ORDINANZA N.143
ANNO 2004REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 7 e 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), promossi con ordinanze del 10 luglio 2002 dal Tribunale di Viterbo e del 10 aprile 2003 dal Tribunale di Macerata nei procedimenti civili vertenti tra l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) e Maria Di Bennardo e tra l’INPS e Giovanni Panfini, iscritte ai numeri 519 del registro ordinanze 2002 e 786 del registro ordinanze 2003, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2002 e n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di costituzione dell’INPS e di Giovanni Panfini, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 aprile 2004 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi gli avvocati Alessandro Riccio per l’INPS, Giovanni Angelozzi per Giovanni Panfini e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che con ordinanza del 10 luglio 2002 il Tribunale di Viterbo, in sede di giudizio di rinvio nel procedimento civile vertente tra Maria Di Bennardo e l’INPS, ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 7 e 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), nella parte in cui – prevedendo che nei confronti dei soggetti che hanno percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell’INPS, per periodi anteriori al 1° gennaio 2001, non si fa luogo al recupero dell’indebito solo nel caso in cui i soggetti medesimi siano percettori di un reddito personale imponibile IRPEF per l’anno 2000 di importo pari o inferiore a euro 8.263,31 – consente, negli altri casi, la ripetizione (seppur non integrale, ma nei limiti di tre quarti dell’importo riscosso) di prestazioni previdenziali percepite in buona fede che, secondo la precedente disciplina vigente al momento della loro percezione, non sarebbero state ripetibili;
che inizialmente la Di Bennardo aveva adito il Pretore di Roma, chiedendo declaratoria di irripetibilità, ai sensi dell’art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per le assicurazioni e gli infortuni sul lavoro), di somme indebitamente percepite a titolo di trattamento pensionistico;
che la domanda era stata accolta con sentenza confermata dal Tribunale di Roma che aveva respinto l’appello dell’INPS;
che quest’ultima pronuncia era stata annullata dalla Corte di cassazione con sentenza n. 11991 del 1999 con rinvio appunto al Tribunale di Viterbo;
che il giudizio era stato riassunto dall’INPS con ricorso depositato in data 20 agosto 2000, con cui l’Istituto chiedeva dichiararsi ripetibile (nei limiti dei tre quarti) le somme indebitamente erogate alla Di Bennardo nel periodo 1° gennaio 1986-31 dicembre 1988, previo accertamento del reddito da lei conseguito nel 1995;
che l’adito Tribunale di Viterbo con una prima ordinanza di rimessione aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione;
che questa Corte, con ordinanza n. 249 del 2002, aveva ordinato la restituzione degli atti, essendo sopravvenuta l’entrata in vigore del citato art. 38, commi 7 e 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448;
che il Tribunale di Viterbo ha investito nuovamente la Corte con una seconda ordinanza di rimessione, riproponendo le medesime censure;
che il rimettente osserva come il regime dell’indebito previdenziale sia stato disciplinato nel tempo da diverse norme, tra cui il citato art. 52 della legge n. 88 del 1989;
che è successivamente intervenuta dapprima la ricordata legge n. 662 del 1996, il cui art. 1, commi 260 e 261, ha stabilito che nei confronti dei soggetti che nel periodo anteriore al 1° gennaio 1996 avessero percepito indebitamente prestazioni pensionistiche non si faceva luogo al recupero dell’indebito se i soggetti medesimi (salva l’ipotesi del dolo) fossero percettori di un reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 1995 di importo pari o inferiore a lire 16.000.000, mentre il recupero avveniva nei limiti dei tre quarti dell’indebito per i percettori di reddito superiore a tale limite;
che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che le prestazioni indebitamente erogate dagli enti di previdenza prima del 1° gennaio 1996 sono ripetibili secondo i criteri posti dall’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996, che al riguardo sostituiscono per intero la precedente disciplina;
che analoga disciplina è stata successivamente posta dall’art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 448 del 2001, con riferimento alla percezione indebita di prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell’INPS, per periodi anteriori al 1° gennaio 2001, prevedendosi l’irripetibilità dell’indebito qualora i soggetti medesimi fossero percettori di un reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 2000 di importo pari o inferiore a euro 8.263,31;
che tale disciplina a carattere retroattivo è – ad avviso del Tribunale rimettente – assai simile a quella già scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 39 del 1993, che ha dichiarato illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, l’art. 13, comma 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), nella parte in cui estendeva le innovazioni introdotte nella disciplina della ripetizione di indebito in materia pensionistica ai rapporti sorti precedentemente alla data della sua entrata in vigore o comunque pendenti a quella data;
che, secondo il Tribunale di Viterbo, anche l’art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 448 del 2001 dà adito ad analoghi dubbi di costituzionalità in quanto comporterebbe l’ingiustificata disparità di trattamento (art. 3 Cost.) tra i pensionati nei confronti dei quali l’ente previdenziale abbia agito per il recupero dell’indebito prima dell’entrata in vigore della norma impugnata, con conseguente dichiarazione di non ripetibilità ai sensi della previgente disciplina, ed i pensionati nei confronti dei quali – a parità di ogni altra circostanza, ed in particolare dell’epoca di insorgenza dell’indebito, del reddito percepito superiore all’importo di euro 8.263,31 e dell’assenza di dolo – il recupero sia stato promosso dopo l’entrata in vigore della menzionata legge n. 448 del 2001, nel regime di limitata ripetibilità da quest’ultima previsto, con conseguente inadeguatezza della tutela previdenziale per i percettori dell’indebito (art. 38 Cost.);
