SENTENZA N. 267
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
- Alfonso QUARANTA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 12 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza del 4 febbraio 2003 dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, sull’appello proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri ed altro contro Giamportone Filippo, iscritta al n. 372 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 maggio 2004 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto in fatto
1. ¾ Con ordinanza emessa in data 4 febbraio 2003, la Corte dei conti – sezione giurisdizionale di appello per la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non prevede, a favore dei dipendenti statali, ove sussistano i requisiti prescritti dall’art. 13 dello stesso decreto, il computo del periodo di tempo corrispondente alla durata legale degli studi universitari, già riscattato presso la gestione previdenziale dei dipendenti delle assemblee legislative, degli enti locali territoriali, degli enti parastatali o degli enti e istituti di diritto pubblico sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato.
2. ¾ E’ necessario premettere che l’art. 12 (Servizi resi ad enti diversi) del d.P.R. n. 1092 del 1973 dispone che “i servizi di ruolo e non di ruolo prestati alle dipendenze delle assemblee legislative, di enti locali territoriali, di enti parastatali o di enti e istituti di diritto pubblico sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato, sono computati a domanda dell’interessato” e che “l’amministrazione, l’ente o l’istituto presso il quale il dipendente ha prestato servizio o è stato iscritto ai fini di quiescenza corrisponderà allo Stato l’importo dei contributi versati, compresi quelli a carico dell’interessato, in relazione al periodo ammesso al computo ai fini del trattamento di quiescenza statale; nulla è dovuto dal dipendente”.
Il successivo art. 13 dello stesso decreto (Periodi di studi superiori e di esercizio professionale) dispone, inoltre, che “il dipendente civile al quale sia stato richiesto, come condizione necessaria per l’ammissione in servizio, il diploma di laurea o, in aggiunta, quello di specializzazione rilasciato dopo la frequenza di corsi universitari di perfezionamento può riscattare in tutto o in parte il periodo di tempo corrispondente alla durata legale degli studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento, verso corresponsione di un contributo” pari alla riserva matematica, determinata ai sensi dell’art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, la vecchiaia e i superstiti), necessaria per la copertura assicurativa del periodo utile considerato.
3. ¾ Il remittente espone di dovere decidere l’impugnazione, proposta da un magistrato amministrativo in servizio presso il TAR di Palermo, già dipendente di enti locali e parastatali (Comune di Torino, Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato e INPS), avverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 settembre 1992, n. 916 e avverso la nota del Consiglio di Stato del 7 ottobre 1993, n. 761, con i quali è stato escluso dal computo dei servizi ai fini del trattamento di quiescenza, ai sensi dell’art. 12 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il periodo di studi universitari già riscattati dal ricorrente presso l’INPS.
L’impugnazione – espone sempre il remittente – è stata risolta favorevolmente dal giudice di primo grado, il quale, accogliendo il ricorso, ha ammesso, ai sensi del richiamato art. 12, il computo gratuito del periodo di studi universitari già riscattato presso l’INPS, equiparandolo in sostanza ad un servizio effettivamente prestato.
Il giudice a quo ritiene, al contrario, che una tale opzione interpretativa non sia praticabile, a fronte del chiaro disposto del successivo art. 13 dello stesso decreto n. 1092 del 1973 (il quale disciplina autonomamente il riscatto degli studi universitari dei dipendenti statali, prevedendone l’onerosità per il riscattante), e ritiene, pertanto, che, in base al diritto vigente, il ricorso del magistrato debba essere rigettato.
Il remittente sostiene che l’interessato possa, allo stato, alternativamente o riscattare nuovamente, ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, gli anni di corso di laurea, ovvero chiedere la ricongiunzione dei periodi assicurativi, ai sensi dell’art. 2 della legge 7 febbraio 1979, n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori a fini previdenziali): soluzioni entrambe onerose per il richiedente.
4. ¾ Il remittente dubita, allora, in relazione all’art. 3 della Costituzione e sotto vari profili, della legittimità costituzionale dell’art. 12, proprio nella parte in cui esso non consente la computabilità gratuita presso la gestione previdenziale statale degli anni di studi universitari già riscattati.
