoperta’ l’ipotesi di autorizzazione preventiva del giudice non seguita da alcuna richiesta di proroga (che è, nel sistema della legge, l’ipotesi ordinaria); dall’altro lato — mentre ovviamente non avrebbe alcun effetto ‘sanante’ riguardo alle operazioni già compiute — non terrebbe neppure conto, quanto alle operazioni successive, del fatto che le modalità esecutive delle intercettazioni possono bene mutare in itinere (almeno sul piano teorico, nulla esclude, difatti, che una intercettazione iniziata con impianti interni alla procura della Repubblica venga ‘dirottata’ dal pubblico ministero — con provvedimento successivo alla convalida del giudice o alla prima proroga — su impianti esterni, e viceversa);
che, pertanto, il ventilato ‘effetto preventivo’ rispetto ad intercettazioni inutilizzabili — assegnato dal rimettente al meccanismo di controllo invocato — sarebbe ipotetico, parziale ed inappropriato;
che, in realtà, l’obiettivo del giudice a quo si realizzerebbe solo ove si estendesse il meccanismo dell’autorizzazione preventiva o della convalida giudiziale — attualmente previsto soltanto in rapporto all’adozione del mezzo di ricerca della prova in questione — anche alla scelta dell’impiego di apparecchiature esterne: in sostanza, ove anche tale scelta fosse sottratta al pubblico ministero ed affidata al giudice per le indagini preliminari;
che appare evidente, tuttavia, come la soluzione di disciplinare diversamente la verifica dei presupposti di legittimità dell’intercettazione rispetto alla verifica dei presupposti di impiego di apparecchiature esterne — fermo restando comunque il controllo giurisdizionale a posteriori assicurato dalla sanzione di inutilizzabilità — rientra nell’ambito di una ragionevole discrezionalità legislativa, atteso il differente livello degli interventi (riguardanti l’uno l’an, l’altro il quomodo) ed il diverso tipo di valutazioni ad essi sottesi;
che le considerazioni che precedono rendono quindi chiaramente inaccoglibile il quesito, a prescindere da ogni altra possibile considerazione, relativa anche ai limiti di conferenza del parametro evocato;
che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 268, comma 3, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 15, secondo comma, e 97 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 13 luglio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2004.