che si è costituito l’INPS concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della sollevata questione di costituzionalità e rilevando in particolare la mancanza nell’ordinanza di rimessione di qualsiasi riferimento all’applicabilità del richiamato jus superveniens alla fattispecie esaminata dal Tribunale;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo parimenti per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione;
che con ordinanza del 10 aprile 2003 il Tribunale di Macerata, nel giudizio pendente, in sede di rinvio dopo la pronuncia della Corte di cassazione n. 6747 del 1999, tra l’INPS e Giovanni Panfini, avente ad oggetto la ripetizione di una prestazione pensionistica percepita indebitamente prima del 1° gennaio 1996, ha sollevato, con analoghe argomentazioni, la medesima questione di costituzionalità in riferimento agli stessi parametri dopo che gli atti gli erano stati parimenti restituiti da questa Corte con la citata ordinanza n. 249 del 2002, per riesame della rilevanza alla luce della menzionata sopravvenienza legislativa;
che – secondo il Tribunale – era risultato che il Panfini aveva percepito nel 2000 un reddito superiore al limite di cui al comma 7 dell’art. 38 della legge n. 448 del 2001;
che pertanto sussistevano i presupposti per la ripetibilità dell’indebito pensionistico, ma – ad avviso del rimettente – permanevano, anche in riferimento all’art. 38 della legge n. 448 del 2001, tutte le ragioni che avevano fondato il sospetto di illegittimità costituzionale dei commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 nella precedente ordinanza di rimessione, stante la sostanziale identità delle due normative;
che, secondo il rimettente, la disciplina censurata dell’indebito previdenziale è irragionevolmente diretta a colpire emolumenti pensionistici di assai modesto importo, garantiti dall’art. 38 Cost. per categorie di cittadini più deboli, i quali tuttavia risultano esposti alla ripetizione di un indebito maturato prima dell’entrata in vigore della disciplina medesima;
che anche in questo giudizio l’INPS si è costituito concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della sollevata questione di costituzionalità;
che si è costituita anche la parte privata che ha concluso per l’accoglimento della questione di costituzionalità aderendo alle argomentazioni svolte dall’ordinanza di rimessione.
Considerato che i due giudizi possono essere riuniti avendo ad oggetto la medesima disposizione (art. 38, commi 7 e 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448);
che tale normativa prevede che nei confronti dei soggetti i quali hanno percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell’INPS, per periodi anteriori al 1° gennaio 2001, non si fa luogo al recupero dell’indebito qualora i soggetti medesimi siano percettori di un reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 2000 di importo pari o inferiore ad euro 8.263,31 e, ove invece tale soglia reddituale sia superata, non si fa luogo al recupero dell’indebito nei limiti di un quarto dell’importo riscosso;
che con una disposizione analoga il precedente art. 1, commi 260 e 261, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, aveva stabilito che nei confronti dei soggetti che avevano percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia nonché rendite, anche se liquidate in capitale, a carico degli enti pubblici di previdenza obbligatoria, per periodi anteriori al 1° gennaio 1996, non si faceva luogo al recupero dell’indebito qualora i soggetti medesimi fossero percettori di un reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 1995 di importo pari o inferiore a lire 16.000.000 e parimenti, ove invece tale soglia reddituale fosse superata, il recupero dell’indebito avveniva nei limiti di un quarto dell’importo riscosso;
che nei giudizi pendenti innanzi ai giudici rimettenti, concernenti entrambi fattispecie di indebiti pensionistici maturati prima del 1° gennaio 1996, sia l’una che l’altra disposizione sarebbero astrattamente idonee – secondo distinti ed attualmente contrastanti orientamenti della giurisprudenza di legittimità – a rendere parzialmente ripetibili le prestazioni previdenziali indebitamente erogate dall’INPS, sì da frapporsi entrambe all’applicabilità della disciplina a regime dell’indebito previdenziale, che i giudici rimettenti mirano ad applicare una volta rimossa la norma sospettata di incostituzionalità;
che sulla rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale incide il rapporto tra tali due disposizioni, atteso che di esse solo l’art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 448 del 2001 è oggetto delle censure dei giudici rimettenti, onde diviene determinante l’applicabilità dell’una o dell’altra disciplina agli indebiti previdenziali insorti prima del 1° gennaio 1996;
che entrambi i giudici rimettenti – limitandosi ad affermare, in termini meramente assertivi, l’applicabilità dell’art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 448 del 2001, e non già dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996 – non affrontano motivatamente tale problema interpretativo, benché con la precedente citata ordinanza n. 249 del 2002 di restituzione degli atti questa Corte avesse precisato che la sopravvenienza legislativa, costituita dalla disposizione attualmente censurata, richiedesse una motivata “riconsiderazione della natura transitoria o meno degli effetti sulle ripetizioni di indebito pregresso”;
che d’altra parte i rimettenti, pur muovendo da tale non motivato presupposto, omettono poi del tutto di esaminare il rapporto tra le due disposizioni per verificare se l’art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 448 del 2001 – che comunque rende inapplicabile per gli indebiti previdenziali anteriori al 1° gennaio 2001 la disciplina a regime posta dall’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 – operi allo stesso modo anche sull’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996, ovvero ne comporti l’abrogazione per incompatibilità;
che – ai fini di ritenere la rilevanza della questione – i rimettenti avrebbero dovuto motivare non solo sull’applicabilità dell’art. 38, commi 7 e 8, citato, anche agli indebiti previdenziali sorti prima del 1° gennaio 1996, ma altresì sulla negazione di ogni residuale operatività dell’art. 1, commi 260 e 261, citato, a seguito dell’eventuale caducazione della prima disposizione, da essi sollecitata;
che sotto entrambi i profili la motivazione sulla rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale si rivela carente, onde quest’ultima è manifestamente inammissibile.