In particolare il giudice a quo ritiene irragionevoli:
– la differente regolamentazione, ai fini del computo dei servizi svolti, del periodo di servizio e del periodo di studi universitari, che pure l’ordinamento riterrebbe meritevoli di analoga considerazione per la determinazione dell’ammontare della pensione;
– la discriminazione tra coloro i quali siano ammessi per la prima volta a riscattare il periodo di studi universitari nell’ordinamento statale e coloro i quali, avendo già riscattato tale periodo nella gestione previdenziale di provenienza, pure in presenza delle medesime condizioni stabilite dalla legge, sarebbero in sostanza costretti ad “un duplice esborso economico”;
– l’intera disciplina, in quanto, mentre sarebbe “possibile, in forza dell’art. 124, comma quinto, del d.P.R. n. 1092 del 1973, come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2001, il trasferimento senza oneri a carico del dipendente, del periodo di studi universitari, che sia stato oggetto di riscatto ai sensi dell’art. 13 del medesimo decreto n. 1092 del 1973, dallo Stato all’AGO” (assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, gestita dall’INPS), non sarebbe “invece possibile il contrario”.
5. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, in quanto meramente interpretativa e proposta in riferimento ad una normativa liberamente apprezzabile dal legislatore nella sua discrezionalità.
L’Avvocatura, premessa la distinzione tra i diversi istituti della ricongiunzione dei servizi prestati presso differenti soggetti pubblici (art. 12 del d.P.R. n. 1092 del 1973) e della ricongiunzione dei periodi assicurativi (art. 2 della legge n. 29 del 1979), sostiene, poi, che la questione sarebbe infondata, in quanto il dipendente potrebbe utilmente avvalersi della ricongiunzione ex lege n. 29 del 1979 e sarebbe, a tal fine, tenuto non ad un duplice esborso economico, ma a versare, in due momenti, un contributo pari alla riserva matematica (calcolata in riferimento al nuovo impiego pubblico), dalla quale sarebbe scomputato l’ammontare dei contributi già versati per il primo riscatto.
Considerato in diritto
1. ¾ La Corte dei conti – sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana ha sollevato, in relazione all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non prevede, a favore dei dipendenti statali, ove sussistano i requisiti prescritti dall’art. 13 dello stesso decreto, il computo presso la gestione previdenziale statale del periodo di tempo corrispondente alla durata legale degli studi universitari, già riscattato presso la gestione previdenziale dei dipendenti delle assemblee legislative, degli enti locali territoriali, degli enti parastatali e degli enti e istituti di diritto pubblico sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato.
2. ¾ Il remittente lamenta che il riscatto, già effettuato presso l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti per i lavoratori dipendenti, gestita dall’INPS, non produce i suoi effetti anche presso la gestione speciale dello Stato, nella quale il riscattante sia successivamente transitato.
In particolare il giudice a quo ritiene che la disposizione denunciata contrasti con l’art. 3 della Costituzione, giacché introduce una differente regolamentazione dei periodi di servizio prestati e dei periodi di studi universitari che l’ordinamento riterrebbe meritevoli di analoga considerazione ai fini pensionistici.
Inoltre la disposizione in esame comporterebbe una irragionevole discriminazione tra coloro che siano ammessi a riscattare per la prima volta nell’ordinamento pensionistico statale un determinato periodo di studi universitari, ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, e coloro che invece, pur avendo riscattato tale periodo nella gestione previdenziale di provenienza, siano costretti, per poterlo fare valere ai fini della pensione statale, o a richiedere un nuovo riscatto, ovvero a ricongiungere il corrispondente periodo assicurativo, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori a fini previdenziali), sobbarcandosi un duplice esborso economico.
Infine, l’attuale assetto normativo realizzerebbe una irrazionale ed ingiustificata regolamentazione della materia, perché, mentre sarebbe possibile, ai sensi dell’art. 124, comma quinto, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nel testo risultante dalla sentenza n. 113 del 2001 di questa Corte, il trasferimento senza oneri a carico del dipendente del periodo di studi universitari, che sia stato oggetto di riscatto ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dallo Stato alla assicurazione generale obbligatoria, non sarebbe invece possibile il contrario.
3. ¾ Va preliminarmente respinta l’eccezione dell’Avvocatura generale dello Stato per la quale la questione sarebbe inammissibile, in quanto meramente interpretativa.
In realtà il remittente non pone una questione interpretativa, ma censura, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, l’unica interpretazione che ritiene possibile della norma.
Va parimenti respinta l’ulteriore eccezione dell’Avvocatura per la quale la questione sarebbe inammissibile, in quanto proposta in riferimento ad una normativa liberamente apprezzabile dal legislatore nella sua discrezionalità.
Invero il carattere discrezionale della materia regolata assume rilevanza non ai fini dell’ammissibilità della questione, bensì ai fini della valutazione della fondatezza della stessa.
4. ¾ Nel merito la questione non è fondata.
Occorre premettere che il sistema previdenziale italiano, caratterizzato da una struttura pluralistica e frammentata dell’ordinamento pensionistico, con presenza, accanto alla assicurazione generale obbligatoria gestita dall’INPS, di più gestioni previdenziali, ha prescelto come regola generale, per la conservazione ed il completamento dei periodi assicurativi posti in essere presso gestioni diverse, sia per i lavoratori dipendenti, che per i liberi professionisti, quella della ricongiunzione (legge n. 29 del 1979 e legge 5 marzo 1990, n. 45, recante “Norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti”), secondo la quale, a domanda dell’interessato, si realizza la concentrazione di tutte le contribuzioni versate presso le varie gestioni in un’unica gestione, con la liquidazione di una pensione unica in base alle norme della gestione medesima e con l’utilizzazione di tutti i periodi trasferiti per il valore che essi avevano acquisito presso la gestione originaria.
Nell’ambito della ricongiunzione per i lavoratori dipendenti (legge n. 29 del 1979), si deve distinguere l’ipotesi dell’accentramento delle posizioni previdenziali da una o più gestioni speciali nell’assicurazione generale obbligatoria gestita dall’INPS (art. 1 della legge n. 29 del 1979), da quella dell’accentramento di una o più gestioni ordinaria o speciali in una gestione speciale (art. 2 della legge n. 29 del 1979).
Nel primo caso, la ricongiunzione presso l’assicurazione generale obbligatoria è gratuita per il dipendente, essendo unicamente previsto che, a tal fine, le gestioni interessate trasferiscano a quella accentrante i contributi versati, maggiorati dell’interesse annuo del 4,5 per cento.
Nel secondo caso, invece, il trasferimento della posizione assicurativa dalla gestione ordinaria o da altre gestioni speciali presso una determinata gestione speciale è oneroso per il richiedente. Infatti l’art. 2 della legge n. 29 del 1979 prevede che “la gestione assicurativa presso la quale si effettua la ricongiunzione delle posizioni assicurative pone a carico del richiedente il cinquanta per cento della somma risultante dalla differenza tra la riserva matematica, determinata in base ai criteri e alle tabelle di cui all’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, necessaria per la copertura assicurativa relativa al periodo utile considerato, e le somme versate dalla gestione o dalle gestioni assicurative”.
5. ¾ In tale ambito si inserisce l’impugnato art. 12 del d.P.R. n. 1092 del 1973, il quale regola il passaggio dalle gestioni previdenziali dei dipendenti delle assemblee legislative, degli enti locali territoriali e degli enti parastatali alla gestione speciale dello Stato, prevedendo, senza oneri per il dipendente, la computabilità a domanda dei servizi di ruolo e non di ruolo prestati presso i suddetti enti.
Tale norma realizza il medesimo effetto giuridico della ricongiunzione dei periodi assicurativi, ma pone tutti gli oneri dell’operazione di accentramento a carico della gestione previdenziale statale, non essendo richiesto al dipendente di contribuire neppure in parte, ed in particolare non essendo questi tenuto a versare il contributo previsto dal richiamato art. 2 della legge n. 29 del 1979 nella misura della metà della differenza tra la riserva matematica (calcolata in riferimento alla nuova e più favorevole posizione previdenziale) e i contributi già versati, opportunamente rivalutati.
Si tratta, evidentemente, di una norma di favore non suscettibile di una interpretazione analogica. E ciò esclude che i “servizi di ruolo e non di ruolo prestati” dal dipendente possano essere assimilati al periodo di studi universitari già riscattato presso altra gestione previdenziale, in quanto il corso di studi non costituisce, né è in alcun modo equiparabile ad un “servizio prestato”.
6. ¾ Alla luce della natura speciale e di favore della disposizione impugnata, le argomentazioni sviluppate dal remittente appaiono prive di pregio.
Invero, il diverso trattamento previsto dall’art. 12 del d.P.R. n. 1092 del 1973 in riferimento ai periodi di servizio prestati ed ai periodi di studi universitari riscattati non è affatto irragionevole.
L’avere riconosciuto la riscattabilità del periodo di studi universitari, infatti, non significa che il legislatore sia tenuto ad attribuire a questi lo stesso valore del servizio effettivamente prestato e che non possa trattare diversamente le due ipotesi secondo le sue scelte discrezionali. In altri termini, non c’è nulla di irragionevole se il legislatore, con norma di favore, ha ritenuto di concedere, come nel caso dell’art. 12 del d.P.R. 1092 del 1973, la ricongiunzione gratuita del servizio prestato e non anche del periodo di studi già riscattato nella precedente gestione previdenziale.
Né si può affermare che la disposizione in esame comporterebbe una irragionevole discriminazione tra chi riscatta per la prima volta nell’ordinamento pensionistico statale un determinato periodo di studi universitari e chi, avendo riscattato tale periodo nella gestione di provenienza, sia costretto ad un ulteriore esborso economico per effettuare la ricongiunzione.
Infatti, colui che ha già riscattato nella gestione di provenienza potrà chiedere la ricongiunzione, venendo in tal caso a pagare, non l’intera contribuzione prevista dall’art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come è tenuto a pagare chi riscatti per la prima volta nell’ambito della gestione statale, ma solo la metà della differenza tra tale importo e quanto versato nella precedente gestione previdenziale per il riscatto. Egli verrà pertanto a pagare una somma inferiore a chi riscatti per la prima volta, gravando sullo Stato la residua parte della contribuzione necessaria a coprire il periodo assicurativo riscattato.
Infine, non può affermarsi che sia irrazionale consentire, ai sensi dell’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973, come risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2001, il trasferimento senza oneri a carico del dipendente del periodo di studi universitari, che sia stato oggetto di riscatto, ai sensi dell’art. 13 del medesimo decreto n. 1092 del 1973, dallo Stato all’assicurazione generale obbligatoria, e prevedere, per l’ipotesi opposta, un onere economico a carico dell’interessato.
La ratio dei due trasferimenti è infatti diversa.
Nel caso del trasferimento del periodo di studi presso l’assicurazione generale obbligatoria si mira a costituire, obbligatoriamente, ed a favore dei dipendenti cessati dal servizio senza avere maturato il diritto a pensione, una posizione assicurativa che consente loro di completare la fattispecie previdenziale, acquisendo presso la gestione INPS il diritto a pensione.
Nel caso, invece, del trasferimento presso la gestione statale si concede al dipendente la facoltà di migliorare, mediante la ricongiunzione, la sua posizione assicurativa e di ottenere un trattamento pensionistico più favorevole, in termini giuridici ed economici.
La diversità di finalità ed effetti delle due disposizioni in questione ben giustifica, nella seconda ipotesi, l’accollo, peraltro solo parziale, all’interessato degli oneri necessari al riconoscimento del beneficio previdenziale e certamente impedisce di considerare l’art. 124 del d.P.R. n. 1092 del 1973 quale tertium comparationis.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
F.to:
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2004.